La storia di Big Numbers raccontata da Bill Sienkiewicz

Particolare da “Big Numbers #3”

Big Numbers è l’opera mai completata di Alan Moore e Bill Sienkiewicz. Un caso ancora oggi oscuro, in cui si cita spesso Al Columbia, a quel tempo assistente di Sienkiewicz. Di Big Numbers, che doveva essere composta da dodici numeri, uscirono solamente i primi due capitoli. Il terzo è stato completato ma mai pubblicato, mentre il quarto si dice che sia stato distrutto.

Pádraig Ó Méalóid, colui che vinse all’asta su eBay le fotocopie dell’intero numero tre di Big Numbers, ha postato recentemente sul suo blog (nel quale trovate il link alle fotocopie di Big Numbers #3), uno scritto di Bill Sienkiewicz che doveva originariamente essere pubblicato su The Beat, ma poi scartato da Heidi Mcdonald.
Sienkiewicz spiega dal suo punto di vista come andarono i fatti, il perché non riuscì a terminare la serie e la sua disputa con Al Columbia.
Di seguito la traduzione di alcune parti di questo scritto. Un racconto toccante, profondamente sentito, che mette in gioco il ruolo dell’autore e che allo stesso tempo si rivela la confessione di un uomo normale.

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traduzione di Andrea Queirolo

Copertina del primo numero di “Big Numbers” by Bill Sienkiewicz

Anche se di Big Numbers #3 si sono viste solo dieci pagine, l’intero numero è stato disegnato e completato. Tutto quanto. Non solo le dieci pagine in circolazione. Ora, su chi ha disegnato cosa: fatta eccezione per un paio di sfondi minori (e per essere completamente onesti, non credo che [Al Columbia] abbia disegnato qualcosa in questo numero – ma devo ammettere che posso essere confuso su questo fatto […]) tutto il numero 3 di Big Numbers – ripeto: tutti i disegni di Big Numbers #3 sono stati creati dal sottoscritto. Oppure, per chi preferisce l’inverso: niente di Big Numbers #3 è stato disegnato da Al Columbia. […] Immagino che lui vorrebbe prendersi il merito – giustamente – del lavoro che è completamente suo: riferito a quello del numero 4 (io personalmente non ho mai visto nulla di questo numero. Ho sentito che Al lo distrusse nella sua interezza, ma non posso dire che ho assistito a questa distruzione in prima persona). Così mi vergogno di dire che, fatta eccezione per la copertina – a quel punto, approssimativamente, avevo fatto le copertine di circa mezza serie – non ho disegnato nulla del numero 4.

Forse il perchè di questa questione [sulla disputa fra chi avesse disegnato il terzo numero] sta nel fatto che nel numero 3 si presentano dei cambiamenti nello stile di disegno rispetto ai primi due numeri. L’uno e il due sono stati fatti in modo più fotografico, con una pacata atmosfera aerografata in stile pittorico. Sebbene amassi lo stile e mi piacesse immensamente lavorare all’interno di questi parametri, mi sono reso conto che scegliendo di procedere in quel modo per dodici numeri, mi sarei infilato in un vicolo cieco. Questo approccio era incredibilmente dispendioso e in definitiva opprimente e impossibile. Le cose stavano cambiando da numero a numero e diventando, per la natura della storia, più intrecciate e caotiche – la serie avrebbe dovuto essere stata dipinta interamente a colori per dodici numeri e, con l’introduzione in ogni numero di più variabili, il colore diventare un elemento dominante. In aggiunta al carico di lavoro, per ogni numero c’era la necessità di fare degli accurati schizzi preparatori dei soggetti di Alan.

A questo punto mi piacerebbe dire che tutto ciò che avete sentito sui soggetti di Alan è vero. Alan è un genio, un gentleman assoluto. Chiaro e semplice. Sì, le sue sceneggiature sono dense. Sono brillanti, stratificate, sfumate, variegate, materiche, belle e scoraggianti. Tutto allo stesso tempo. E anche se Alan è incredibilmente deferente e generoso verso le variazioni effettuate dagli artisti, le sceneggiature impongono davvero, anzi esigono, di essere rispettate nella loro totalità. Sono praticamente sacrali.

Particolare di “Big Numbers #3”

Così, lo ammetto, ho trovato le sceneggiature di Alan una sfida di incredibile dimensione e bellezza. […] Lavorare con Alan è stato come passare dalle tabelline alla fisica quantistica tutto nello spazio di un momento.
Così ho dovuto fare i preliminari. Ho dovuto quindi utilizzare tali immagini per fare le coreografie, e poi fotografare, in media, quarantacinque persone diverse per i personaggi, sia primari che secondari. Devo dire che solo uno di questi modelli era un vero modello. Il resto di questo cast Dickensiano (Mooresiano) era composto da persone reali con le vite reali, molte delle quali, anche se non tutte, avevano poco o scarso interesse nei fumetti. […] Ero sicuramente in balia degli eventi, sopraffatto dai “grandi numeri”; dove, il coordinamento di questo mostruoso e sempre più dispendioso programma fotografico sarebbe stato – in sé e per sé – abbastanza folle da sopportare per qualsiasi individuo sano di mente. […] Finanziariamente, Big Numbers cominciò a diventare uno sperpero di denaro. Troppo tempo e fatica furono usati per ottenere la documentazione, lasciando ben poco tempo per creare i disegni. Tempo. L’ultimo strumento. Il nemico finale. […] In più le cose degenerarono: orribilmente, purtroppo, due dei modelli morirono. Un buon amico annegò in uno strano incidente in barca. La sua scomparsa fu così terribile. […] Un altro amico, […] Ray morì di cancro al pancreas e lasciò la moglie e una bambina di quattro anni. […] La sfida più grande per la serie doveva ancora venire. Il personaggio principale, la mia amica che ha posato per il personaggio di Christine, ha scelto quel particolare periodo di tempo per sposarsi. Ora, questo non avrebbe dovuto essere un vero problema, giusto? Beh, di solito, probabilmente no, tranne che sposò un militare, e suo marito era di stanza in Germania. Così, dopo il taglio della torta nuziale e la lavata di champagne, è Auf Wiedersehen Christine. […] Inoltre, lo sfondo di questo periodo di tempo è stato saturato da enormi cambiamenti personali nella mia vita, come lo è stato: la spaccatura abbastanza nota con Al Columbia […] Vorrei sottolineare che Al e io abbiamo da tempo fatto la pace. Non serbo per lui nessun rancore.

