Kyle Baker, perché odio saturno. Ovvero: chi compra, mente.

di Tonio Troiani

« Scrissi Perché odio Saturno quando i fumetti non mi divertivano più. Ero stanco di sentirmi dire come disegnare e cosa disegnare. Ed ero nauseato dall’idea di dover chiedere con insistenza di lasciarmi lavorare nella maniera in cui desideravo. Gli editori dicevano che la mia roba era “underground” e “alternative” »1

Lo sfogo di Kyle Baker fotografa appieno una “svolta” fondamentale della sua carriera. All’epoca aveva già dato alle stampe quel delizioso capolavoro di umorismo che è The Cowboy Wally Show, frutto proprio dell’eccedenza che il suo lavoro rappresentava all’interno dell’ordito mainstream. In quegli anni, il giovane Baker lavorava come assistente di alcuni inchiostratori della Marvel Comics ( Josef Rubinstein; Vinnie Colletta e Andy Mushynski ) – per essere esatti il suo ruolo era quello di “background assistant”, si occupava, in sintesi, di curare i fondali delle tavole – e fu in quel periodo che Jim Salicrup gli commissionò una serie di tavole singole sugli X-men dal chiaro sapore umoristico. Il suo lavoro, appunto, troppo alternative e underground fu l’incipit per il primo graphic novel, edito poi dai tipi della Doubleday, a cui Baker si rivolse su consiglio di Rob Fontes. Il romanzo fu un enorme fiasco: visto che – come ricorda l’autore – le copie invendute finirono sugli scaffali dell’Ikea2.

Tuttavia, The Cowboy Wally Show fu la prima vera occasione in cui Baker poté mettere a frutto sia la sua vena umoristica in un formato altro rispetto alla striscia – a cui era ed è particolarmente affezionato – sia tutto quello che aveva imparato come assistente alla Marvel e alla Dc. Infatti, se nell’ambito delle major il suo lavoro restava sempre “ancillare”– con rari casi3– è nel 1989 che Baker può finalmente sintetizzare, per la prima volta, una propria poetica. E’ un anno importante, in cui le uscite per le major sono ridotte all’osso ed il lavoro è tutto focalizzato su tre opere che definiscono appieno il suo stile, delimitandone il perimetro: Dick Tracy; The Classics Illustrated: Through the Looking Glass e quel Perché odio Saturno, su cui ci soffermeremo, in quanto classico per eccellenza della narrazione grafica.

Perché Why I Hate Saturn può essere ritenuto un classico?

Essenzialmente, perché appartiene al periodo fondamentale in cui grazie al successo di Maus e Dark Knight il concetto stesso di “romanzo grafico” incomincia a prendere forma, spostando l’attenzione degli autori dal genere supereroistico verso forme di narrazioni altre, ma anche perché al di là del medium fumettistico può esser visto come un “reperto” storico di quel post-modernismo, di cui tanto si è scritto e parlato in questi decenni ( e che sembra destinato a cadere anch’esso nell’oblio dinanzi all’avanzata di posizioni neo-realiste e “forti” ). Sul primo punto, lo stesso Baker è alquanto scettico:

Ciò di cui parla la gente e ciò che compra sono cose alquanto differenti. La gente si lega più ai personaggi che agli autori. C’è un vecchio detto nel mondo degli affari. Gli acquirenti sono bugiardi. Se fossi un venditore di auto e chiedessi ad un tipo “ Cosa cerca in un auto?” , il tizio ti direbbe “ Cerco sicurezza e valore, economia” etc etc. Non appena va via compra un macchinone per rimorchiare. Se tu chiedi alla gente che tipo di programmi televisivi guardano, ti diranno che non guardano la tv e se lo fanno guardano solo programmi educativi e la PBS. Ma, non è vero, stanno guardando American Idol come tutti d’altronde. Allora, se chiedi che tipo di fumetti comprano, ti parleranno di Perché Odio Saturno e di Nat Turner, ma comprano fumetti come Special Forces – fumetti con gente che fa esplodere le cose. Non vi sarebbe alcuna critica nell’uscire allo scoperto e difendere Special Forces. Non ti rende particolarmente intelligente o sofisticato affermare che Special Force è il tuo comic preferito […], ma riusciresti a stupire chiunque dicendo “ Oh, certo ho letto Why I Hate Saturn, perché nessuno l’ha letto4.

