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I ♥ Fumetti al Centro Fumetto “A.Pazienza”

Per il suo venticinquesimo anno d’attività il Centro Fumetto “Andrea Pazienza” organizza una mostra dal titolo “I ♥ Fumetti” in cui si celebrerà la nona  arte come «come passione, mezzo d’espressione, linguaggio artistico e intrattenimento intelligente».

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Il gatto (matto) che se ne andava da solo

Gilbert Seldes

Quando si leggono articoli e analisi su Krazy Kat di George Herriman è facile imbattersi nel nome di Gilbert Seldes, che nel secolo scorso è stato uno dei più famosi critici americani della cultura popolare.

Di seguito proponiamo, il seminale saggio di Gilbert Seldes, tratto dal libro The seven lively arts, New York, Harper and Brothers, 1924, pagine 231-245.

Le note, fornite dal nostro traduttore Andrea Pachetti, sono a fondo pagina.

Link all’articolo in lingua originale.

Il gatto (matto) che se ne andava da solo [a]

di Gilbert Seldes

traduzione di Andrea Pachetti

Krazy Kat, la striscia quotidiana a fumetti di George Herriman è, per quanto mi riguarda, la più divertente, fantastica e appagante opera d’arte prodotta al giorno d’oggi in America e non intenderò trattare con chi ritiene impossibile considerare il fumetto un’espressione artistica. Le qualità principali di Krazy Kat sono l’ironia e la fantasia, giusto le stesse che possiamo trovare ad esempio ne La Rivolta degli Angeli; è assolutamente irrilevante indicare in questo contesto una preferenza per l’opera di Anatole France, che appartiene al novero delle arti maggiori. Relativamente a tale àmbito, in America l’ironia e la fantasia sono praticate soltanto da un paio d’autori, che producono peraltro spazzatura d’alta classe; al contrario il signor Herriman, privo d’ogni forma di presunzione e utilizzando un mezzo assai disprezzato, realizza giorno dopo giorno un lavoro invero di grande qualità. E’ il risultato di una sensibilità naïf abbastanza simile a quella del douanier Rousseau[b]; non latita nemmeno d’intelligenza, dato che si tratta di un’opera concepita e poi realizzata con attenta cura. Tra le cosiddette opere di second’ordine possiede caratteristiche di primo piano, oltre a esser davvero deliziosa; in questo periodo abbiamo accettato ed elogiato almeno un centinaio di farse provenienti dall’Europa e dall’Asia: rappresentazioni teatrali sciocche e scarse, dipinti mediocri, opere liriche sgradevoli, religioni inique, ogni cosa pacchiana e dozzinale ha avuto da noi il suo momento di gloria. Al contrario un prodotto locale genuino e onesto è passato totalmente inosservato fino all’anno di grazia 1922, in cui un balletto lo ha portato a una fama tardiva e ancora riluttante.

Herriman è il nostro gran maestro del fantastico e la sua carriera precedente e getta solo una fioca luce sul suo attuale capolavoro, dato che le opere anteriori risultano al confronto dei fallimenti. Nell’approccio realistico scelto all’inizio, aveva trovato un mezzo inefficace per veicolare sia il suo immaginario, sia la strana tecnica visuale che è il suo naturale modo d’esprimersi. Al realistico lettore, The Family Upstairs pareva davvero poco credibile: non riusciva a concedergli il piacere di riconoscere i propri vicini nei momenti più grotteschi. Aveva lo stesso difetto anche la striscia The Dingbats, una famiglia di sfortunati tapini. Invece già la striscia Don Koyote and Sancho Pansy si è avvicinata maggiormente al tono corretto: il folle Cavaliere della Mancia è sempre stato un pensiero fisso per Herriman, dato che riappare trasfigurato anche in Krazy Kat. Sebbene le sue ispirazioni non siano mai di natura letteraria, le affinità più forti, quando non si tratta di Cervantes, sono da ricercarsi in Dickens. L’approccio à la Dickens è visibile in Baron Bean, una figura a metà strada tra Micawber[c] e il Charlie Chaplin della maturità. Parlando di Chaplin, avevo fatto notare il profondo apprezzamento che il signor Harriman nutriva nei confronti delle prime scene de Il Monello. Segnalo dunque che egli ha utilizzato lo stesso tipo di dinamiche presenti nella pellicola, traducendole nel proprio mezzo espressivo. Il Barone Bean era sempre malvestito, affamato e senza un soldo: nonostante ciò manteneva il servo Grimes, atto a svolgere umili mansioni per lui. Grimes era la sua valvola di sfogo, il fedele servitore che, legato da vincoli d’ammirazione e rispetto, aiutava il Barone nei suoi affari di cuore. Come tutti i personaggi di Herriman, anch’essi vivevano nella mesa incantata di Coconino, vicino alla città di Yorba Linda. Il Barone era uomo d’ingegno: mancandogli le finanze per acquistare un francobollo, aveva affidato una lettera d’amore a un piccione viaggiatore; la sua frase “Va’, o mia colomba” pronunziata in quell’occasione, è rimasta immortale.

Alcuni personaggi stanno apparendo di nuovo nel più recente lavoro di Herriman: Stumble Inn, sebbene di quest’ultimo non abbia letto così tanto da avere un’opinione certa a riguardo. E’ in ogni caso a metà strada tra immaginazione e realtà; il signor Stumble di nuovo evoca sensazioni à la Dickens, trattandosi dell’accattivante locandiere sentimentale, colui che preferirebbe perdere anche l’ultimo cliente piuttosto che uccidere il proprio tacchino favorito per il Ringraziamento. Mi è giunta voce che di recente un cestino di cuccioli sia stato trovato nella cantina della locanda: da ciò devo dedurre che la fantasia ha avuto la meglio, poiché è proprio di Herriman camuffare ciò che vuol dire creando un mondo d’esseri viventi né umani né animali, ma con un approccio sui generis.

