Simpatia por el devil – Miguel Angel Martin

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Il portale di web comics Verticalismi, in collaborazione con la Nicola Pesce Editore sta serializzando, con cadenza bisettimanale, la serie divignette Simpatia por el devil, dell’autore spagnolo Miguel Angel Martin, originariamente pubblicata in Spagna da Tam Tam Press.

Come per molti lettori della mia generazione l’incontro con Miguel Angel Martin avvenne a metà degli anni Novanta sulle pagine del suo Brian The Brain edito, in otto volumi spillati, dalla ormai scomparsa – e sempre rimpianta – Topolin Edizioni. Erano gli anni, quelli, in cui cominciavo a frequentare le mie prime fiere di fumetto e, pur non avendo mai avuto un atteggiamento da fan, in occasione di una vecchia edizione di Expocartoon, volli conoscere Jorge Vacca, fondatore e proprietario della Topolin per parlare di quello strano fumetto che così tanto e così profondamente mi aveva coinvolto. Da lì a poco il sequestro da parte della procura di Cremona di un altro fumetto di Martin, Psychopathia Sexualis, edito in Italia sempre da Vacca, riportò prepotentemente alla ribalta nel dibattito pubblico nazionale i temi della libertà di espressione e della censura, come non succedeva dai tempi di Ultimo tango a Parigi [per una panoramica sulla vicenda potete leggere QUI]

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Anche se la fredda crudezza anatomopatologica di Psycopathia Sexualis ne fece, all’epoca, sia un caso di cronaca che un punto di svolta per il cosiddetto fumetto underground – dalla lamentazione e dall’autocompatimento alla dissezione cronachistica, dal compiacimento del disgusto provocato tramite il difforme all’integrazione acritica della devianza [1] – Brian fu per me la vera opera illuminante.

Variamente descritto qua e là, a mio parere erroneamente,  sia come una distopia che come un’opera di fantascienza, le avventure del giovane Brian, ambientate in una iper-razionale e asettica metropoli-laboratorio, sono invece perfettamente ancorate al presente o, meglio, ai nostri giorni si offrono sia come laterali che perfettamente sovrapponibili, come se leggendo i racconti di Martin guardassimo la realtà attraverso i rivelatori occhiali di John Nada. Più che di racconti, nel caso di Martin, sarebbe giusto parlare di cronache.

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Alle cronache, così dichiarate dal loro stesso autore, ed esplicitate come tali dallo stile adottato, di Psycopathia Sexualis, formalemente uno dei risultati più alti raggiunti dall’autore, continuavo e continuo, però, a preferire la figura di Brian. All’epoca della prima edizione italiana di Brian The Brain, da ragazzino, credevo che questa mia preferenza si giustificasse con la paura di identificarmi con le oscurità e le perversioni descritte da Martin – anzi, forse con il terrore di trovarle seducenti – mentre potevo approdare con più tranquillità al mondo di Brian, attraverso la simpatia che questo disprezzato reietto, nel ruolo di contraltare empatico del glaciale mondo circostante, mi suscitava. Oggi, a distanza di una quindicina d’anni, rileggendo le stesse pagine, capisco che anche questo timido bambino dal cervello esposto e dai modi gentili non era esente da devianze.

La sua necessità di sentirsi accettato, il suo bisogno di amare, così grande, da diventare egoistico e a tratti indifferente, lo rendevano quasi altrettanto patologico del mondo in cui si trovava a vivere [2], soprattutto nella sua condizione di non ultimo nella scala del disprezzo da parte dei cosiddetti “normali”.

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Dopo la pubblicazione dei volumi qui citati e, soprattutto, dopo il successo virale dei suoi fumetti muti con protagonista Bug, dei gioiellini di umorismo e disgusto, Martin si è affermato come uno dei migliori autori del panorama contemporaneo, espandendo la sua attività dal fumetto al cinema, al teatro, al design e facendo dei propri personaggi un marchio vendibile anche sotto forma di tazze, sottobiccchieri, poster; insomma tutto che il mercato del merchandising può inventare intorno ad un brand di successo (qualche esempio di questo fenomeno è presente sul sito dell’autore). Inoltre i suoi lavori hanno cominciato ad apparire su riviste – Marie Claire, RollingStone, GQ, Maxim, XL etc. – di cui, in molti casi mi è difficile condividere sia l’estetica che l’ideologia che questa estetica sottende.  Il mondo immaginifico di Martin è, insomma, diventato un fenomeno che ha trasceso la carica disturbante dei suoi primi lavori e si è trasformato in un marchio.

Il mio interesse per le sue opere a fumetti si è, invece, molto raffreddato.