Nonostante, tutti parlino di Perché Odio Saturno, pochi l’hanno veramente comprato o letto, a detta di Baker: farebbe colpo millantarsi di averlo letto, proprio perché sono in pochi quelli che realmente l’hanno fatto. In pratica, Baker inquadrerebbe tutta una seria di “falsi” lettori, già messi alla berlina nelle pagine del romanzo: lettori tipici della rivista su cui scrive la protagonista e che affollano i locali di New York. Tuttavia, l’opera – anche grazie alle sue quattro ristampe – rappresenta un classico sia per ovvie ragioni storiche sia per la sua originalità.

Pubblicato dalla Piranha Press, un’etichetta della Dc specializzata in proposte alternative e, appunto, in graphic novel, Why I Hate Saturn [ d’ora in avanti WHIS ] si presenta già atipico non solo nel tema trattato, ma nell’aspetto: un bianco e nero nitido e tagliente, certo molto più semplice e meno realista di quello usato in The Shadow – dove lo spettro di Sienkiewicz ogni tanto fa capolino – ma nel contempo più naturale, su una base tenue di seppia, che incornicia in maniera ostinata tutte le vignette, caratterizzate a loro volta da un particolare: la completa assenza di balloon, sostituiti da dialoghi e didascalie narrative poste al di sotto delle stesse. Pur avendo anticipato questa soluzione in The Cowboy Wally Show, in WIHS viene applicata sistematicamente.

È questo un primo indizio. Infatti, Baker riutilizza per dei successivi lavori la stessa soluzione, liberando la vignetta dall’ingombrante presenza di balloon, ma svelando nel contempo quanto la scrittura abbia peso nella costruzione del suo lavoro: da notare che WIHS è il primo fumetto con un lettering scritto totalmente al computer5.

“Instant Piano” #2 ( 1994 ).

Ancora una volta i funny paper fanno capolino come strumento fondamentale della narrazione di Baker: la velocità e l’essenzialità delle stesse permettono un’ottimale resa delle punchline. Baker in Perché odio Saturno non fa che “distendere” il formato, adattandolo ad una struttura più complessa: dotandola di un respiro, che oserei definire, “televisivo”. Basta guardare l’incipit del primo capitolo. Delle splash page introducono il set, mostrano l’ambiente metropolitano – nello specifico il ristorare messicano preferito dai due personaggi principali –

per poi lasciare il campo al leitmotiv grafico: una tavola basta su due linee in cui lo sguardo dell’autore, simile ad una videocamera, segue l’andamento delle battute, braccando i due da vicino e sciamandogli attorno per non farsi sfuggire nulla della loro mimica, resa tra l’altro, è il caso di dirlo, in maniera egregia.

L’uso più accattivante di questa tecnica si ha nel settimo capitolo “Crap Bar”, ambientato in una discoteca: le vignette incorniciano le bocche dei due, spalancate nel disperato tentativo di sovrastare l’assordante volume della musica: è praticamente impossibile fare a meno di immaginare il frastuono. Con un gesto grafico, Baker disegna anche uno spazio sonoro, sfruttando l’esperienza vissuta del lettore.

Questa struttura viene violata da Baker soltanto in alcuni casi. Ad esempio, quando la narrazione si svolge in un ambiente già presentato in precedenza, e quindi familiare al lettore ( con alcune eccezioni utili a sottolineare delle variazioni fondamentali nell’ambiente. Si veda per esempio le splash page che aprono il nono e il decimo capitolo: dove la living room della casa di Anne è vista sotto due declinazioni diverse: ordine/disordine = Laura/Anne), oppure quando la narrazione si stringe sulla protagonista. Qua assistiamo ad una fondamentale variazione dell’impostazione grafica. Il primo esempio è rintracciabile nella seconda sezione del terzo capitolo, quando vediamo la protagonista al lavoro, o meglio nel disperato tentativo di rispettare le scadenze con il suo editore.

Oppure nell’ottavo capitolo, nei capitoli “on the road”: tutti casi in cui la narrazione utilizza la “voce” di uno dei personaggi o la fonte è di natura mnestica o di altro tipo ( lettura di una lettera, di un diario, etc etc ).

Ritornando agli aspetti generali dell’opera, l’altro elemento che informa la struttura di WIHS e che ne rappresenta il motivo originario, mostrando così anche il perché di determinate scelte grafiche, è il tentativo di scrivere materiale per una sit com sul modello della famosa Seinfeld, tanto che il successo del fumetto, decretò un certo interesse da parte dell’industria cinematografica. Partendo da questi dati, la “frammentarietà” del romanzo è leggibile seguendo due direttive: l’idea di creare “momenti”; scene, stacchi umoristici, episodi e il tentativo di indirizzare o uniformare il tutto in uno svolgimento orizzontale.

