Stop all the blues. Intervista a/Interview à Frantz Duchazeau.

di Tonio Troiani

Dopo aver intervistato Paolo Parisi (qui) continuiamo il percorso che intreccia musica e fumetto parlando con Duchazeau a proposito del suo Lomax. Ricercatori di Folk Song

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Da dove nasce l’idea per Lomax?

L’idea di fare un fumetto sui Lomax è nata leggendo degli articoli sul blues: il loro nome era citato continuamente.
Mi interesso a questa musica da poco, circa 6 anni, ed ha divorato con ingordigia un mucchio di libri e riviste sul blues e su i generi satelliti. L’interesse per il percorso di Alan è diventato evidente e il desiderio di fare un fumetto su di  lui si è imposto. Io faccio un fumetto unicamente se sento delle forti ripercussioni. Ma, tuttavia non sono diventato un esperto dei Lomax.
Avevo voglia di fare conoscere questo personaggio al pubblico francese nei termini di una riscoperta.

Ti eri già confrontato con l’immaginario blues, penso a “Le Rêve de Meteor Slim”, in Lomax sopravvive il taglio caricaturale, ma la tavola è meno preziosa, più semplice anche grazie alla totale assenza degli sfondi? A cosa è dovuta questa scelta?

Le scelte grafiche non sono delle vere e proprie scelte per quello che mi riguarda. È la storia che mi guida verso uno stile. L’esempio più lampante in Lomax sono i due brevi racconti “muti”. Quando ho incominciato, non mi sono detto “bè, questo lo devo disegnare in maniera più realistica e questo lo faccio in maniera più comica”, no, è davvero l’intenzione che dona stile al disegno.


Sembra esserci una prepotente derisione dei latifondisti del vecchio sud e tutto ciò passa attraverso il segno. Le caricature sono esasperate sino all’inverosimile. Solo in alcuni passaggi il tratto si fa naturalista? Qual è il messaggio che cerchi di veicolare tramite questi cambi di registro?

Se ci sono dei personaggi caricaturali, questo è perché lo sono già di per se stessi. Il grosso piantatore di campi di cotone o lo sceriffo possono provenire da una foto o da una descrizione fatta dallo stesso Alan Lomax. Quando si leggono le testimonianze di Lomax su questi personaggi, le risposte di questi tipi sono già caricaturali. Bisogna pensare che nell’America di quell’epoca, il fatto di ritrovarsi davanti a questo genere di personaggi sarebbe come ritrovarsi davanti  un muro di incomprensione.

La logica abituale non esiste. L’idea di spiegare ad un sceriffo che si è venuti da lontano per registrare un tipo, mentre canta, sfida tutta la loro comprensione. In più quando l’uomo è nero, la battaglia è già persa.

Hai scelto un periodo particolare della storia dei Lomax. Un periodo di transizione, come ben evidenziato, in cui avviene un passaggio di testimone. Eppure, Lomax padre è ritratto come una figura “luminosa”. In realtà, pochi anni dopo la scoperta di Leadbelly, Richard Wright definirà l’opera di Lomax «una delle più grandi truffe culturali della storia». Che ne pensi al riguardo?

Il rapporto tra padre e figlio è venuto mano a mano che procedevo nella sceneggiatura, non era previsto in partenza, e ne è diventato in seguito l’interesse principale. Mi serviva andare oltre il semplice piacere di disegnare l’America degli anni Trenta. E del resto è anche per questo motivo che ho scelto il 1933, che coincideva con una partenza nella vita di Alan Lomax.

Un giovane uomo di 18 anni conoscerà e scoprirà quella che è la sua passione, è qualcosa di  totalmente inventato. D’altronde, non ho alcuna informazione precisa su questo processo, forse qualcosa era già scattata in lui. Nello stesso modo, ho inventato la relazione tra i due, la sola frase riportata da Alan su questo periodo era:« non avevamo rapporti verbali ». Tutto passava, immagino, attraverso la musica e i loro incontri.

Non ho mai sentito parlare di questa polemica con Richard Wright, ma quello che posso dire è che una parte intera della musica popolare americana è stata salvaguardata grazie a Lomax ed egli si è guadagnato il rispetto a vita da gente come Muddy Waters.

