Daniel Clowes Modern Cartoonist

Mettetevi comodi e prendetevi un po’ di tempo, perché oggi vi presentiamo uno dei post fra i più importanti che abbiamo mai pubblicato. Sto parlando del saggio di Daniel Clowes: Modern Cartoonist, uscito nel lontano 1997 sotto forma di libello in allegato al numero 18 di Eightball. Una visione del mondo del fumetto americano, una critica feroce delle sue dinamiche e degli autori che le muovono, Modern Cartoonist è stato anche definito “satirico” e scomodo, ma mostra indistintamente tutto l’amore e la passione che l’autore riversa nel suo lavoro.

Si ringrazia Kim Thompson, co-editore e vice presidente della Fantagraphics Books, per averci dato l’opportunità di tradurre questo articolo.
L’immagine di copertina e il testo sono Copyright di D. Clowes.
L’articolo in lingua originale.

MODERN CARTOONIST – THE NAKED TRUTH
di Daniel Clowes

traduzione di Andrea Pachetti

LA SITUAZIONE ATTUALE

Nel 1953, quindici anni dopo la nascita del formato comic book americano abbiamo, con l’apice della E.C. Comics (e Mad in particolare), il primo sentore che i fumetti possano avere un potenziale che vada oltre il comune denominatore di roba per bambini.
Passati quindici anni abbiamo il movimento dei “comix” underground e, dopo altri quindici, l’inizio del movimento senza nome del “fumetto per adulti”, guidato da Raw, Love & Rockets e Weirdo. Apparentemente un quindicennio è il tempo impiegato da una generazione per assimilare le scoperte e i difetti della precedente, oltre a evolversi e produrre i propri fumetti. La prossima epoca creativa deve dunque cominciare nel 1998; siamo sull’orlo dell’Estasi o dell’Armageddon?

In questo momento ci sono (credo) certamente non meno di 3000 persone in America che si identificano come fumettisti. Di questi, secondo una mia stima ci sono 20-25 creatori che producono lavori di qualità davvero straordinaria e altri 25 o 30 con nobili aspirazioni, ma con risultati leggermente meno impressionanti. Questi 50 artisti sono emersi gradualmente dal gruppo del 1983, il che rende questo periodo di quindici anni il più artisticamente soddisfacente dell’intera storia dei fumetti; sospetto che in parte sia così poiché questo ha cominciato e continua a esistere nell’oscurità, libero dalla paura di censure statali o aziendali, estraneo a qualsiasi movimento culturale (il suo anonimato è un’innegabile qualità). Così il giovane artista del 1998 ha un problema, cioè come affermare la propria voce in un settore in cui ne esistono già così tante. Questo porterà a una tregua o a un continuum in perenne espansione?

E dove si collocano in tutto questo i rimanenti 2950 fumettisti? Il settore del comic book [dirigo questa discussione verso i comic book piuttosto che verso le strisce giornaliere, perché il mondo delle strisce sindacate (con 2 o 3 eccezioni al massimo) è un semplice cumulo di rifiuti che serve solo da spauracchio per lo sfuggente pubblico commerciale (“suppongo che i fumetti siano davvero per idioti”)] in generale è popolato da milionari adolescenti che disegnano robaccia per accordi di contratto e da coloro che sono in attesa di diventare come i primi. Le loro creazioni e soprattutto quelle dei loro imitatori di bassa lega non sono prive di contenuti. La maggior parte di esse mostra uno sguardo diretto e imbarazzante verso l’id dei loro creatori adolescenti (i muscoli del super-essere medio sono un labirinto a metà strada tra l’angoscia di castrazione e la confusione di genere). Molto meno interessanti sono coloro che vagano in quella zona di nessuno presente tra i fumetti “mainstream” e gli “alternativi”. Queste persone sono spesso assai bene informate ed esperte in vari campi del sapere, ma i loro lavori sembrano annacquati e impersonali, costruiti esclusivamente sulla base di fonti secondarie e mancanti, o addirittura timorosi verso ogni forma di conoscenza o dubbio di sé. (Che codardi!).

Un altro settore completamente distinto è quello dei vignettisti di satira politica (perché tutti disegnano usando quello stile noioso?) e del numero sempre decrescente di disegnatori comici e illustratori a fumetti (il gruppo del New Yorker). La consolidata accettazione del pubblico di queste categorie mi porta a pensare che non sia il fumetto in quanto tale ad allontanare i lettori pensanti, quanto l’inesorabile noia e il contenuto insipido dei singoli fumetti coi quali entrano in contatto (di solito la robaccia prodotta dagli autori dediti al compromesso di cui sopra). Il “pubblico pensante”, questo sfuggente potenziale di 200mila persone di cui conosciamo l’esistenza, è abituato come chiunque altro a essere bombardato di pubblicità, slogan e citazioni. Il settore dei fumetti non ha questo tipo di meccanismi e così, quando il curioso neofita decide di dare una possibilità ai fumetti, quasi di sicuro comprerà a caso qualcosa di brutto (o semplicemente alienante) e non proverà mai più una seconda volta.