Ecco quindi l’origine di Krazy Kat. Il tema dell’amicizia tra gatto e topo aveva sempre divertito Herriman e un giorno li disegnò, quasi come nota a piè di pagina in una striscia di The Family Upstairs. Nella loro prima apparizione giocavano a biglie, mentre la famiglia stava avendo un alterco; nell’ultima vignetta una delle biglie cadeva in un buco in basso. Un giovane galoppino di nome Willie fu il primo a riconoscere le grandi virtù di Krazy Kat. Di sicuro si trattava del migliore di tutti i galoppini, dato che subito dopo fu il più importante degli editor, Arthur Brisbane, a confermarne l’opinione. Sollecitò Herriman a insistere con questi due personaggi; nel giro di una settimana iniziarono una vita semi-indipendente in una striscia alta un pollice, posta sotto l’altro fumetto. Lentamente se ne staccarono, furono spostati in un’altra posizione e infine diventarono i protagonisti assoluti della striscia principale, con l’interruzione di The Family. Arrivarono le tavole domenicali, e per tre quarti di pagina coinvolsero le intere famiglie di Krazy e Ignatz[1], oltre alla fiorente città di Coconino – la flora e la fauna della regione incantata che Herriman aveva creato ricorrendo alle sue memorie del deserto dell’Arizona, che così tanto aveva amato.

In una delle immagini più metaforiche della serie, Herriman mostra Kat nell’atto di dire a Ignatz: “Non sono un gatto … e non sono matto” (uso i puntini di sospensione per indicare il surreale cambiamento nei fondali che avviene mentre le frasi vengono pronunziate; sebbene l’azione sia continua e i personaggi immobili, il metodo di Herriman consiste nel mantenere lo sfondo in un perenne stato d’agitazione. Impossibile sapere quando un cespuglio diverrà una sequoia, oppure una tenda muterà in una chiesa) … “Io sono ciò che è dietro di me … E’ l’idea che sta dietro di me, Ignatz, ecco quel ke sono.” Con un atto da contorsionista Krazy punta verso lo spazio bianco alle sue spalle, ed è proprio lì che dobbiamo cercare “l’Idea”. Non è così lontana da raggiungere in fondo. Vi sono una trama e un tema – e considerando che a partire dal 1913 abbiamo avuto circa tremila strisce, si potrebbe azzardare che le variazioni siano davvero infinite. La trama: Krazy (androgino, ma che secondo il suo creatore vorrebbe essere entrambe le cose) è innamorato di Ignatz Mouse; Ignatz, sposato ma giramondo, disprezza Kat e uno dei suoi divertimenti preferiti consiste nel “Kolpire la Kapoccia di Kat con un mattone”, preso dalla fornitura di Kolin Kelly. Il frivolo Kat (Stark Young ha trovato la parola perfetta per definirlo: “crack-brained”, completamente fuori-di-testa) secondo una logica e una memoria cosmica ancora tutta da spiegare, interpreta il mattone come un simbolo d’amore; perciò non può apprezzare gli sforzi di Offisa B. Pupp, tesi a proteggerlo e ostacolare le attività del topo Ignatz. Una battaglia mortale è in corso tra Ignatz e Offisa Pupp – dato che quest’ultimo è innamorato di Krazy; si vedono spesso vignette in cui Krazy e Ignatz cospirano per sopraffare Offisa, entrambi vogliono la stessa cosa ma per motivazioni e fini in netto contrasto tra loro. Questa è la trama principale; è chiaro che il mattone ha poco a che spartire con le fini violente proprie di altre strisce, dato che esso è sovraccarico d’emozioni. Di frequente arriva non alla fine della striscia, ma subito all’inizio. Talvolta non arriva del tutto. E’ un simbolo.

Il tema è preponderante rispetto alla trama. Nella brillante prefazione al suo balletto, John Alden Carpenter ha puntualizzato che Krazy Kat è una combinazione di Parsifal e Don Chisciotte, il perfetto ingenuo e il perfetto cavaliere. Ignatz è Sancho Panza e, dovrei aggiungere, anche Lucifero. Prova disgusto per gli slanci sentimentali e filosofici di Krazy; interrompe con un mattone ben assestato ogni eccesso romantico del compagno. Per esempio: abbiamo Krazy bendato e con la bilancia della Giustizia in mano che dice: “Le cose son tutte fuori tropporzione, Ignatz” “In che senso, sciocco!” chiede il Topo mentre la scena si sposta dalla riva d’uno stagno al deserto. “Be’, per esempio, prendi l’oceano…” “Bene!” aggiunge Ignatz. Con le teste sprofondate giù nel mare, solo le zampe posteriori, le code e le frasi pronunciate sono visibili: “L’oceano è distribrutto così iniquamente.” Appaiono poi seduti su delle cime montuose, al di là delle nuvole, e Kat osservando casualmente lo strapiombo si rivolge a Ignatz: “Prendi ‘Denva, Kollorado’ e ‘Tulsa, Okrahoma’, loro di oceano non ne hanno popio nulla-“ (sono poi trasportati nella vastità del mare, dentro una cassa d’imballaggio) “mentre ‘Sem Frencisco, Kellafornia’ e ‘Bostin, Messachoosit’ hanno più oceano di kuanto gliene serve” e così Ignatz distibuisce con grazia un bel mattone sulla capoccia di Krazy. Ignatz “non ha tempo” per le sciocchezze; è un realista e Vede le Cose per Come SONO. “Non credo a Babbo Natale,” dice: “Sono troppo di larghe vedute ed evoluto per simili stupidaggini.”

Ma il signor Herriman, con grande ironia, comprende appieno il sentimento della compassione. Il destino di Ignatz è quello di non conoscere mai quale significato rivesta il suo mattone per Krazy. Non dispone delle memorie razziali di Kat che giungono fino ai giorni di Cleopatra, di Bubastis, dove i gatti erano considerati sacri. Un bel giorno, un topo s’innamora di Krazy (la splendida figlia- di-Kleopatra) Kat; timido, consigliato da un indovino a trascrivere il suo sentimento, incide una dichiarazione d’amore su un mattone e, lanciando la “missiva”, questa viene accettata, sebbene Kat sia stato quasi ucciso. “Quando i tempi dell’Egitto sono terminati è divenuta un’abitudine Romana quella di colpire la capoccia dell’amata con un bel mattone, saturo di teneri sentimenti… e così via, attraverso i secoli”… la tradizione si perpetua. Ma solo Krazy ne è a conoscenza. Così alla fine è proprio l’inguaribile romantico, la vittima del Bovarysmo acuto a trionfare; infatti ogni giorno Krazy perde i sensi in pieno possesso della sua illusione e Ignatz, scagliando stupidamente il suo proiettile pensando di nuocere, in realtà incoraggia l’illusione stessa e mantiene Krazy “felice”.