Lomax padre va a caccia dell’autenticità negra. Quando John ed Alan incontrano Edward Ray Cochran, aka Guitar Slim: per John è l’incarnazione del nuovo corso, del primitivismo bastardo che nulla ha a che fare con la forza primigenia dell’Africa. Sono canti sbiancati, esangui, troppo raffinati. Per Alan, il contrario. Una dicotomia importante, non pensi?

Il passaggio con Guitar Slim è semplicemente un strizzatina d’occhio ad un precedente fumetto che ho disegnato Le Rêve de Meteor Slim . È un personaggio un po’ opportunista e non molto dotato, uno sciocco in qualche modo.

Volevo mostrare la differenza tra il tipo di educazione ricevuta da Lomax e quello che mancava in Guitar Slim.

Le Rêve de Meteor Slim, Les Jumeaux de Conoco Station, Le Diable amoreux et autres films jamais tournés par Méliès sono tutti fumetti ambientati nei primi decenni dello scorso secolo. Sembra che tu abbia una forte passione per certe ambientazioni. E devo dire che il tuo tratto rende egregiamente certe atmosfere. Come mai questa passione per la Storia?

Non mi getto mai per caso su un soggetto, cova dentro di me già da tempo prima che scopra il desiderio di farne un fumetto. Ad esempio come gli Incas e gli Aztechi, che mi affascinavano sin dall’infanzia: attualmente un esempio è l’idea di voler fare un fumetto che è ambientato nel Messico all’epoca dell’incisore Posada.

Dico spesso che ho un tratto che sa di polvere, un tratto un po’ western, e si addice  pienamente a questo stile Messicano. Ciò che mi interessa nella storia, è l’aspetto estetitco delle cose: gli oggetti, l’architettura, tutto ciò che era distante dal modo di pensare odierno. Adoro tutto quelle ceramiche e quei vestiti dell’epoca precolombiana e l’intera scultura Maya. È ciò che ho provato a mettere dentro a fumetti come Les Vaincus o La nuit dell’Inca. Penso che il mio tratto sia attratto in maniera naturale verso questi soggetti.

Credo proprio che avrei serie difficoltà a disegnare l’epoca moderna, anche se tra l’altro ho un progetto che vai in questa direzione, più autobiografico. È l’ennesima sfida.

Ho trovato deliziose le traduzioni grafiche di alcune song raccolte dai Lomax? Hai pensato di estendere il progetto di un fumetto muto, tipo sulla scorta del Little King di Otto Soglow?

L’idea delle piccole strisce mute mi è piaciuta molto, ed ho saputo, dopo averle disegnate, che avrei fatto un intero libro disegnato con questo stile. Lo sto facendo, e sarà un fumetto con una gabbia a nove celle in parte parlato e in parte muto di 140 pagine sul tema dei Minstrel Show


Che tipo di documentazione hai usato? Oltre ai materiali prodotti dai Lomax?

Tutta la documentazione proviene da foto in bianco e nero successive alla crisi del 1929 o da incisioni. Ma ci tengo a dire che questo fumetto è in gran parte inventato. In definitiva, c’è un po’ dei Lomax. Ma, ho inventato le loro personalità e in ogni caso ho giocato con loro. Non ricorso bene se Alan o qualcun altro ha detto sul padre che non era un uomo dal carattere facile. Era l’unica informazione che avevo e, da qui sono partito per inventare.

Quale la tua ideale colonna sonora a Lomax? Consigliaci un po’ di brani…

Ci sono numerosi brani da ascoltare: si potrebbe pescare tra le work songs, tra le prison song, tra i canti a cappella: i Lomax erano interessati soprattutto dalle voci che dalle chitarre. Per esempio, Leadbelly, Tangle Eye Blues, Willie BlackwellI’m Going Home di Bama Stuart, o ancora degli strumentali fantastici come Joe Turner di Ed Young e Hobart Smith, Cecil Augusta con Stop all the Blues, o ancora Ruby Vass con Old Gospel Ship. Ci sono anche David Honey Boy Edwards con Wind Howling Blues e Country Blues di Muddy Waters.

Ma, consiglio soprattutto il libro di Alan, The Land Where the Blues Began (in italiano edito da Il Saggiatore con il titolo La terra del Blues. Delta del Mississippi. Viaggio all’origine della musica nera ) per approfondire l’argomento.

Un piccolo rammarico è che in questo fumetto non sono riuscito a parlare delle cantanti, e sono diverse quella che i Lomax hanno incontrato, e non tra le meno importanti, come ad esempio Vera Hall.