QUINDI, PERCHÉ I FUMETTI?

Per coloro di noi che sono particolarmente “dentro” questo settore, i fumetti possiedono un’energia innata, completamente separata dal contenuto: una scarica quasi elettrica che è davvero ardua da definire. Quest’estetica di base, che potremmo definire “valore feticistico” del fumetto, si manifesta nell’autore, che spesso diviene ossessionato da ogni singola linea di vignette e balloon, nella vana lotta per la creazione del manufatto perfetto; nel lettore (o, come viene comunemente definito, “collezionista”) che brama la creazione dell’artista fino a che non ne ottiene una proprietà sicura e certa.

Ciò ci conduce a una delle ragioni per cui i fumetti sono potenzialmente un mezzo davvero allettante per il creatore individuale: in un certo senso, rappresentano il settore espressivo definitivo per l’artista che voglia mantenere un controllo totale sul proprio linguaggio. I romanzi sono certo opera di un solo individuo, ma richiedono un certo grado di collaborazione visuale da parte del lettore. Un film, per la sua natura, nasce invece dal lavoro di gruppo. La visione del regista, filtrata attraverso la “realtà” risulta più accessibile al pubblico generico, ma nella maggior parte dei casi ciò avviene se questa risulta basata sul compromesso e la serendipità, piuttosto che su uno studio preciso a priori. I fumetti offrono all’autore la possibilità di controllare le specifiche del proprio mondo sia in termini astratti che letterali. In quanto tali, i fumetti migliori di solito sono realizzati da un singolo autore, spesso un individuo ossessivo-complusivo che passa intere ore a correggere ogni cosa, disegnando “con precisione suprema” il singolo minuscolo particolare sullo sfondo. Nabokov (il cui artista preferito era Saul Steinberg) disse una frase notevole: “non c’è niente che odio di più dell’attività di gruppo, il bagno pubblico dove il peloso e il viscido si mischiano moltiplicando la mediocrità.” Nella loro accezione più riuscita, i fumetti permettono al loro autore di trasferire immagini vivide dalla propria mente a quella di un altro individuo, che può reagire attivamente o passivamente nel modo che preferisce, senza editor o gruppi di dirigenti subito pronti a modificare il tutto per renderlo “più digeribile al grande pubblico”.

Comunque c’è qualcosa in più che avvicina il fumettista al proprio mezzo, oltre all’emozione di trasmettere i propri pensieri ai posteri: si tratta della creazione dell’albo a fumetti come proprio feticcio. Freud, detestato da Nabokov, identifica il feticcio come sostituto del pene mancante alla madre. Il fascino che i fumetti esercitano sui collezionisti (bustine di plastica, cataloghi di valutazioni e prezzi ecc.) è aumentato dall’associazione mentale tra i comic book e l’infanzia. Persino in questo mondo saturato dalla televisione, il bambino medio negli anni della sua formazione ha le sue prime “esperienze artistiche” grazie al disegno (se non si tratta di fumetti, di sicuro sono i cartoni animati e i libri per l’infanzia). Ciò fornisce all’autore un grande strumento a sua disposizione poiché, per la sua natura, questo è il solo mezzo che permette di connettere un lettore alle sensazioni generate dalle sue prime esperienze artistiche, le più pure.

Anche (e specialmente) nella loro forma di minor valore, i fumetti trasmettono un’aura di verità indicibile. Si immagini ad esempio un bambino nato da un matrimonio infernale, i cui dettagli sono così terribili che si è sempre evitato di parlarne. I genitori hanno divorziato molto presto e il fratello maggiore, l’unico testimone di quegli anni d’orrore, è troppo traumatizzato per comunicare col bambino più piccolo. L’unico passaggio di informazione avviene indirettamente grazie alla pila dei fumetti del fratello maggiore, residui di quel terribile passato e capaci di esprimere, mediante la selezione durante l’acquisto, la natura del trauma in termini mitico/simbolici (streghe, scienziati pazzi e super-bimbetti invulnerabili). In una casa in cui è stato represso l’orrore emozionale in favore di una parvenza senza vita di “normalità”, tali fumetti diventano così la registrazione di questa verità inespressa e indicibile. Se il giovane ragazzo un giorno creasse i propri lavori artistici, ci si dovrebbe aspettare in qualche modo il suo indirizzamento verso questo linguaggio nascosto e l’interpretazione delle sue nozioni di verità basate proprio su tale esperienza.