Non sempre, per essere precisi. Recentemente abbiamo visto Krazy fumare un “elegantoso sigarone Avana” nell’atto di cercare Ignatz; tutto il fumo prodotto lo ha nascosto dalla vista giusto al passaggio di Ignatz e, prima che il topo potesse tornare indietro, Krazy passa il sigaro a Offisa Pupp e se ne va, dicendo “Guardare ‘Offisa Pupp’ che fuma come una ciminiera è molto assai interessante, ma ancor più vitale è trovare ‘Ignatz’ “. Il topo, pensando che la coltre di fumo sia uno stratagemma, scaglia il suo mattone, fa un occhio nero allo sceriffo ed è prontamente acciuffato dal braccio della legge. Fino a questo punto è in scena l’abituale canovaccio della striscia a fumetti, vecchio quanto Shakespeare. Ma poi si nota la vignetta finale di Krazy che osserva l’inseguimento, sconsolato, privato del suo mattone, solo, che mormora: “Ah, eccolo lì che gioca ad acchiapparella con ‘Offisa Pupp’, da grandi amiconi che sono.” E’ questo tocco d’ironia e compassione che trasforma tutta l’opera di Herriman, che la avvicina a qualcosa di profondamente vero e toccante sebbene il materiale di partenza sia del tutto irreale. Non è possibile per me raccontare alla perfezione le immagini ma, almeno fino a quando queste storie saranno raccolte e pubblicate, è l’unico modo mediante il quale posso far comprendere la dolce ironia di Herriman, la sua comprensione dei temi tragici, della sancta simplicitas, dell’innocente leggiadria presente nel cuore di una creatura più simile a Pan di ogni altra creazione del nostro tempo.

Una volta dato il tema generale le variazioni sono innumerevoli e l’immaginazione mai decresce. Utilizzerò degli esempi presi a caso dagli anni 1918-1923 poiché, sebbene Kat sia leggermente cambiato dai giorni in cui era anche talvolta un vero felino, l’essenza è sostanzialmente la stessa. Come Charlot, vive sempre in un mondo tutto suo, sottoponendo alla sua logica superiore i luoghi comuni della vita reale. Quando Ignatz dice che “l’uccello si trova nell’aria” Krazy sospetta un errore e dopo l’attento esame di alcuni volatili, risponde che “da recenti osservazzioni risulta invece ke l’uccello si trova nell’aia[d]. Oppure Ignatz osserva che Don Kiyote si è fermato a correre. Sbagliato, dice il magnifico Kat: “o è fermo o corre, ma non può essere fermo e correre nello stesso momento” Ignatz arriva con una borsa che contiene, così afferma, semi per uccelli. “Non è che dubiti della tua parola, Ignatz,” dice Krazy, “ma vorrei dare un’occhiata!” Ed è stupito di notare che sono davvero semi per uccelli, dopo tutto, poiché da sempre aveva pensato che gli uccelli nascessero dalle uova e non dai semi. E’ Ignatz colui che s’impressiona per una stella cadente; per Krazy “sono quelle che non cadono” a essere un miracolo. Raccomando la lettura di Krazy al signor Chesterton, il quale certamente apprezzerà i suoi momenti migliori. La sua mente è eternamente occupata dalle stranezze, con una profonda idiosincrasia sussistente tra la sua natura e le cose semplici. Lo vediamo entrare una banca e con una certa esaltazione compilare un assegno per trenta milioni di dollari. “Non hai così tanti soldi in banca” dice il cassiere. “Sì, lo so,” risponde Krazy; “voi li avete?” Vi è totale ingenuità nei comportamenti di Krazy; come un bambino, osserva con aria seriosa gli sforzi delle persone adulte tesi a sembrar solenni, a pretendere che le cose siano davvero ciò che sembrano; proprio come i bambini, ci spaventa poiché nessuna delle nostre finzioni può sfuggirgli. Per lui un re al massimo è “Sua carineria.”Ho sempre pensato che fossero granderrimi, magnificiontissimi, meraviglioni, maestrosi… ma, oh cielo! Non è popio kosì.” Dovrebbe essere presentato all’enfant terrible di Hans Andersen, che conosceva la verità sul re[e].

Egli è certamnte accecato dall’amore. Mentre cammina per conto suo in primavera, soffre alla vista d’ogni cosa ch’è rimasta da sola; lo preoccupa osservare la tristezza di un pino solitario e, quando ne avvista un altro, giunge nel cuore della notte a trapiantare il secondo in prossimità del primo, “Ecco che, a tempo debito, la Natura ha fatto finalmente il suo korso.” Ma vi sono poi momenti in cui l’ardente spasmo della passione non corrisposta si placa. “In quest’ore beate la mia anima non vedrà konflitti,” confida al signor Bum Bill Bee il quale, mentre la conversazione prosegue, avvista Ignatz recante un mattone, si alza in volo, lo punge e ritorna giusto in tempo per udire: “Nel mio Kosmo non vi sarà spazio per esaltazione o discordia… tutte le mie emozioni saranno sentimenti dolci e gentili.” Oppure lo vediamo tranquillo, vicino a Ignatz. Ha appena acquistato un paio d’occhiali ma, vedendo che Ignatz non ne possiede li divide in due, in modo che entrambi abbiano a disposizione un monocolo. E’ dolce, un vero gentleman, e tanto caro; divagazioni di questo tipo appartengono ai suoi momenti più adorabili; poiché quando entra in gioco l’ironia si dimostra indifeso, tanto quanto noi umani.