Version française

D’où est né votre idée pour Lomax?

L’idée de faire un album sur Lomax m’est venue en lisant des articles sur le blues , leur nom apparaissait régulièrement.
Je m’intéresse à cette musique depuis peu, environ 6 ans, et j’ai goulûment dévoré tout un tas de livres et revues sur le blues et ses genres satellites. L’interêt du parcours d’Alan est devenu une évidence et l’envie de faire un album sur lui s’est imposé à moi. Je fais un album uniquement si il y a de fortes résonnances chez moi.
Mais je ne suis pas devenu un spécialiste de Lomax pour autant.
Il y avait aussi l’envie de faire connaître ce personnage au public français comme une redécouverte .

Vous vous êtes déjà mesuré au monde du blues, (je penses à “Le rêve de Meteor Slim”) Avec Lomax, le ton satirique subsiste, mais l’absence d’arrière-plans rend l’élaboration de la planche moins minutieuse, plus simple. Cette absence est-elle due à des raisons particulières?

Les choix graphiques ne sont pas réellement des choix en ce qui me concerne , c’est l’histoire qui me tire vers un style. L’exemple le plus frappant dans Lomax, ce sont les 2 petites bande-dessinée muettes. Quand je commence, je ne me dis pas “tiens je vais dessiner plus réaliste ou cette fois plus comique”, non, c’est vraiment le propos qui donne le style au dessin.

Vos traits donnent l’impression au lecteur de se trouver face à une impérieuse dérision des latifundistes du Profond Sud. De plus, vos caricatures apportent une touche burlesque à l’ensemble. Néanmoins, dans certains passages, le trait se fait naturaliste. Quel message souhaitez-vous faire passer à travers ces différents changements de registre.

S’il y a des personnages caricaturaux, c’est parce qu’ils sont déjà eux-mêmes caricaturaux. Le gros planteur de champ de coton ou le sherif peuvent venir d’une photo ou d’une description faite par Alan Lomax lui-même.
Quand on lit les témoignages de Lomax sur ces types, les simples propos rapportés de ces types sont déjà caricaturaux .

Il faut comprendre que dans l’Amérique de cette époque, le fait de se retrouver devant ce genre de personnage est comme se retrouver devant un mur d’incompréhension. La logique habituelle n’existe pas. Le principe d’expliquer à un sherif qu’on est venu de loin pour enregistrer un type, en train de chanter défie toute leur compréhension. En plus quand l’homme est noir , le combat est perdu d’avance.

Vous avez choisi une période particulière de l’histoire de Lomax. Une période de transition, mise en exergue, durant laquelle on assiste à une succession de père en fils. Lomax père reste pourtant un personnage emblématique. Par ailleurs, dans le cadre de l’histoire de la bande-dessinée, peu après la découverte de Leadbelly, Richard Wright définit l’oeuvre de Lomax comme étant “une des plus grandes arnaques culturelles de l’histoire entière”. Qu’en pensez-vous?

Le principe de filiation avec le père est venu au fil du scénario, ce n’était pas prévu au départ, et c’est devenu l’intérêt principal de l’album. Il fallait pour moi trouver autre chose que le simple fait de se faire plaisir à dessiner l’Amérique des années 30. D’ailleurs c’est aussi pour cette raison que j’ai choisi cette période de 1933, ça tombait bien avec le démarrage dans la vie de Alan Lomax.


Un jeune homme de 18 ans qui va comprendre et découvrir sa passion, c’est totalement fictif. D’ailleurs, je n’ai aucune information véritable sur cette démarche, peut-être avait-il déja eu le déclic avant. De la même façon, j’ai inventé une relation entre le père et le fils, la seule phrase rapportée de Alan sur cette période avec son père est: “nous avions des rapports non verbaux”.
Tout passait, j’imagine par la musique et leurs rencontres .

Je n’ai jamais entendu parler de cette polémique de Richard Wright, mais ce que je peux dire c’est qu’un pan entier de la musique populaire américaine a été sauvegardée grâce aux Lomax et ils ont gagné le respect à vie de gens comme Muddy Waters.

Au cours de ce récit, Lomax père cherche à identifier les origines du peuple noir: Lorsque Ohn et Alan rencontrent Edward Ray Cochran dit “Guitar Slim”, pour John celui-ci représente l’incarnation d’un nouveau style. Celui d’un bâtard primitif qui n’a rien à voir avec la personnalité vivante des africains. Il s’agit de chants “blanchis”, exangues, trop raffinés. Pour Alan, c’est totalement le contraire.
Cela dépicte une importante dicotomie, n’est-ce pas?

