Vi presento Asso – Intervista a Roberto Recchioni

A volte le introduzioni non servono a niente. Come in questo caso, in cui non ha senso stare qui a intrattenervi invece di iniziare subito a leggere questa lunga intervista a Roberto Recchioni (QUI il suo blog) in cui dice tutta la verità sul suo “Asso”.

Eppure non riesco a non citare in apertura un passo (non a caso) dall’Hagakure:

“Esercitarsi per tutta la vita.
In una disciplina non si giunge mai al termine. Quando pensi di essere arrivato alla fine, sei contro lo spirito della disciplina. Se, giorno per giorno, finché sei in vita, continui nell’esercizio, dopo la tua morte diranno che sei stato un bravo maestro. E’ difficile raggiungere l’unità interiore anche praticando una disciplina per tutta la vita. Finché la tua mente non è pura, non puoi dire di aver conseguito la Via. Perciò persevera nella pratica con grande coraggio”.

Buona lettura.

Roberto Recchioni quarta di copertina di Asso

Asso è il tuo nuovo lavoro, edito NPE, che presenterai a Lucca Comics and Games 2012 nella veste di autore unico. Quando è nata l’idea del libro?

L’idea di fare un libro come autore unico, quando qualcuno me l’ha chiesto. Nel caso specifico, Andrea Mazzotta.
L’idea di fare questo libro, tre mesi prima di averlo mandato in stampa, quando avevo davanti solo un mucchio di pagine bianche e tante idee confuse.
All’inizio, volevo fare un libro prettamente pornografico che esplorasse i rapporti di dominanza.
Poi avevo pensato di fare un libro sulla musica rock.
Alla fine ho capito che qualsiasi storia avrei fatto, di mezzo ci sarebbe stato Asso e quindi, tanto valeva, fare un libro su Asso, in modo di sviluppare il personaggio e, nello stesso tempo, raccogliere alcune delle storie migliori che avevo già realizzato sul personaggio, rivedendole e sistemandole.

Asso cover

Come mai hai deciso di presentarlo in un momento che ti vede protagonista di vari importanti lavori in veste di sceneggiatore, come ad esempio la nuova miniserie a colori Orfani e La redenzione del Samurai per Le Storie e per non parlare del lavoro che ti ha preso scrivere Tex, sempre per Bonelli?

Il momento è abbastanza casuale. Nel senso; alla scorsa Lucca mi hanno chiesto di realizzare il volume e la Lucca di quest’anno era la prima occasione commercialmente valida per lanciarlo. La concomitanza con l’uscita de Le Storie è solo una fortunata coincidenza. Tutto il resto della mia produzione bonelliana, uscirà tra un anno o più.

Bisogno artistico o voglia di sovraesposizione?

Questa è una domanda più interessante, anche se nessuno ha voglia di sovraesporsi, quanto di esporsi.
La motivazione è presto detta: restare umani.
In termini semplici, negli ultimi dieci anni ho lavorato su un sacco di progetti grandi e di personaggi storici.
Questo mi ha portato sempre più lontano da quelle che erano le mie origini (le autoproduzioni) e mi ha fatto perdere il contatto con la realtà di quello che significa essere un fumettista, oggi.
Fare questo libro quindi, su un livello è stato una specie di esperimento. Volevo capire in quali condizioni lavora la “generazione mille euro” (quei fumettisti che realizzano libri a fumetti e vengono pagati con acconti a dir poco risicati) e se c’era un margine possibile di sopravvivenza (te lo dico subito: non c’è).
Su un altro livello, questo libro è stata l’occasione di poter scrivere e disegnare storie più personali che difficilmente avrebbero trovato posto, se non sul web.
E poi c’è il fatto di tornare a disegnare, che è stata la molla principale.

Andiamo sul tecnico. Roberto Recchioni quando ha iniziato a disegnare fumetti? E quando ha smesso? [Se hai smesso].

Ho iniziato quando avevo tre anni, per passione. Professionalmente, nel 1993, quando mi è stata pubblicata la mia prima pagina pagata. Per parecchio tempo ho campato facendo solo il disegnatore per storie di altri. Poi ho lavorato su testi miei, alla fine, intorno al 2001, ho smesso, dedicandomi alla sola attività di sceneggiatore.