Mettere un simile personaggio in musica è stato un bel pensiero, ma il signor Carpenter doveva immaginare che sarebbe stato condannato al fallimento. E’ stato uno sforzo notevole, dato che nessun’altro tra i nostri compositori ne aveva notato le opportunità; temo che la maggior parte di essi non abbia voluto “abbassarsi” a tanto, comunque. Il signor Carpenter è riuscito a catturare nel balletto molta della fantasia; è stata proprio un’idea azzeccata iniziare con una parodia: il Pisolino Pomeridiano di un Fauno[f]. Anche il “Class A Fit” e il Blues dell’Erbagatta erano molto buoni. (Esiste una tavola domenicale relativa a questa scena – penso sia del 1919 e ritrae centinaia di Krazy Kat che fanno baldoria nel campo d’erbagatta, una specie di baccanale, una danza dei satiri, un festino erotico, col nostro Krazy che suona la viola nell’angolo e Ignatz, ormai ubriaco, che firma la promessa solenne). Il signor Carpenter si è dimenticato di una questione essenziale: l’estasi di Krazy nell’atto di ricevere il mattone alla conclusione; senza dubbio, mentre il signor Bolm[g] danza, si percepisce solo il trionfo di Ignatz e non il grande sobbalzo che sopraggiunge nel cuore di Krazy, l’appagamento del desiderio nel momento in cui il mattone finalmente colpisce il segno. Manca anche il lato ironico. Ed è stato un errore affidare il ruolo a Bolm, dato che per interpretare Krazy non è necessario un balletto di stampo sovietico, ma piuttosto di danza americana. Solo un uomo potrebbe renderlo alla perfezione e a lui rivolgo un appello pubblico affinché possa omaggiare una delle poche creazioni che gli sono eguali in America, anche se fosse solo per una singola occasione e per un numero esiguo di spettatori. Mi riferisco certamente a Charlie Chaplin. E’ stato sollecitato a fare molte cose contrarie alla sua natura, questa invece ne sarebbe una alla quale è destinato. Fino a quel giorno, il balletto avrebbe dovuto avere Johnny e Ray Dooley come suoi creatori: spero che il signor Carpenter non abbia mandato via altri compositori. Qui c’è abbastanza materiale da tenere impegnati Irving Berlin e Deems Taylor. Perché non proprio loro? La musica appropriata per l’opera deve avere una tocco jazz, cosa che il signor Carpenter sa bene. Per vari motivi Berlin e Taylor potrebbero riuscirci perfettamente.

Potrebbero però non esser capaci di scrivere nell’idioma personalissimo di Krazy. In questa sede ho tentato di preservare la sua pronunzia e spero che le citazioni abbiano fornito qualche accenno al suo stile. L’accento è in parte dickensiano, in parte Yiddish e il resto impossibile da identificare, poiché proprio della sua persona. E’ strano notare che nelle note “classifiche” di Vanity Fair, Krazy è spalla a spalla col “Dottor Johnson”, al quale deve molto del suo vocabolario. Vi è un particolare senso del colore nelle parole e una straordinaria immaginazione in passaggi come “gli echeggianti dirupi di Kaibito” e “a nord del ‘picco del gatto selvatico’ le ‘squaw della neve’ scuotono le bianche coltri dell’inverno e portano un gelo che cavalca con briglie e speroni, scaglia brina con mano gelata e ricopre di ghiaccio una landa incantata, assorta nel grembo della Primavera”; c’è un ritmo teso di meraviglia ed eccitazione in “Ooh, ‘Ignatz’ è terribboli; si è tagliato le gambe su fino ai gomiti, e indossa delle scarpe, e se ne sta sul pelo dell’acqua”.

E nonostante l’apporto del signor Herriman in prima persona, non si riuscirà in un balletto a rendere l’idea dei fondali cangianti. Solo quando è per conto proprio ha completa liberta di movimento; nei suoi disegni grandi e piccoli le scene cambiano a volontà – si tratta effettivamente della nostra unica opera di stampo espressionista.

Mentre Krazy e Ignatz stan parlando, vengono trasportati dalla montagna al mare; oppure un albero stentato e appiattito da una serie d’ornamenti all’improvviso cresce lungo e smilzo; o una casa diviene una chiesa. Nella mesa incantata, gli alberi sono quasi sempre posti dentro a dei vasi da fiori, con echi Copti ed Egiziani presenti sia nel fogliame che nel vaso stesso. Ci sono muri di mattoni, piante di cactus grottesche, escrescenze e funghi bizzarri. E tutti insieme vanno a comporre uno stile. Può essere definito primitivo o espressionista, ma Herriman rimane comunque un’artista; le sue opere sono davvero ben costruite; vi è una relazione ben precisa tra il tema e la struttura, così come tra le linee, le masse e la pagina. I suoi capolavori a colori mostrano nuove meraviglie, poiché egli è tanto naïf e sicuro col colore, quanto con le linee e col bianco e nero. La piccola figura di Krazy costruita attorno al suo ombelico è straordinariamente adattable al contesto, e Herriman riesce a fargli esprimere tutto lo spettro emozionale in economia, semplicemente muovendo una sua mano, curvando il fazzoletto che indossa attorno al collo o torcendone la coda.

Egli ha così tanto da esprimere proprio perché ha sofferto molto. Ritornerò adesso al vasto novero delle tavole domenicali. Una in particolare è realizzata interamente in modo inclinato. Ignatz ordina a Krazy di spostare un’enorme roccia e spingerla in discesa. Così va giù, sbriciolando case, sradicando alberi, scavando gallerie nelle montagne, con Krazy così intento a seguire il sasso da finirci praticamente sotto quando finalmente si ferma. Faticando, poi torna indietro percorrendo la salita. “Ma ha raccolto del muschio!” chiede Ignatz. “No.” “Ecco, proprio quello che pensavo.” “Piccolo filosofetto” commenta Krazy, “cerka sempre la verità, e sempre la trova.” C’è poi il gran giorno in cui Krazy ode una lezione di biologia relativa all’ectoplasma, di come “esso arrivi dall’Etere incommensurabile, per fluttuare, libero di scatenarsi, volente o nolente, senza vincoli” che diventa per lui “Ve lo immaginate, Valente e Klemente, il vostro ‘ectospasmo’ che se ne va in giro in mezzo all’Ettore inimmensurabile, davvero incredibboli-“ fino a quando un palloncino a forma di Ignatz aumenta il gesto eroico e il senso della tragedia.

