“La vera storia di Lara Canepa” vignetta dal prossimo libro di Giacomo Nanni
Seconda parte della conversazione fra Giacomo Nanni e Manuele Fior.
Nanni Skypes Fior Parte 2
di Giacomo Nanni
Giacomo Nanni: Quando pensi ad una tavola, pensi in termini di masse e di colore? Realizzi acquerelli più dettagliati prima di arrivare a quella sintesi? In Cinquemila chilometri c’è una forte caratterizzazione dei capitoli della storia anche in termini di colore. E’ una cosa che hai calcolato nei dettagli prima di cominciare ogni capitolo? Il capitolo riguardante l’Egitto per esempio, si capisce molto bene che tratti di un luogo soggettivo, tuo, personale, ma non gli manca nulla, soprattutto per la descrizione dei caratteri dei personaggi secondari. Anche quegli episodi lì, li hai improvvisati mano a mano che andavi avanti?
Manuele Fior: Penso a un colore principale, in genere non faccio prove prima, perché se una prova mi viene bene di sicuro la tavola verrà peggio. Tanto vale attaccare direttamente il definitivo. Lavoro in genere su tutte le vignette contemporaneamente, perché quando per esempio hai trovato un buon colore per la pelle è un casino ritrovarlo, per cui lo metto su tutti i volti della tavola. Lo stesso vale anche per gli altri colori. Quando tutto è più o meno al suo posto, disegno gli occhietti le manine e tutto il resto.
Il capitolo dell’Egitto in cui si racconta il viaggio in treno dal Cairo ad Aswan è improvvisato, ma sapevo esattamente dove andare. Invece il sogno del protagonista è stato molto meditato, perché per metà doveva essere un vero sogno e per metà avere la funzione di svelare alcuni rapporti tra i personaggi. Ce se sono tre versioni.
GN: Ce ne sono due inedite quindi? Non le hai buttate nel cestino.
MF: Alcune tavole si’, ma altre sono sopravvissute.
GN: In effetti però il sogno non svela i rapporti reali fra i personaggi, o meglio non sai che sono reali fino alla fine, sembra solo una paura di Piero. Quest’ultima risposta, la parte sul colore della pelle e il resto, è proprio quel che cercavo di tirarti fuori.
MF: E’ il mio cavallo di battaglia.
GN: Ieri parlavo di forme, ma si capisce benissimo che sono subordinate rispetto al colore. E’ dall’espressività del colore che dipende la scelta di forme così stilizzate quindi?
MF: Non lo so. Ho cercato di disegnare più veloce possibile. Le tavole migliori sono quando ne ho fatte 3 al giorno.
GN: Quindi le forme sono subordinate al colore, che è subordinato alla storia, che è subordinata all’istintività dell’esecuzione? Si potrebbe dire così?
MF: Ostia, non lo so, non è che ci sia proprio sta gerarchia.
GN: Credo anche io che non si possano schematizzare le cose.
MF: L’istintività è importante si’.
GN: Sì, anche per me, anche se sono piuttosto combattuto.
MF: Poi ci sono anche altre cose che sono più scelte razionali. Un colpo al cerchio e uno alla botte.
GN: Ti capita di sorprenderti di certe reazioni dei tuoi lettori? Magari vedono cose che non avevi previsto.
MF: Sì, certo. Mi sorprende sempre quando a qualcuno piace un mio libro. Poi mi sorprende che a qualcuno piacciano delle cose che io giudico degli errori. Se guardo alle cose che ho fatto fino ad ora, vedo errori disseminati dappertutto e spero sempre che i lettori non li notino.
GN: Pensi che ci sia una difficoltà oggettiva del disegnatore medio italiano nel disegnare la donna senza fare appello a stereotipi sessisti? Te lo chiedo perché è evidente, al contrario, la tua sensibilità peculiare in questo senso. O non vuoi parlare male dei disegnatori italiani?
MF: Penso che ci sia un difficoltà in generale. Non soltanto a disegnare la donna, ma pure l’uomo. La sessualità in generale mi sembra un tabù fumettistico. Il fatto che sconfini sempre nel genere fumetto erotico o porno è deprimente. L’ultimo che ha cantato la donna, l’amore fisico e lo stravolgimento sessuale è per me Crepax. Ci sono alcune cose di Mattotti, Pazienza, Bacilieri che sono profonde. Ma è preistoria (scusa Paolo). Il resto, non lo dico per provocare, è una distesa di tette da sogno, culi extra-sodi e cazzi dritti. I fumettisti si sono autocastrati. Menomale che ora arrivano Tota e Cattani.
GN: Pensi che rifletta una mentalità diffusa o è un limite anche tecnico?
MF: Non ha niente a che vedere con i limiti tecnici, che non sono importanti. Il sesso nella stragrande maggioranza dei casi resta la trombata alla Dylan Dog: un’espediente narrativo. Un passaggio obbligato da sbrigare in qualche vignetta. E che funziona in genere (il sesso) alla perfezione.
GN: La trombata alla Dylan Dog forse è anche più retrograda, quasi un retaggio anni ’50. Non so se hai presente come era intesa la partecipazione della donna nel fumetto di avventura, così come nel cinema: un’incapace di intendere e volere che crea solo problemi. Secondo me non è neanche tanto una questione di erotismo. L’impressione è proprio quella di una difficoltà oggettiva nel disegno che riflette una mentalità molto radicata. Lo dico perché io stesso me lo ricordo, da adolescente, come uno scoglio molto forte da affrontare, quello del disegno della donna. Tu l’hai messa addirittura al centro dei tuoi ultimi due libri. C’è un motivo?