Allargando il ragionamento e applicandolo alla società intera, possiamo osservare il valore intrinseco nel lavorare in un campo che gode di scarsa considerazione. Pur essendo certamente tenuti a bada dai preconcetti del pubblico generalista, godremo anche di benefici in modi che spesso non siamo disposti a sfruttare. Quest’aura di sincerità di cui stiamo parlando deriva dall’essere considerati non sofisticati e (culturalmente, finanziariamente) insignificanti. Il fumettista sofisticato e importante, per il momento, potrebbe sfruttare questa cosa a proprio vantaggio, con la consapevolezza che questa possibilità andrebbe perduta per sempre, se riuscisse a essere accettato in qualunque modo tra le classi più rispettabili di creatori.

AL GIOVANE AUTORE

Ci vogliono anni per assimilare l’immensa mole di competenze necessarie all’autore di fumetti (dal disegno alla recitazione, fino alla tipografia etc.) anche per il più dotato dei ragazzi prodigio; un processo reso ancora più difficile dalla vergognosa mancanza di esempi gratificanti da seguire. Frustrato e confuso, egli deve studiare ogni sorta di mezzo espressivo e imparare lentamente, andando per tentativi. Dunque il fumettista (così come lo scrittore, il pittore, etc.) dovrebbe realizzare le sue opere migliori verso i quaranta o cinquant’anni, solo dopo aver maturato una certa sicurezza di sé; solo pochi animi determinati riescono però a mantenere il proprio entusiasmo così al lungo, senza lasciarsi andare alle scorciatoie, agli stereotipi etc.

Affinché lui/lei si risparmi una vita di frustrazione, il giovane autore dovrebbe capire perché ha scelto proprio questo campo, servendosi dell’oggettività più spietata. Lui preferiva essere uno scrittore, ma ritiene che una forma di comunicazione svilita come quella dei fumetti offra meno competizione, così da sviluppare uno stile rudimentale per illustrare storie che nessuno avrebbe notato altrimenti? Oppure lei desiderava essere una pittrice, ma sente che le sue idee di seconda mano riuscirebbero ad avere più successo in un settore in cui il pubblico è privo di ogni conoscenza delle tendenze artistiche? Se è così, questi “lui” e “lei” dovrebbero sposarsi tra loro e lasciarci in pace.

Anche il disegnatore professionista dovrebbe comunque interrogarsi di continuo sul modo in cui fa le cose. Per esempio, disegna con uno stile “libero” poiché ritiene che abbia più “energia” o perché si fa prima, con meno fatica e, per essere onesti, perché non sa disegnare affatto? Non temere mai di guardare il tuo lavoro: arriva a esserne disgustato, buttalo nel cesso e ricomincia da capo.

Alcune idee da considerare:

– I fumetti tendono a propendere verso il linguaggio iconico (“le avventure di un blob noioso”) perché ciò incoraggia l’identificazione del pubblico. Proviamo ad allontanarci da questa Arena dell’Indeterminatezza (un giochetto da quattro soldi per adulare il lettore superficiale) fino a giungere nel Reame dei Dettagli.

– Studia e contempla la natura dell’immagine fissa. Quello che riesce a offrire alla narrazione che le immagini in movimento non riescono a dare. Trova e analizza un fermo immagine intrigante di un film che non hai mai visto prima, poi osserva l’intero film per vedere come e perché perde questo fascino irresistibile.

– Pensa alla vignetta (o alla pagina o all’intera storia) come un organismo vivente con, ad esempio, il testo atto a rappresentare il cervello (la parte interna: le idee, la religione) e le immagini il corpo (la parte esterna: la biologia etc.), che viene portato in vita dalla scintilla creata mediante il perfetto accostamento delle vignette in sequenza.

– Considera l’idea di usare tutto l’insieme della “robaccia” disponibile nel vocabolario dei fumetti (balloon di pensiero, onomatopee etc.) Di fatto tutte queste tecniche sono neutre quanto una virgola, un sospiro o una dissolvenza ed è stato solo il loro uso a renderle così di basso livello.

– L’albo a fumetti è davvero un articolo perfetto per il consumatore. E’ portatile, flessibile, abbastanza economico da essere buttato ma abbastanza duraturo da resistere più vite se archiviato con cura, leggero, colorato e semplice (non c’è bisogno di essere confezionato o imbustato). Pensa sempre in termini dell’intero pacchetto, alla coesione strutturale di ogni componente (dal numero delle pagine agli “indicia”, etc).