Qual’è il motivo per cui hai deciso di tornare a pubblicare fumetti con il tuo segno?

Dunque. E’ complicato.
Come disegnatore di storie di altri, sono pessimo. Perché il mio lato sceneggiatore viene fuori e continua a fare modifiche a quello che hanno scritto per me. Per questo ho iniziato a disegnare solo storie mie. Ma, anche in quel caso, le cose non hanno mai funzionato troppo bene. In genere, io penso in “stile realistico”. Il problema, è che io disegno in maniera tutt’altro che realistica. Il risultato è che il Roberto Recchioni sceneggiatore non era mai contento del risultato del Roberto Recchioni disegnatore. Quando è arrivato John Doe e poi tutto il resto, ho avuto la possibilità di lavorare con tanti disegnatori realistici (più o meno) bravissimi. Alcuni di loro erano tra i migliori al mondo. E quindi, non ho avuto più la necessità di lavorare con il disegnatore Roberto Recchioni.
Con gli anni mi sono tolto tantissime soddisfazioni nell’ambito del fumetto seriale e avventuroso e, a un certo punto, mi è tornata la voglia di fare qualcosa di diverso. Di ricominciare da capo e rischiare di nuovo. Anche perché, le pressioni e le responsabilità legate al nuovo progetto per la Bonelli (Orfani, una serie di fantascienza bellica creata insieme a Emiliano Mammucari, la prima interamente a colori per l’editore di via Buonarroti) e all’impegno su Tex, mi stavano quasi stritolando e avevo bisogno di una valvola di sfogo. Come ti ho detto prima, era questione di restare umani.
E visti tutti i miei limiti nel disegno, tornare a prendere la matita, il pennello, la china e i colori, era la cosa più umana che potevo fare.
Aggiungici pure che da qualche tempo sono diventato parte del Michael Kane Studio (insieme a Gabriele Dell’Otto, Werther Dell’Edera, Stefano Simeone, Antonio Fuso e Giorgio Pontrelli), un posto dove credevo che sarei andato per scrivere e in cui, invece, passo il tempo a disegnare. E’ difficile non farsi venire la voglia quando tutti, intorno a te, fanno cose bellissime. E poi, si impara un sacco.

Quanto sei soddisfatto del tuo risultato?
Io sono sempre soddisfatto di me stesso quando faccio qualcosa. E’ il mio punto di forza. E il mio limite.

Dove vuoi arrivare?
Da nessuna parte. Voglio solo continuare a fare fumetti ANCHE in questa maniera.

Perché hai scelto il formato del romanzo a fumetti?
Preferisco il termine “libro a fumetti” (altrimenti perché non dire: romanzo per immagini in movimento e suoni, quando si parla di un film?).

Un esperimento da libreria?
Sì.

Un test?
Sì.

Un desiderio da realizzare?
Sì.

La voglia irrefrenabile di intercettare i lettori di varia?
Pure. E’ un pubblico che mi manca.

Tu i fumetti li compri in edicola, in libreria o online?
In tutti e tre i posti. Qualche volta li rubo pure.

Facciamo finta che io non abbia mai letto il tuo blog. Sono una lettrice, vedo sullo scaffale il tuo libro e inizio a sfogliarlo. Poi ti chiedo: chi è Asso?
Cosa mi rispondi?

E’ un uomo.
Un fumettista.
Una autoproclamatasi rockstar.
Un cialtrone.
Un sessuomane.
Un sadico manifesto.
Un malato.
Un amico.
Un figlio.
Un fidanzato (alle volte).

Sapresti dirmi quando è nato?
No.
Credo che si sia evoluto per sbaglio, attraverso il mio blog. Quando Makkox mi ha chiesto di realizzare alcune storie a fumetti per il suo Canemucco mi è venuto naturale creare un personaggio che fosse una versione estremizzata di me. Il nome Asso deriva dal fatto che è un bullo, come il mio bullo preferito, l’Asso Merrill di Stephen King.