E la più notevole di tutte, l’epica Odissea della porta: Krazy osserva un ghiro[h], un piccolo topino vicino a un’enorme porta. Lo impressiona, dato che dev’esser terribile che “un topino così piccoletto e delikatino” debba portarsi in giro una porta tanto pesante. (A questo punto l’Odissea inizia; usano la porta per attraversare un precipizio.) “Una porta non serve a niente se non è attaccata a una casa.” (Diventa ora una zattera per percorrere un corso d’acqua) “Non ha alcun valore ekonomiko.” (Viene utilizzata come tavola da pranzo.) “Manca d’ogni base d’utilità” (Li protegge da una tempesta di neve.) “Storicamente è tutta sbagliata e fallace.” (Li difende da tuoni e fulmini) “Come oggetto d’arte è scarso in ogni aspetto.” (Li ripara dal sole.) Mentre Krazy continua con la sua lezione: “Non vedrai mai farlo al signor Steve Door, al signor Torra Door, o al signor Kuspa Door[i], non trovi?” e “Ma te lo immagini il mio piccolo amico Ignatz che si trascina in giro una porta?” proprio il piccolo amico Ignatz appare, impugnando il mattone; non notato da Krazy, lo lancia; questo viene intercettato dalla porta, rimbalza e finisce per colpire proprio il topo. Krazy intanto continua a parlare fino a quando il ghiro s’allontana, e alla fine si siede per “koncentrarsi su Ignatz e immaginarsi dove sia finito.”

Il nostro Krazy è fatto così. E’ un’opera che l’America dev’essere orgogliosa d’aver prodotto e che deve sbrigarsi ad apprezzare. E’ ricca di qualcosa che possiediamo ancora troppo poco: la fantasia. E’ piena di tenera ironia; possiede delicatezza, sensibilità e una bellezza ultraterrena. Gli strani alberi disotrti, il linguaggio né umano né animale, gli eventi così logici eppure così folli sono tutti tappeti e polveri magiche che possono condurci a mondi irreali. Là vaga Krazy, la più tenera e innocente delle creature, un gentile piccolo mostro della nostra nuova mitologia.

* * *

[1] Devo affrettarmi a correggere un’impressione errata che può aver causato pensieri a molti ammiratori di Krazy. I tre piccoli Milton, Marshall e Irving appartengono a Ignatz e non, come ha detto il signor Stark Young, a Krazy. Krazy non è una ragazza madre. Per amor di precisione adesso vado ad elencare i nomi di alcuni degli altri personaggi principali: Offisa Bull Pupp; La signora Ignatz Mice; Kristofer Kamel; Joe Bark l’odiatore della luna; Don Kiyoti, il pittoresco anticonformista; Joe Stork, alias Jose Cigueno; Mock Duck; Kolin Kelly il mercante di mattoni, Walter Cephus Austridge; inoltre, il Kat Klan: la zia Tabby, lo zio Tom, Krazy Katbird, Osker Wildcat, Alec Kat e Krazy Katfish.

* * *

[a] Orig. “The Krazy Kat that walks by himself”, cit. dal racconto di Rudyard Kipling “The Cat that walks by himself”. (NdT)

[b] il pittore Henri Rousseau (1844-1910), detto “il doganiere” a causa della sua occupazione. (NdT)

[c] Wilkins Micawber, personaggio del romanzo “David Copperfield”. (NdT)

[d] Traduzione libera del dialogo ispirato alla nursery rhyme “Spring is sprung, De grass is riz, I wonder where dem birdies is? De little birds is on de wing, Ain’t dat absurd? De little wing is on de bird!” (NdT)

[e] La fiaba “I vestiti nuovi dell’imperatore” e la frase “il re è nudo”. (NdT)

[f] Parodia di http://en.wikipedia.org/wiki/Afternoon_of_a_Faun_(Nijinsky) (NdT)

[g] Il ballerino e coreografo sovietico Adolph Blom (1884-1951) che interpreta Krazy http://en.wikipedia.org/wiki/Adolph_Bolm (NdT)

[h] intraducibile (se non con parole inventate, tipo “portopo”) il gioco di parole tra dormouse (ghiro) e door (porta) cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Dormouse (NdT)

[i] assonanze intraducibili con le parole d’origine spagnola stevedore (stivatore delle navi), toreador e cuspidor (sputacchiera). Potrebbe essere tentato un adattamento utilizzando forme comiche del tipo “Porta N. Tino”, ma ciò esula dall’intento di questa traduzione (NdT)

Watterson e il perché di Krazy Kat

Grazie all’importante apporto del nostro nuovo collaboratore Andrea Pachetti oggi presentiamo uno scritto di Bill Watterson risalente al 1990 e pubblicato originariamente come prefazione al volume “The Komplete Kolor Krazy Kat Vol 1 : 1935 – 1936“, primo di una serie (mai completata) incentrata sulle ristampe delle tavole domenicali di Krazy Kat a partire dall’anno in cui Herriman incominciò a colorarle.
Articolo interessante quello di Watterson che, oltre ad essere un rinomato fumettista, si riconferma attento esaminatore ed esperto conoscitore del linguaggio delle strisce.

Pagina domenicale di “Krazy Kat”