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Esauritosi il mio entusiasmo per la “nuova carne”, quando anche quest’estetica si è istituzionalizzata – ed eXistenZ di Cronenberg è il patinato manifesto di questa capitolazione – ho cominciato a trovare i lavori dell’autore spagnolo ripetitivi, graficamente sempre meno interessanti e ormai orientati verso la scelta di temi il cui potere disturbante, vuoi per i tempi vuoi per una scelta di scrittura, un po’ “seduta” da parte dell’autore, si era, negli anni istituzionalizzato e diventato più chic che riflessivo.

La delusione, un po’ malinconica, seguita alla lettura di volumi come Neurohabitat –che racconta della scelta di un adolescente di auto recludersi nel proprio appartamento, riprendendo il fenomeno nipponico dell’hikikomori –  o Giorni Felici – un libro per bambini ambientato negli scenari tipici di altre opere di Martin come Brian The Brain o Snuff 2000 – mi avevano portato a disinteressarmi della sua opera, diventata ormai una, a tratti, grigia e generalizzata critica alla modernità e alle sue devianze.

Il didascalismo tipico della scrittura di questo autore si era disciolto nella ripetitività di situazioni, ambientazioni e temi, perdendo quell’accezione morale che ne caratterizzava e ne valorizzava l’uso nelle prime opere, per trasformarsi in una fiacca imitazione di se stesso, diventando di maniera. Da opere di Martin si era passati ad opere “alla” Martin, con quella sicurezza innocua che solo i marchi possono proporre.

Recentemente, però, due suoi lavori hanno attirato di nuovo la mia attenzione.

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La prima, Brian The Brain da adolescente (edizioni NPE, 135 pagine, 9.90 euro), oltre a rappresentare il seguito dell’opera più nota dell’autore, recupera le tempistiche narrative del suo primo periodo, riuscendo  a creare un affresco narrativo di nuovo coinvolgente e credibile, su cui vediamo muoversi personaggi che sono tali e non solo totem eccessivamente semplificati. Il segno, che negli anni si è evoluto verso una maggiore sintesi, cedendo il passo a un disequilibrio tutto a favore dei bianchi – e non si pensi che anche questa non sia una scelta etica – , è quello pulito e netto del Martin maturo ma Brian, anche se con qualche anno in più sulle spalle è (fortunatamente) sempre lo stesso. Sempre evitato dai “normali”, verso i quali prova una colpevolizzante attrazione/invidia, turbato dai primi amori, Brian si evolve, ancora inconsapevolmente, verso l’adulto conformista e rancoroso che forse diventerà. Per saperlo si dovrà però aspettare la terza e ultima parte che Martin dedicherà al suo personaggio.

L’altra bella e perturbante sorpresa che il fumettista iberico mi ha riservato è, come già detto, attualmente in corso di pubblicazione, con cadenza bisettimanale, sul portale Verticalismi. Si tratta della serie di vignette Simpatie por el devil. Martin, che qui recupera lo stile cartoonesco sperimentato già sulla serie Kyrie Nuevo Europeo (e che sembra avere importanti debiti con l’opera di Massimo Mattioli). Vignette, queste, che inizialmente mi avevano lasciato quasi del tutto indifferente. Le associavo, inizialmente, alla china discendente che la carriera dell’autore secondo il mio gusto stava seguendo, ma in realtà ne avevo frainteso completamente il senso è sottovalutato la potenza.

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Il didascalismo, tipico dello stile e della poetica di Martin, qui acquista una forza nuova e non solo attraverso il – di fatto già visto – contrasto fra messaggio e segno, nella dicotomia contrappuntistica  fra buffi animali antropomorfi e satira sociale. Il didascalismo dell’autore spagnolo, qui, acquista una dimensione antica, liturgica. Queste vignette ricalcano la semplice, diretta e didattica forma del libro dei Proverbi e presentano la stessa forza iconica di una miniatura ottoniana o di una offerta votiva. Poco importa che questa impostazione serva per un ribaltamento del senso, che il lucido cinismo dei protagonisti della serie di vignette contrasti con la linea che ne traccia i contorni e con le loro espressioni, così divertite da apparire sadiche e folli. La dimensione religiosa, mistica, sopravvive prepotente e la religione che promuove è quella  dello sfruttamento,  del sopruso, della libertà possibile solo come concessione da parte del potente, dell’inutilità della ribellione, anzi, spesso del suo conformismo. Per omnia sæcula sæculorum. Amen.

 

—————————————————————————————————[1] L’opera conserva ancora oggi tutto il suo fascino. Nel 2010 è stata presentata una riedizione dell’opera per i tipi della Purplepress, credo ora fuori commercio.

[2] Ritrovai la figura del  piccolo Brian alcuni anni dopo, nel protagonista di uno dei film del cinema fantastico americano meno compresi di sempre, quel “AI – Artificial Intelligence” di cui anche io, in occasione della prima visione, fraintesi il crudele e tagliente finale.

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