La struttura tipica dei serial ad andamento verticale e orizzontale può essere applicata con ottimi risultati al lavoro di Baker. Ogni episodio ha un andamento verticale che ci parla di Anne da un punto di vista particolare ( il suo lavoro, la sua vita notturna, la vita quotidiana nella grande mela, i suoi coma etilici ).Questi episodi vengono poi posti in serie, quasi per accumulo, per porre in crisi la Weltanshauung della protagonista.

Appunto, la protagonista. Chi è Anne? È un’alcolista, ma anche una scrittrice dotata di un spiccata ironia e di un talento eccezionale, che – certo – preferisce gettare nel cesso. Perché? Perché non le interessa. Quello che Baker mutua da Seinfeld, al di là dell’ambientazione metropolitana e quotidiana, utile a mostrare in maniera quasi fenomenologica l’antropologia sociale dei tardi anni 80, è quello che gli stessi autori di Seinfeld indicarono: il nulla. La protagonista non fa nulla per uscire dalla sua situazione di disagio esistenziale, anzi l’amplifica sino a rendere innocuo il suo alcolismo:«Capisci che se nei guai quando cerchi di predire cosa ti farà il prossimo drink . Tutta la prima parte del romanzo è incentrata su un accumulo di episodi tesi a sottolineare l’apatica indifferenza con cui Anne affronta il suo quotidiano: le lamentazioni, a cui sottopone Ricky, fanno parte ormai di un canovaccio consolidato, e la stessa metamorfosi da scrittrice nerd e depressa a femme fatale è poco più che una mascherata. A questa lenta e continua “costruzione” del personaggio, Baker contrappone nella seconda parte del romanzo una sterzata, grazie all’ingresso di Laura, la sorella saturniana di Anne.

La trama accelera sino a toccare il non-sense in un road-comic, che cita spassionatamente il cinema. Ma, senza entrare nel particolare, per non guastare la festa a quanti pur dicendo di averlo letto non l’hanno mai fatto, il tutto implode nella scena finale. Non vi è alcun sviluppo nel carattere di Anne, sebbene non abbia più problemi finanziari e sia un scrittrice affermata e dica di aver superato il senso di inferiorità Adesso, le parti possono sembrare invertite nel dialogo tra Ricky e Anne: ma la sostanza è la medesima: vi è una totale sfiducia nelle relazioni e in sé stessi. Qui vi è il raccordo pieno con quanto Thomas Hibbs ha rintracciato in alcuni serial televisivi e in alcuni prodotti della pop culture6, tra cui quel Senfield, che abbiamo indicato come uno degli spunti fondamentali del romanzo grafico di Baker, cioè l’accartocciamento e la cristallizzazione in un eterno presente dei personaggi. «No hugging, no learning », era l’unica regola dei produttori di Seinfeld: e Baker sembra adottarla in pieno, mettendo appunto in crisi la funzione stessa di un romanzo di formazione. Tutto ciò che Anne ha acquisito è sintetizzabile in quello che dice a Ricky nel ventitreesimo capitolo:« Quando due grosse personalità stanno insieme si crea inevitabilmente una lotta di potere. E ho vinto io »: è una mera questione di ruoli, di forze, di equilibri. La virtù post-moderna di WIHS è tutta in questa disgregazione di un punto di vista critico su ciò che accade: l’unica portatrice di valori è una pazza che si crede provenire da Saturno ed è in fuga da un fidanzato pronto a tutto, anche ad uccidere per riaverla.

Per quanto intrecciato ad un caracollante noir, la grandezza di WIHS è nell’effervescenza della scrittura; nelle situazioni improbabili; nei dialoghi che sprizzano ironia e sagacia nel tratteggiare il carattere di una generazione votata al dispendio di se stessa: una fiera e feroce foto di una New York, che in questo fine decennio a quasi vent’anni di distanza – nonostante il tono seppia – è quanto mai attuale.

2 Modern Master Vol. 20: Kyle Baker, TwoMorrows Publishing, Raleigh 1998, p. 18.

3 Mi riferisco al lavoro svolto su The Shadow per la Dc Comics.

4 Modern Master, cit., p. 26-27.

5 Baker a riguardo ricorda:« [ Perché odio Saturno] è stato anche uno dei primi fumetti ad avere un lettering fatto al computer, in un periodo in cui quello fatto a mano imperava. Sono stato uno dei primi ad utilizzare lettering al computer […] All’inizio quando incominciai ad utilizzare un computer, un errore che facevo era quello di provare a imitare ciò che facevo a mano prima; i miei primi font erano disegnati per esser simili alla mia grafia, e dopo ricordai che la mia grafia faceva schifo. Allora pensai : ho un computer ora, posso usare tutti i font che voglio » in http://www.nycgraphicnovelists.com/2011/01/kyle-baker-from-bullpens-to-self.html

6 Al riguardo vedi Hibbs, T., Shows About Nothing: Nihilism in Popular Culture from the Exorcist to Seinfeld, Spece Publishing Co, Dallas 2001.