Qualche considerazione su Krazy Kat
di Bill Watterson

traduzione di Andrea Pachetti

Come autore di fumetti, ho letto Krazy Kat con meraviglia e soggezione. Krazy Kat è una visione personale così pura e compiuta che il meccanismo interno della striscia è in definitiva tanto impossibile da comprendere quanto George Herriman stesso. Tuttavia, mi meraviglio della forza con cui questo mondo è stato immaginato e dell’immediatezza con la quale è stato trasferito su carta. QUESTO è quanto di meglio un fumetto possa sperare d’essere.
E’ interessante che Krazy Kat abbia il suo punto di forza non tanto nelle personalità dei suoi protagonisti, quanto nelle loro ossessioni. Ignatz Mouse dimostra il suo disprezzo per Krazy lanciandole dei mattoni, Krazy interpreta i mattoni come segni d’amore, e Offissa Pupp è obbligato dal senso del dovere (e dall’affetto verso Krazy) a contrastare e punire Ignatz per la sua “colpa”, inserendosi così in un processo che soddisfa tutti per le ragioni sbagliate. Da quest’amalgama di fini contrastanti sono venute fuori circa 30 anni di strisce. L’azione può essere letta come metafora d’amore oppure politica, o semplicemente apprezzata per la folle logica interna e la sua comicità fisica.
Sebbene le inclinazioni dei personaggi siano dunque prevedibili, la striscia non si abbandona mai agli schematismi o alla routine. Spesso il lancio effettivo del mattone è solo suggerito. La semplice trama viene continuamente rinnovata attraverso il cambiamento costante, le modifiche del ritmo, i risultati imprevisti e, soprattutto, il fascino silenzioso nella presentazione di ogni singola storia. La magia della striscia non è tanto in ciò che dice, ma in come lo dice. Si tratta di un modo di fare fumetti molto più sottile e sofisticato di quello che abbiamo oggi.
Per lo smarrimento di numerosi lettori, ci sono poche conclusioni in Krazy Kat che presentano la classica battuta finale (“punchline”). Al contrario, è proprio il temperamento della scrittura e del disegno presente nell’intera striscia a rappresentare la battuta. Se non ritenete divertente che una striscia debba avere una vignetta d’intervallo, o che un personaggio si riferisca alla sua coda come a un'”appendice caudale” state leggendo la striscia sbagliata, ed è un vostro problema.

Particolare da una pagina domenicale di “Krazy Kat”

Eccentrico, speciale e senza compromessi, Krazy Kat è uno dei pochissimi fumetti che trae pieno vantaggio del suo medium. Ci sono alcune cose che un fumetto riesce a fare e che gli altri media, persino l’animazione, non possono sperare di raggiungere: Krazy Kat è un saggio virtuale sull’essenza del fumetto.
Nella frenetica ricerca della “gag”, la maggior parte degli autori non si è accorta degli innumerevoli tesori che Herriman ha scoperto, semplicemente prendendosi il tempo necessario per esplorare la libertà del suo medium. Le narrazioni volutamente barocche e i monologhi (“Dai kuriosi konfini del karcere della kontea di Kokonino — risponde lo Sceriffo ‘Pup'”) mostrano che le parole possono essere divertenti in sé, nello stesso modo in cui lo sono i disegni. Il cielo si trasforma da nero a bianco a zig-zag e a quadrettoni semplicemente perché, in un fumetto, questo è POSSIBILE. Nessun altro fumettista si era mai avvicinato al suo foglio di carta bianco con una propensione così grande verso lo studio di tutte le sue possibilità.
I disegni graffianti mi donano una gioia infinita. Possiedono l’onestà e la schiettezza degli schizzi. Gran parte delle strisce attuali sono così patinate e raffinate, il risultato inevitabile di assistenti atti a sviluppare uno stile meccanico, che può essere ripetuto all’infinito. I disegni di Krazy Kat sono stravaganti, caratteristici e pieni di personalità. Il design audace delle tavole domenicali risulta un complemento ideale per le distese uniformi di colore o di nero, e il meraviglioso tratteggio va a caratterizzare un approccio che, altrimenti, risulterebbe troppo piatto.
Nulla in Krazy Kat ha avuto un ruolo secondario, meno di tutti l’ambientazione desertica dell’Arizona. Le montagne sono disegnate a strisce. Le mesa a puntini. Gli alberi crescono nei vasi. L’orizzonte è un muro basso che i personaggi possono scavalcare. Le vignette sono incorniciate da sipari e fari teatrali. I monoliti della Monument Valley sono disegnati in modo da ricordare maggiormente il loro nome. La luna è una fetta di melone, sospesa a testa in giù. E praticamente ogni vignetta è dotata di un paesaggio diverso, anche quando i personaggi risultano immobili. La terra è più di un semplice fondale. E’ un personaggio nella storia, e la striscia ha come “tema” quel paesaggio tanto quanto gli animali che lo popolano.
Se i disegni risultano poetici, lo stesso vale per la scrittura. Con la possibile eccezione di Pogo, nessun’altra striscia deve gran parte del suo fascino alla verbosità. L’aspetto unico di Krazy Kat deriva soprattutto dall’insieme di pronunce particolari e segni di interpunzione, dialetti, contaminazioni con la lingua spagnola, interpretazioni fonetiche e allitterazioni. La Contea di Coconino di Krazy Kat non aveva solo un aspetto visivo, ma anche un proprio suono. Leggermente estranea, ma non artificiosa, era un mondo straordinario e compiuto.

Tavola domenicale da “Krazy Kat”

Pochissime strisce ormai sfidano ancora i loro lettori. I fumetti sono diventati un grande affare, che va giocato minimizzando i rischi. Vanno ad assecondare spudoratamente i risultati delle indagini di mercato e sono prodotti da fabbriche virtuali, pronti per le inevitabili magliette, pupazzi, cartoline d’auguri e trasmissioni televisive. Il guadagno lo si ottiene coi prodotti su licenza: ormai sembriamo aver dimenticato che un fumetto può rappresentare qualcosa in più di una semplice piattaforma di lancio per un quantitativo abnorme di prodotti derivati. Quando il fumetto non viene sfruttato all’eccesso, questo medium può ancora veicolare disegni meravigliosi e concetti seri e intelligenti.
Krazy Kat è stato creato ormai più di mezzo secolo fa, eppure resta un’applicazione molto più sofisticata del medium fumetto rispetto a ogni cosa che stiamo realizzando oggi. Certo, una tavola domenicale anni ’30 di Krazy riempiva l’intera pagina del quotidiano, mentre attualmente i redattori di solito stipano almeno quattro strisce nella stessa quantità di spazio. Questo rimpicciolimento limita notevolmente ciò che può essere disegnato e scritto pur rimanendo ancora leggibile, e riesce a chiarire perfettamente il processo involutivo a cui fumetti sono sottoposti.
Anche così, il foglio bianco appare ancora un vasto territorio sconosciuto, pronto per essere esplorato. Moltissime terre esotiche potranno ancora essere descritte dai fumettisti, se questi riusciranno ad abbandonare i sentieri ormai troppo battuti e ovvi, per dirigersi vero le terre selvagge della fantasia. Krazy Kat non è simile a nessun altra striscia a fumetti, passata o futura. Risultiamo arricchiti dall’integrità e dalla visione di Herriman.
Krazy Kat non ha avuto un grande successo commerciale, ma era qualcosa di meglio.
Era arte.