IL FUTURO E OLTRE

Mentre entriamo, muti e impotenti, nell’era digitale dell'”accesso istantaneo” (o eccesso costante) la fragile chimica del nostro dispositivo narrativo per immagini (fatto a mano, non-automatico) sembra essere in grande pericolo, assieme alle sue innate e sublimi sfumature (la struttura e il silenzio delle pagine e la nostra profonda fede nella carta economica atta a trasmettere queste fascinazioni, senza la minaccia di guasti meccanici o noiosi rumori cinguettanti). Leggere un albo a fumetti come dio comanda è un piacere semplice; il nostro prezioso opuscolo, così come il Vaudeville o la lanterna magica, appartiene senz’altro a quel genere di cose che rimangono schiacciate dagli ingranaggi del progresso.

Probabilmente continueranno a esistere narrazioni testo/parole in qualche forma tecnologicamente avanzata ma, una volta trasferiti in un mondo di possibilità opprimenti, questi frammenti fissi e silenziosi diventeranno estranei al contesto (non sentite già gli effetti sonori irritanti?), umiliati nel loro significato dagli stessi metodi di trasmissione. Chi vorrà mai guardare uno spettacolo così triste, specialmente quando girando una manopola potremo assistere al Canale 3D Stereo 100%-Necrofilia? È come vedere un negozietto a conduzione familiare accanto a un supermercato gigantesco; vorreste supportarlo in qualche modo, ma d’altro canto vi sembra quasi crudele prolungare la sua agonia.

Le nuove tecnologie promettono uno spostamento strutturale (“democratizzazione” è una parola spesso usata) in favore del lettore, donando a quest’ultimo un ruolo predominante nel rapporto dare/avere tra artista e pubblico. Gli verranno date possibilità di scelta, in modo che possa “interagire” con la narrazione. È una cosa positiva? Ogni nostro lettore è un degno collaboratore o il suo coinvolgimento rende l’intero processo meno efficace? E noi, come lettori, è questo che vogliamo? I giganti dell’intrattenimento vanno in questa direzione; assecondare lo zoticone impaziente fornendogli materiale che spazia solo dal foraggio masturbatorio all’equivalente narrativo di un giro sulle montagne russe.

È proprio a causa di questo declino culturale globale che nutro speranza nell'”industria dei fumetti”, affinché continui in modo simile alla sua incarnazione attuale per il futuro prossimo, forse anche che “scateni” qualcosa in modo da raggiungere un pubblico più ampio (coloro che hanno voglia di leggere, ma che hanno perso il gusto verso le parole prive di immagini d’accompagnamento). Oltre a questo, i fumetti continueranno a esistere fino a quando saranno realizzati. Nella peggiore ipotesi ci sarà una elite, piccola ma appassionata. Forse, una volta che i fumetti subiranno i definitivi colpi negativi da parte del mercato, inizieranno a essere presi seriamente dagli accademici e dagli storici dell’arte; ciò avverrà solo se gli autori continueranno a produrre lavori di una qualità tale da non poter essere ignorati e messi da parte. Ho comunque il sospetto che, anche di fronte all’indifferenza totale, ci saranno sempre alcuni di noi che continueranno a creare fumetti, anche solo per le vaste praterie inesplorate che si trovano tra ciò che è stato già fatto e le eccitanti possibilità che si aprono in ogni direzione.

***

Abbiamo parlato di Dan Clowes nei seguenti post:

Clowes, intervista su “Wilson”
Appunti su Wilson

Ghost World: “Sei diventata una splendida giovane donna”
Wilson secondo Paul Gravett
Ice Haven: il romanzo a strisce
Dan Clowes al tavolo da disegno
Wally Wood e Daniel Clowes
Clowes sul termine “graphic novel”


Ancora Clowes sul termine “graphic novel”

10 risposte a “Daniel Clowes Modern Cartoonist

  1. da leggere assolutamente, mitica la foto vintage di un inedito Daniel Clowes .

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  5. Ho letto solo ora questo bellissimo post che mi era sfuggito mesi fa. Trovarsi di fronte a certi testi mi lascia come al solito senza parole, mi cambia un po’ la giornata. Insomma, in questi passati 13 anni da quando Clowes ha scritto l’articolo, mi sembra che la situazione del mondo dei fumetti non sia affatto migliorata, anzi credo siamo entrati in una nuova crisi del settore (più mi guardo intorno e più vedo adulti nostalgici degli anni ’80 e dei tempi delle riviste contenitore e giovani sempre meno interessati a questo medium, per non parlare degli aspiranti autori ignoranti come capre morte riguardo al settore in cui vorrebbero professare).
    Se smettiamo di credere a una possibilità di rivalsa, nessuno un giorno si sveglierà dando al fumetto, così dal nulla, ciò che si merita: una dignità artistica e culturale.
    Bisogna lottare.

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