Terzo giorno [18/09/10]
MF: Il motivo è che mi affascinano le donne. Sono incuriosito. Raccontando storie di donne mi sembra d’immergermi in una realtà parallela a quella dell’uomo, di cui una parte mi sarà sempre preclusa, anche per questioni biologiche. Ho un’adorazione per il corpo femminile, bello o brutto che sia. Ma anche per i suoi vestiti, che sono sempre nuovi, pieni di sfumature; nell’uomo non trovo questa ricchezza.
GN: Ma c’è stato anche per te un momento in cui hai sentito di superare uno scoglio, nel disegnare donne?
MF: Mi sembra di no.
GN: In ogni caso nel leggere le tue storie l’impressione è quella di un interesse per la persona nel complesso, non solo per l’aspetto esteriore. Lo scrivo perché da come parli l’aspetto erotico sembra continuare ad emergere, “il corpo…i vestiti…”. C’è tratteggiato in poche pagine un rapporto fra moglie e suocera molto bello nel libro. L’una si specchia nell’altra.
MF: Ah si’, quello è una specie di rapporto a cui gli uomini in genere non possono partecipare. Un misto tra pettegolezzo e fare comunella. Il corpo pero’ esprime tanto della persona. Quello che non dici nel balloon lo dici nel corpo.
GN: E’ vero. E’ vero questo fatto. Molto più nel fumetto che nel cinema. Ed è un altro aspetto che non c’entra nulla con l’illustrazione. Non credi?
MF: in che senso?
GN: mi spiego meglio. Credo che sia molto importante il fatto che i personaggi dei fumetti esprimano una loro completezza iconica, non saprei come definirla altrimenti, che nell’illustrazione è assente. Il carachter design è una disciplina che il fumetto ha anticipato di decenni.
MF: Ah, ora ho capito. Sì non centra niente con l’illustrazione. Ok, allora ti chiedo qualcosa io. Posso?
GN: Ok. Cattivo però.
MF: Cominciamo piano. Al contrario di me, mi sembra che tu stia definendo sempre di più uno stile nei minimi dettagli, sottraendo ed arrivando a una sintesi cristallina, quasi classica. Certe vignette di “Cronachette” sembrano senza tempo. Allo stesso tempo c’è qualcosa che sfrigola sempre nel tuo disegno, o in generale nei tuoi esperimenti concettuali. Che strada prenderai?
GN: E’ difficile dire che strada prenderò, non lo so. Ma cosa intendi per sfrigola?
MF: Voglio dire potresti arrivare a uno stile che ti permette di creare dei personaggi consolidati, come quelli delle strip, e portare avanti una cosa nel tempo tipo i già citati Calvin e Hobbes o Peanuts, perché non lo fai?
GN: Sì, il problema è che non c’è l’opportunità editoriale per farlo. Si può dire opportunità editoriale?
MF: Non è vero dai…
GN: Insomma, Coconino non pubblica giornali quotidiani.
MF: Internet.
GN: Sì. Le nuove cose che sto disegnando per il Post sono la cosa che si avvicina di più ad una strip, anche se non ci sono personaggi fissi: c’è la cadenza quotidiana.
MF: Mi sembra che della generazione dei graphic novellisti tu sia l’unico (eccetto Gipi) che gradualmente è passato alla storia di una pagina, e poi alla strip vera e propria, genere che io amo molto. Come si lavora a una strip? Quali differenze ci sono col romanzo grafico? Come si fa a donare l’impressione che in quattro vignette ci sia racchiuso il mondo intero?
GN: Eh, si comincia con il rinunciare a racchiudere il mondo intero in una storia. E’ bella questa domanda. Cioè: quando disegni un libro, una storia, crei una sorta di microcosmo un mondo a parte, il che è anche un’idea utopica. L’idea di riproporre la stessa cosa in solo sei vignette è utopica al quadrato. Non mi pongo il problema di dare un quadro completo di una situazione, ma al contrario, inserisco il minimo indispensabile necessario per far sì che il lettore individui una storia con un suo svolgimento.
MF: Ci pensi tanto al lettore mentre disegni? Riesci a portare avanti una cosa in cui tu credi, ma che giudichi indigeribile a un lettore?
GN: Penso in continuazione al lettore, anche perché il lettore sono anche io. Ci sono tavole che rileggo talmente tante volte di seguito da risultarmi poi incomprensibili. Faccio una pausa e ci ritorno sopra e cos’altro sono se non un lettore. Tu come giudichi il tuo lavoro quando ti rileggi?
MF: Lo rileggo in continuazione finché diventa incomprensibile. Quando sfiora l’incomprensibile è un buon segno, quando arrivi a un punto in cui ti chiedi se va bene o no, in genere non va bene. Rileggendo una cosa tua sei portato a non soffermarti più sui picchi emotivi, ma sui nodi al pettine, quelli in cui inceppi.
GN: Con il prossimo libro sei passato al bianco e nero. Com’è?
MF: Meno emotivo, più ragionato. Ho l’impressione di avere più calma per limare i passaggi, meno paura di sbagliare. Forse mi da più spazio per ragionare su quello che sto facendo.
GN: Ti puoi concentrare più facilmente sull’intreccio forse? senza la preoccupazione di delineare un’atmosfera con il colore?
MF: Il colore succhia un sacco di energia, è molto legato all’attimo in cui lo butti sul foglio. Il bianco e nero é esclusivamente legato al disegno, c’è una parte più riflessiva ma anche meno l’impressione di levarsi nel vuoto. In Cinquemila ogni tanto avevo l’impressione di staccarmi da terra e planare per un po’. Dipende dal libro, quest’ultimo è diverso.
GN: Sai già il titolo?
MF: No…
GN: Ah già. Lo stavi cercando!
MF: Non ne ho idea, spero che mi venga sotto la doccia.
Fine.