Pagina domenicale di “Calvin and Hobbes” di Watterson, chiaramente ispirata dal lavoro di Herriman

Ware e il canone fumettistico Parte 3

Terza ed ultima parte dell’articolo di Jeet Heer, che spiega il lavoro di Chris Ware attraverso le copertine dei suoi progetti di ristampa.

leggi la prima parte
leggi la seconda parte

Ware e il canone fumettistico parte 3
di Jeet Heer

traduzione di Andrea Queirolo

Fotografia di Frank King

Leggendo la Smithsonian Collection, Ware fu rapito da una pagina domenicale di Gasoline Alley dove i protagonisti Walt e Skeezix, padre e figlio adottivo, passeggiano fra gli alberi. Questa pagina racconta uno stato d’animo tramite il fumetto: tristezza e commozione. Ware rende spesso omaggio a questa pagina in diversi suoi lavori, dove usa l’immagine retorica delle foglie cadenti per richiamare la fugacità della vita umana.

I lettori di Jimmy Corrigan non saranno sorpresi dal fatto che Ware sia affascinato da Gasoline Alley. Così come Jimmy Corrigan racconta la storia di un figlio in cerca del proprio padre, Gasoline Alley narra l’esatto contrario: la paura che ha un padre di perdere il proprio figlio. Come ho parlato nelle introduzioni dei primi due volumi di Walt and Skeezix, Frank King era molto ansioso della sua relazione col figlio perché lui e la moglie avevano visto morire il primogenito durante il parto. Per queste e altre ragioni, Gasoline Alley nelle sue prime decadi era una striscia incentrata sulla relazione padre/figlio. Nella storia, lo scapolo Walt Wallet trova e adotta un bambino a cui da il nome di “Skeezix”, e ancora, nel corso del racconto, Walt teme di perderlo. L’atmosfera dominante è di tenera apprensione, un motivo che Ware stesso prende in prestito specialmente quando rappresenta la vita di tutti i giorni. Sono queste particolarità incentrate sul quotidiano che rendono Gasoline Alley un modello perfetto per Ware.

La pagina domenicale di Gasoline Alley che colpì Ware

A parte il tema ricorrente padre/figlio, Gasoline Alley ha insegnato molto a Ware sulla narrazione. Durante la storia, Skeezix e gli altri personaggi invecchiano. Questo reale passare del tempo distingueva Gasoline Alley dalle altre strisce e dagli altri fumetti, i quali tendevano a essere inseriti in un eterno presente. Skeezix viene trovato infante nel 1921, cresce fino al 1939 e nel 1942 diventa un soldato. La dimensione del tempo, in particolare estesa all’interno di una famiglia, diventerà un un concetto ricorrente per Ware, come si può notare nelle saga multigenerazionali di Jimmy Corrigan e in quella di Rusty Brown.

Nel 2002, Chris Olivieros, capo della Drawn & Quarterly, si rivolse a me e a Ware per realizzare una serie di ristampe dei lavori di King. Nell’estate del 2003, incontrai assieme a loro Drewanna King, la nipote del fumettista. Fortunatamente si scoprì che lei era particolarmente interessata alla storia della propria famiglia. Era una meticolosa genealogista che conservava qualsiasi cosa e la sua cantina era un tripudio di oggetti appartenuti a King: disegni originali, foto, diari e lettere. Fra le altre cose Drewanna aveva l’originale della pagina domenicale di cui Ware si innamorò leggendo la Smithsonian Collection. Con grande generosità Drewanna condivise non solo il suo tesoro di famiglia, ma anche i suoi ricordi. Incontrandola ci convincemmo che avremmo potuto scrivere della vita di Frank King abbastanza a lungo da arricchire la lettura delle strisce. King era essenzialmente uno scrittore autobiografico, così gli accadimenti della sua vita si mischiarono ai nostri apprezzamenti per la sua arte. A causa dell’abbondanza di materiale, Ware decise di formulare le introduzioni in modo da catturare la vita famigliare dell’autore. King era stato un accanito fotografo che spesso usava i propri scatti come ispirazione per i disegni. Il tema delle strisce ci suggerì che forse era meglio presentare gli editoriali come se fossero un album di famiglia. Il nostro scopo è quindi quello di creare un’insieme di sfaccettature. Le mie introduzioni sono inserite senza soluzione di continuità con gli altri elementi del libro: il design, le foto, le strisce, e le note storiche di Tim Samuelson. L’effetto che speriamo di raggiungere è quello di un gioco di specchi. Idealmente i lettori dovrebbero essere interessati alla storie di Walt e Skeezix così da poterle confrontarle con gli aspetti della vita di King rappresentati dalle foto e dai diari. Inoltre, le note storiche di Tim Samuelson forniscono un’altra prospettiva e inseriscono Walt and Skeezix nel contesto storico di King.

Uno dei volumi di Walt and Skeezix progettati da Ware

Una volta, mentre stavamo decidendo circa le sorti della serie, Chris e io maturammo l’idea di comporre i volumi nello stile di Fuoco Pallido di Vladimir Nobokov. Questo romanzo è composto da un lungo poema (scritto da un falso poeta), un’introduzione di un falso narratore e una strana spiegazione del poema che si conclude con un indice fittizio. La bellezza di Fuoco Pallido sta nel fatto che tutti questi elementi giocano un ruolo importante nel creare un insieme sconnesso.
Mentre i volumi di
Walt and Skeezix sono molto più sensati di Fuoco Pallido, lo scopo è quello di creare un libro a più strati come se vosse un romanzo modernista. Fuoco Pallido, come una volta Ware mi suggerì, è uno studio ideale per un fumettista perchè il fumetto è un’arte ibrida, e Nobokov era un maestro nel mischiare diversi elementi in un singolo libro. In definitiva la serie di Walt and Skeezix è un progetto collettivo, ma l’idea di creare un volume composto da più elementi è di Ware.