La prima volta che l’hai disegnato?
Credo per una storia (non presente nel volume), pubblicata sul secondo numero del Canemucco.

E perché proprio adesso s’è meritato un libro tutto per sè?
Non saprei. Credo che se lo sia meritato perché si è presentata la giusta occasione per dargli lo spazio necessario.

Roberto Recchioni Asso

Caso opposto, mettiamo invece che io sono un lettore assiduo del tuo blog, che ti segua sui socialnetwork e tutte quelle robe lì. Troverò qualcosa di familiare? (Penso ad esempio alle storie brevi Le colpe dei padri oppure Amore precario che già sono apparse online e altre che sono inserite nel volume).

Un mucchio di roba. Per molti versi il libro Asso non è altro che una versione a fumetti del mio blog.

Le due esperienze, la scrittura di “Dalla parte di Asso” (blog) e la scrittura di “Asso. Il braccio forte del fumetto”(libro), sono legate tra loro? In che modo?

Strettamente interconnesse. Le cose che scrivo per il blog, quelle più narrative, sono materiale perfetto per diventare tavole a fumetti per Asso. Allo stesso tempo, il blog stesso è una specie di strumento meta-fumettistico che da corpo al personaggio di carta.

Hai esperienza, hai un pubblico che ti segue, hai le competenze: perché non hai scelto la via dell’autoproduzione per questo volume?

Perché volevo capire la situazione di un certo tipo di produzioni, in Italia.
E perché non ne avevo il tempo e la forza.
Per il futuro, chissà.

Molte volte ti sei dimostrato critico sul fumetto autobiografico, sugli “autori che si esplorano l’ombelico e vendono i libri solo ai loro amici”. Scrivere il romanzo autobiografico del tuo alter ego come cambia le regole in gioco?

In nessuna maniera. Non penso che Asso sia un libro che esplora il mio ombelico. Quando racconto qualcosa, cerco sempre di dargli una misura che possa essere apprezzata anche da persone che non sanno nulla di me.
Se non ci sono riuscito, allora il libro è un fallimento, al pari di quei libri che ho duramente criticato.

E quando a scriverlo sono i tuoi amici (o sono gli amici di Asso?) Mi riferisco all’appendice del volume.

Quella è una cosa strana.
Ho invitato alcuni dei miei amici più cari e storici a immaginarsi amici di Asso e a raccontare una storia che raccontasse il loro rapporto con lui. Alcuni hanno capito perfettamente quello che volevo, altri si sono confusi, scambiando Asso con me. Però sono orgoglioso di tutte le storie ospitate nel volume.

Il libro è divertente, addirittura scanzonato in alcuni punti, anche se torni su temi che altrove hai trattato (anche se con tutt’altra intensità): la malattia, la morte, l’amore. E’ voglia di leggerezza?
Incursione nella commedia?
Sperimentazione del genere umoristico?
Ci hai mai pensato?

Eccome.
Però la penso al contrario tuo.
Penso che scrivere una storia come Mater Morbi sia facile. Carichi il fucile con i sentimenti che più fanno presa (il dolore, la sofferenza, la solitudine, la malattia) e lo spari in faccia al lettore, senza alcuna pietà,
Il risultato, se sei uno che sa scrivere e conosce il suo mestiere, è garantito. Fiumi di lacrime e scrosciare di applausi. Se poi il tutto viene disegnato da un mostro di intensità come Massimo Carnevale, è ancora più semplice.
Parlare delle stesse cose con leggerezza, invece, prendendo le distanza dalla lacrima facile, scherzando su tutto, compreso te stesso e la tua mortalità, è più complicato e, secondo me, più onesto.
L’Hagakure dice: “tratta con leggerezza le cose importanti e con serietà le cose leggere” e io condivido appieno questa filosofia.
Quanto all’umorismo: c’è un sacco di umorismo nella roba che scrivo (su John Doe in particolare), quindi non lo chiamerei un esperimento. Ma sì, Asso è un libro che vuol far ridere. Che vuole ANCHE far ridere.