15 risposte a “Kyle Baker, perché odio saturno. Ovvero: chi compra, mente.

  1. “Essenzialmente, perché appartiene al periodo fondamentale in cui grazie al successo di Maus e Dark Knight il concetto stesso di “romanzo grafico” incomincia a prendere forma, spostando l’attenzione degli autori dal genere supereroistico verso forme di narrazioni altre”.

    È una bella forzatura. Maus era un fumetto “underground” (la provenienza e i riferimenti di Spiegelman sono chiarissimi), e Dark Knight e Watchmen sono comunque fumetti di supereroi. Non vedo quale possa essere il collegamento con Why I Hate Saturn, a livello di ispirazione, visto che già un anno prima Baker aveva già mostrato i prodromi dello stile di WIHS in una storia degli X-Men…
    Senza la Piranha, dubito che autori come Marc Hempel o Baker, per quanto bravissimi, avrebbero potuto fare Gregory o WIHS.
    Quindi, in sostanza, il merito di un fumetto bello come Why I Hate Saturn ce lo ha più la necessità di scaricare le tasse della Warner che il concetto di “romanzo grafico”.

  2. Maus e Dark Knight non sono esempi presi in maniera aleatoria, per quanto distanti. A pag. 16 del ventesimo volume di Modern Masters dedicato a Kyle Baker, vi è una breve disanima sul concetto di Graphic Novel. Baker sa che l’etichetta è diventata, alquanto, malleabile per inglobare; appunto; un racconto che è un via di mezzo tra il romanzo e l’autobiografia e un fumetto superoistico. E’ l’idea di lavorare su un formato molto più ampio “quantitativamente” che delinea il contesto di riferimento in quel periodo storico. Infatti, Baker definisce – ironicamente – romanzo grafico ” qualcosa di simile ad un comic book ma lungo all’incirca duecento pagine “. Tra l’altro è molto severo giudicando i due lavori come esempi surrettizi di graphic novel, poiché composti da materiali già pubblicati precedentemente.

  3. in effetti, forzature, sofismi e interlingua. percezioni personali. solinas ha ragione.

  4. Mi sembra evidente come il riferimento a Maus e Watchmen sia rivolto più a come Baker sceglie di impostare il suo fumetto.
    Non si parla più di generi, ma di forma, nel senso di prodotto.
    Baker è un fumettista “anomalo”, difficilmente collocabile, con una miriade di pubblicazioni fra le più varie, senza contare le escursioni nella tv e nell’animazione.
    E’ innegabile che “Perché odio Saturno” ci mostri come Baker persegua la sua idea di fumetto resa possibile dalla scia lanciata negli anni ottanta da lavori come i sopracitati.
    AQ.

  5. “E’ innegabile che “Perché odio Saturno” ci mostri come Baker persegua la sua idea di fumetto resa possibile dalla scia lanciata negli anni ottanta da lavori come i sopracitati.”

    Ecco, questo secondo me è vero solo in parte. Cowboy Wally, per esempio, fu pubblicato originariamente nel 1988, e fu elaborato presumibilmente quando il Dark Knight ancora non esisteva (e probabilmente non c’era nemmeno all’inizio del percorso di WIHS, anche se non lo so con certezza). Per cui le aspirazioni di Baker c’erano già, a prescindere da Maus e Dark Knight, mentre la Piranha no (e probabilmente è nata ANCHE a causa delle due GN citate).
    Fra parentesi, invece rileverei come, nella stessa guisa di Maus e DK, l’opera di Baker sia un perfetto manuale di “newyorkesità”. Senza New York (o meglio, senza una certa percezione di New York), non potrebbero esistere né Maus, né DK, né WIHS.
    Detto questo, e a parte la piccola forzatura, l’articolo mi sembra molto ben fatto e pensato.

  6. Altra cosa, perché sono uno spaccacazzo (scusatemi): non è vero che WIHS è il primo fumetto con il lettering al computer. Shatter e Iron Man: Crash vengono 4 e 2 anni prima, per dire. E pure le prime robe di Starkings sono letterate al computer.
    È vero certamente invece che WIHS è uno dei primi fumetti (forse il primo) a cercare l’uso del computer lettering per differenziarsi dal look tradizionale dei fumetti.