Le passage avec Guitar Slim est simplement un clin d’oeil à un précédent album que j’ai dessiné Le rêve de Meteor Slim . C’est un personnage un peu opportuniste et pas très doué, une petite tête en quelque sorte, je voulais montrer la différence entre ce que le fils Lomax a reçu d’éducation et ce petit Guitar Slim qui en manquait singulièrement.

“Le Le rêve de Meteor Slim”, “Les Jumeaux de Conoco Station”, “Le Diable amoreux et autres films jamais tournés par Méliès” sont situées dans les premiers décennies du XXième siècle. On dirait que vous étes particulièrement passioné par le style de cette periode-là. De plus, je penses que le style de votre trait rend d’une manière très vraisemblable les atmosphères de l’époque. Pourriez-vous nous parler de votre passion pour l’histoire?

Je n’arrive jamais par hasard sur un sujet , il est en moi depuis longtemps avant que je découvre l’envie d’en faire un album. Comme les incas, les Aztéques qui me fascinnent depuis l’enfance , le fait aujourd’hui de vouloir faire un album qui se passe au mexique à l’époque du graveur Posada en est un exemple. Je dis souvent que j’ai un trait qui sent la poussiére , un trait un peu western , et c’est tout à fait adapté à ce style Mexicain. Ce qui m’interesse aussi dans l’histoire , c’est le côté graphique des choses , les objets, l’architecture , c’étaient autant de façon de penser très différentes de maintenant.

J’adore tout ce qui est poteries ou vêtements de cette époque précolombienne et tout l’art scultural Maya. C’est ce que j’ai essayé de mettre dans des albums antérieurs comme “Les Vaincus” ou “La nuit de l’inca” . Je pense que mon trait est attiré naturellement vers ces sujets . J’aurais je pense du mal à dessiner l’époque moderne , même si par ailleurs j’ai un projet dans ce sens , plus autobiographique. c’est un autre challenge.

J’ai trouvé délicieuses les traductions graphiques de certaines chansons (non so se si usa dire song in francese, chiedo) regroupées des Lomax. Avez-vous pensé à étendre le projet à une BD muette, comme Little King, d’Otto Soglow?

L’idée des petites bandes-dessinées muettes m’a beaucoup plu, et j’ai su, après les avoir dessinées, que je ferai un album entièrement dans ce style graphique.
je suis en train de le faire, ce sera un album en gaufrier de 9 cases en partie parlante et en partie muette de 140 pages sur le Thème des Minstrel show.

Quelle type de documentation avez-vous utilisé? Excepté les produits Lomax?

Toute la documentation vient de photos noir et blanc d’après la crise de 1929 ou de gravure.


Mais je tiens à dire que cet album est en grande partie fictive, il y a finalement peu de Lomax. Je leur ai inventé des personnalités, en tout cas j’ai joué avec. Je ne sais plus si c’est Alan ou quelqu’un d’autre qui a dit sur le père, qu’il n’était pas homme facile à vivre. C’est la seule information que j’avais, donc à partir de là il faut inventer.

Selon vous, quelle serait la bande sonore idéale pour Lomax? A vous de nous suggérer des morceaux.

Il y a de nombreux morceaux à écouter: on peut piocher dans les work songs, prison songs, les chanteurs acappella, ce sont vraiment les voix qui intéressaient les Lomax plus que le jeu de guitare. Exemple Leadbelly, Tangle Eye, Willie Blackwell, I’m going home de Bama, ou encore des instrumentaux comme le fantastique  Joe Turner de Ed young et Hobart Smith, Cecil Augusta avec Stop all the blues ou encore Ruby Vass avec Old gospel ship. Il y a aussi David Honey Boy edwards Wind howling blues et le Country blues de Muddy Waters.
Mais je recommande surtout le livre de Alan “The land where the blues began” pour approfondir le sujet.
Un petit regret dans cet album c’est que je n’ai pas fait de portrait de chanteuses , il y en a eu pourtant eu beaucoup tout au long de ces rencontres, et pas des moindres comme Vera Hall .

Una risposta a “Stop all the blues. Intervista a/Interview à Frantz Duchazeau.

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