A proposito di divertimento e generi qua e là trovo qualche tavola esplicitamente pornografica, infatti in copertina trovo un bel bollino che consiglia il volume ad un pubblico maturo. E’ un omaggio ad un genere che ami?

Assolutamente. In realtà, volevo che ce ne fosse molta di più ma proprio non sono riuscita a inserirla nella storia sul rapporto padre-figlio.
Asso_Roberto Recchioni
La pornografia a fumetti (r)esiste?

Non in occidente. In Giappone c’è qualcosa di interessante.

C’è qualcosa di interessante oggi che su internet chiunque trova gratis mille mila video più performanti?

Dipende da che intendi per interessante. Se la pornografia ti serve solo per vedere della carne esposta e farti una sega, allora ti va bene un video su YouPorn. Ma se cerchi qualcosa di più, che sia un certo tipo di approccio all’immagine o un certo tipo di suggestioni particolare, allora ti devi specializzare. Nei video quanto nei fumetti.
Per fartela brevissiva: anche la pornografia è roba seria.

Roberto Recchioni_Asso

Capitolo rock’n’roll. Non per niente ti chiamano la rockstar del fumetto no?
Dimmi – ti prego – che ancora si può far discutere dicendo delle cose in un libro a fumetti.

Solo a patto che quel libro venga letto.
E’ per questo che trovo triste che la maggior parte degli autori che provano a dire cose attraverso i fumetti, vengano tutti dal basso e che ci siano pochissimi autori seguiti da un pubblico vasto, che si prendo la responsabilità di dire qualcosa.

Ultimo giro tra le passioni, il Giappone. Spiegami come faresti con un bambino cosa vuol dire questa parola importante nel tuo fumetto: Meifumado.

Dice sempre l’Hagakure che la via del Samurai è la morte.
Che sembra un messaggio terribile (e infatti è stato frainteso in vari momenti della storia e della cultura, specie in occidente) ma che, in realtà, è un inno alla vita e alla vitalità. Camminare nella via del Meifumado, (l’inferno nella cultura Giapponese, dove il concetto ha una valenza completamente diversa dalla nostra), significa camminare in mezzo alla morte e quindi apprezzare la vita. Essere pronti, in qualsiasi momento, a morire. Senza alcun rimorso o rimpianto. Perché si è agito sempre con la massima intensità.
Prendi il Kendo. E’ uno sport oltre che una disciplina marziale. Eppure, pur essendo uno sport, ha mantenuto molti aspetti filosofici. E’ per questo che ha tre arbitri di cui due, deputati di valutare se un kendoka ha portato o meno il colpo a buon fine contro l’avversario e uno, che valuta esclusivamente se quel colpo è stato portato con la giusta intensità.
La filosofia del kin-ken-tai-ichi: spirito, spada, corpo.
Se il terzo arbitro non convalida, il punto non viene assegnato.
Adesso immaginati un arbitro che, nel calcio, annulla un gol perché segnato solo per fortuna e con poca convinzione.
E tutta questa storia dell’intensità è una cosa che non riguarda solo le tematiche del libro ma anche il modo in cui il libro è stato realizzato. Ho cercato di mettere il massimo impeto e intensità in ogni segno che ho disegnato e spero che questo, in qualche maniera, traspaia.
E’ un libro pensato e realizzato come fosse l’ultimo che avrei potuto pensare e realizzare.
E per questo spero che per risultando divertente, sia anche un libro capace di colpire.

Roberto Recchioni_Asso

L’ultima domanda indaga un tratto distintivo del tuo discorso a fumetti: il metafumetto. Perchè utilizzarlo?
E’ l’unica forma di provocazione che ancora mantiene la sua efficacia?

Sai che, nel caso del libro di Asso, non afferro il punto?
Non senso, non credo che ci sia un messaggio metatestuale. Non è un libro a fumetti che riflette sul linguaggio in maniera consapevole. Al massimo, ti posso dire che è un libro che mischia costantemente le carte (anche in maniera parecchio provocatoria) tra realtà e finzione, tra personaggio e personalità. Ma no, non mi sembra contenere veri elementi di metafumetto.