Particolare da “Big Numbers #1”

[…] Una digressione: dovrei spiegare a questo punto che non sono affatto uno schiavo della fotografia. Odio essere schiavo di qualcosa che potrebbe diventare una stampella. Le foto sono strumenti da essere utilizzati e modificati per ogni specifica esigenza di ogni specifica situazione. Vorrei utilizzare la fotografia per le posizioni di base e come guida per le proporzioni. Poi mi piacerebbe cambiare le cose in base alle mie conoscenze accumulate dal disegno dal vero – circa quaranta album di schizzi di questi disegni. Altre volte mi piacerebbe semplicemente fare le cose come vengono. La prerogativa di un artista. Come Al Williamson mi disse una volta quando stava cercando di disegnare scene della sua immaginazione, piuttosto che utilizzare fotografie. Fece riferimento al dover “ripiegare sul talento”.

Ma con Big Numbers una delle esigenze – prerequisiti – che mi ero imposto fu quella di lavorare quasi esclusivamente in riferimento ai modelli per quanto possibile. Miravo al maggior grado di verosimiglianza illustrativa fotografica che avrei potuto raggiungere. Dannazione, stavo perseguendo il riferimento preciso, non importa quale. E’ stato, a posteriori, un vano tentativo di controllare tutto – tutto – completamente, finché le cose turbinarono e si scontrarono a mezz’aria tutto intorno. Questo fu il mio periodo alla Stanley Kubrick. Naturalmente, più cercavo di controllare tutto, più la Vita Reale mi prendeva a calci in culo.

Tavola esplicativa dell’uso della fotografia

[…] Mi resi conto, dopo la lettura del terzo numero, che sembrava appropriata un’alterazione stilistica , come avevo fatto in Elektra: Assassin. Il giovamento avrebbe mostrato il sempre più caotico ambiente che i personaggi abitavano, e avrebbe anche accelerato il processo e la finalizzazione delle pagine. (O almeno così speravo: avevo bisogno di guadagnare – come ho detto – una parvenza di controllo su questo colosso in fuga.) Quindi, sono passato a fare le pagine a penna e inchiostro, con un’aggiunta di aerografia, schizzi e matita su cartoncino Craftint .[…] Big Numbers riguardava la ricerca di ordine nel caos. E le cose non avrebbero potuto essere state più caotiche di quanto non fossero lì per lì. E poi, il mio lavoro è sempre stato di cercare di fare ordine nel disordine.
Le scadenze saltarono. In mille pezzi. Non riuscivo a dormire […] I soldi erano sempre meno. La produttività ha sofferto molto. Big Numbers diventò la mia vita. […] Quindi, in parole povere, tra i numeri 2 e 3, la mia cosiddetta vita diventò completamente un inferno personale.
Così – Tutto ciò porta infine al momento in cui terminai il numero 3 nella sua interezza, dopo accettai di lasciare le redini della serie – e così ho consegnato tutti i disegni di Big Numbers #3 a Paul Jenkins e Kevin Eastman , e son passato a fare pubblicità e lavoro di illustrazione … Una rottura che era imperativo … e nel farlo, ho effettivamente ceduto il testimone ad Al.
Ho pensato che fosse la fine.

Oggigiorno, mi lamento del fatto che io e Alan non abbiamo mai finito la serie. Io in realtà non possono letteralmente digerire il pensiero che questa rimanga un buco nella nostra vita creativa, di certo nella mia. E onestamente, non c’è una settimana che passa senza che io non pensi di portarla a termine, su come contattare Alan dicendogli: “Parla un adulto. Che ne dici? Dai dai facciamolo!” Capisco la sua grande delusione, anche se non ho dubbi che ci sia passato sopra. Diventando, se è possibile, ancora più brillante. Ho chiesto scusa a Alan personalmente, e agli altri, per la mia colpa. E mi scuso con voi – i lettori. […]

Copertina di “Big Numbers #3”

10 risposte a “La storia di Big Numbers raccontata da Bill Sienkiewicz

  1. meraviglioso!

  2. ottimo lavoro, come al solito

  3. Bellissimo scritto. Fa sempre piacere constatare la crescita di una persona. Grande Bill.

  4. Gran bell’articolo.
    Grandissimo bell’argomento.
    Chissà che poi un giorno… Mah…

  5. i mostri esistono e sono in realtà umani.

  6. Caro Bill, sei un grandissimo, se possibile ti amiamo ancora di più, però da questa storia Al Columbia ne vien fuori veramente come un pezzente (vedi interviste di Kevin Eastman e dello stesso Al sul Comics Journal eoni fa…)! ;))

  7. Pingback: Sulla (presunta) schizofrenia di Bill Sienkiewicz | Conversazioni sul Fumetto