  7. non conosco Cowboy Wally, quindi quello che dici risulta ancora più interessante e sottolinea l’originalità di Baker e il suo essere “anomalo”. per il resto ottime precisazioni.
    AQ.

  8. Ripeto, il giudizio di fondo sull’articolo è ampiamente positivo, quindi sono solo spunti di discussione in tranquillità, eh.

  9. si, si era capito antonio 😀
    AQ.

  10. Ma credo che il riferimento non fosse, appunto, riferito alla possibilità formale che Maus e DK aprono, ma a quella materiale, cioè alla possibilità di poter pensare al di là del comic book classico nel mercato americano, tanto da creare un effetto ” bandwagon” , che in un certo senso snaturava il concetto stesso di GN, legandolo più ad un formato editoriale ( le 200 pag etc ) che ad una struttura narrativa e formale. Annoto le precisazioni storiche. P.S. per quanto riguarda il lettering credo come ho evidenziato fosse legato direttamente all’idea di scrittura di Baker.

  11. In effetti le due cose migliori di Baker in Italia sono inedite “You Are Here” e appunto “Cowboy Wally”.
    Baker usa (usava!) uno strano metodo per il lettering.
    Invece di incollare il testo nei ballon a tavola finita si stampava una pagina bianca con solo i testi posizionati nel punto giusto.
    Non mi era mai capitato di vedere una cosa simile!

  12. Maus è un fumetto del sottobosco. Credere pertanto di poterlo accostare come graphic novel solo per esaltare la contrapposizione con il fumetto popolare è una bella e buona forzatura, a meno che non si vogliano rendere convenzionali tutti i termini. Non credo poi lo chimassero al suo tempo, e con la loro lingua, romanzo grafico. Non si vuol essere pignoli o cosa, ma è utile, a fin di studio, marcare gli anacronismi, le forzature, ecc., aiuterebbe a trovare il metodo migliore per fare la ‘storia del fumetto’. L’articolo, a mio parere, ha una sua corretta sintassi di fondo, ma nel costrutto divaga troppo, manca cioè di una certa saggezza o sapienza nel catalogare le fonti: risultato è la forzatura. Ad maiora.

  13. Marco Pellitteri

    Ho molto apprezzato sia l’articolo sia i commenti! Siete dei pozzi di scienza su questo settore! Il che mi fa venire in mente che vorrei qualche volta scrivere qualcosa sul fatto che gli studi sul fumetto, e con esso gli esperti del settore, dovrebbero dichiarare una fondamentale necessità di specializzazione e sottosettorializzazione, perché quando mi/ci dicono “esperto di fumetti” è come se a qualcuno dicessero “sei esperto di letteratura”. Senza arrivare a esasperazioni come certi esperti di Dante che per trent’anni studiano la stessa cantica del Purgatorio, credo che sia diventato sempre più difficile poter essere tuttologi del fumetto. Al di là dell’approccio disciplinare preferito da questo o da quello (per lo meno per quanto riguarda gli studiosi afferenti in modo esplicito a discipline universitarie, per taglio, framework teorico e metodologia), è proprio la “biblioteca” di testi su cui si è esperti che secondo me dovrebbe essere limitata, perché, ripeto, non si può essere tuttologi… io, almeno, credo che non sia possibile. Mi dicono che sono un esperto di manga, per esempio, ma non ho letto che una misera parte dei manga degni di essere letti (né quelli degni per motivi artistici, né quelli degni per motivi professionali). Per esempio, non ho mai letto “One Piece”…

    Ciò detto, Andrea, anche io come il buon Solinas sono uno spaccac… e ti segnalo che l’esatta ortografia è “Weltanschauung”, non “Weltanshauung”.

    Ciao!
    Marco

  14. Mi fanno molto piacere i tuoi appunti. Non posso negare che il termine GN è stato usato con una certa facilità metodologica, e senza l’ausilio di una robusta “storiografia” dell’argomento: ed è qualcosa che è senza dubbio necessario quando il campo vuole ambire ad una certa “scientificità”. Molto probabilmente a mio discapito posso dire di aver usato in un contesto storiografico, un concetto ampio e strutturato di GN.

  15. grazie per la segnalazione dell’errore marco.
    concordo con te sul non poter essere tuttologi del fumetto.
    urge specializzazione su un settore ben definito.
    poi ovviamente non si puo’ leggere tutto neanche del settore che si studia.