Tralasciando gli articoli, il design dei libri merita grande attenzione. Prima di tutto questi volumi hanno un’impostazione simile al primo cartonato di Jimmy Corrigan. Messi l’uno accanto all’altro su uno scaffale assomigliano parecchio alla copertina di Jimmy Corrigan: sono tutti rettangolari, con la sovracopertina dai colori tenui (risaltano il rosa e il giallo); in ogni libro lo spazio sulle copertine è interamente sfruttato sia all’interno che all’esterno. Le varie sezioni (l’introduzione, le strisce e le note storiche) sono distinte da diversi tipi di carta: bianca per gli articoli e giallina, che richiama i vecchi quotidiani, per la ristampa delle strisce.
Mentre i volumi di
Walt and Skeezix sono pensati per esaltare una striscia dimenticata a lungo, quelli di Krazy and Ignatz sono studiati per indirizzare i lettori a sfogliare il lavoro di un’artista molto più celebrato. Almeno dal 1920, quando il critico Gilbert Seldes elogiò Krazy Kat, il lavoro di Herriman fu l’unico dei fumetti ad avere un pubblico presso gli intelettuali, gli scrittori e gli artisti. Fra i suoi fans ci sono Joan Mirò, Jack Kerouac, e. e. cummings e Umberto Eco. Prima del lavoro di Ware, Krazy Kat è stato sporadicamente ristampato: Henry Holt rilasciò una prima selezione nel 1946, che si distingueva per un esuberante saggio di e. e. cummings. Nel 1969, durante il boom nostalgico, Grosset & Dunlap editarono un’altra raccolta fortemente modellata sulla pop art del periodo, con Krazy Kat presentato come un precursore dei poster pscichedelici in voga all’epoca. In seguito, nel 1986, Abrams pubblicò un terzo altro volume arricchito dalle approfondite ricerche biografiche ad opera di Patrick McDonnell, Karen O’Connell and Georgia Riley de Havenon.

Un’illustrazione di Ware che rende omaggio a King

Bill Blackbeard provò per primo a ristampare interamente Krazy Kat fra il 1988 e il 1992. Lavorando col designer Dennis Gallagher, rilasciò nove volumi che diedero ai lettori una chance di leggere quasi un’intera decade di strisce. Questi libri erano semplici ma eleganti, con rappresentazioni dei personaggi principali su ogni copertina. Ogni numero era accompagnato da introduzioni biografiche e annotazioni storiche. Sfortunatamente la serie s’interruppe ben prima del suo completamento.
Nel 2002 Blackbeard, grazie alla Fantagraphics, resuscitò il progetto
Krazy and Ignatz in collaborazione con Ware come designer. Nel progettare la serie Ware fece numerosi cambiamenti: invece di usare un solo logo si applicò nel cercare uno stile diverso per ogni copertina. Invece di utilizzare disegni di Herriman su di esse scelse sagome e colori in primo piano (poiché la striscia ruota attorno al triangolo cane, gatto e topo, Ware spesso usa figure triangolari per le sue copertine).
Infine, grazie all’aiuto della tecnologia, incluse molte più foto ed esempi di tavole originali rispetto alle edizioni precedenti. Dato che Herriman era un grande collezionista di tappeti Navaho, nei cinque volumi della serie che raccolgono le strisce dal 1935 al 1944, Ware aggiunse anche diversi elementi ispirati all’arte Navaho. Rispetto alle copertine di Dennis Gallager e sicuramente anche allo stesso lavoro di Ware per
Walt and Skeezix, le copertine di Krazy and Ignatz non ne evidenziano molto i personaggi. Sebbene Krazy, Ignatz e gli altri abitanti di Coconino County appaiono nelle covers, sono spesso molto piccoli, un po’ come certi disegni di Quimby the Mouse dello stesso Ware. In un’intervista con Todd Hignite, Ware spiega perchè è stato disposto a mimare lo stile di King mentre invece ha scelto un approccio differente per i volumi di Herriman: “Ho cercato di farlo sembrare più che ho potuto simile a King (diversamente alla ristampa Fantagraphics di Krazy and Ignatz dove sto applicando scelte diverse per ogni copertina) perché voglio che i volumi di Walt and Skeezix sembrino il più possibile ideati da King stesso; credo che questa scelta porti molta più leggibilità al lavoro di King che a quello di Herriman. D’altronde, non ho mai osato rimaneggiare un disegno di Herriman. Tuttavia penso che a King, il quale usufruiva di innumerevoli assistenti, non sarebbe importato; credo che la sua preoccupazione fosse rivolta alla leggibilità della storia.”

La dinamica padre/figlio e l’intimismo in Jimmy Corrigan

I commenti di Ware sul differente modo di lavorare scelto per le due serie rivelano il suo attento approccio al design. In entrambi i casi, considera cosa rende un’artista unico e come il design possa evidenziarne al meglio il lavoro. Nel caso di King l’impostazione richiama l’attenzione ad una storia di famiglia. Nel caso di Herriman, Ware sottolinea un’aspetto meno apprezzato di Krazy Kat: l’audace impostazione di queste strisce a pagina intera. Mentre Krazy Kat è spesso stato celebrato come un lavoro letterario, il design di Ware focalizza l’attenzione sulla visione artistica di Herriman, riscrivendo ancora la storia del fumetto e mettendo in chiaro che la parte narrativa non può essere separata da quella grafica. Ci sono, però, anche alcune similitudini fra le due serie. In entrambi i casi Ware sta cercando di presentare le strisce in un formato nobile che rispecchi la produzione letteraria, e lo fausando una carta giallognola rendendo omaggio a quei vecchi quotidiani dalla stampa effimera. In entrambe le serie prova a inserire i fumetti in un contesto storico e sociale, nonostante questo sia più facile per Walt and Skeezix grazie all’esistenza di un grosso archivio di famiglia. In tutti e due i casi sta lavorando, come artista, con strisce che parlano delle sue stesse tematiche e preoccupazioni cosi come di quelle di molti altri fumettisti contemporanei.

Studiando l’interesse di Ware per la storia del fumetto è chiaro che questo per lui è molto più di un hobby o di una sorta di secondo lavoro. Come nel caso di artisti come Art Spiegelman , Seth e Chester Brown, lo sforzo di Ware nel recuperare i primi comics è un’attività strettamente connessa alla propria arte e dovrebbe essere valutata all’interno di questo contesto storico. In relazione al lavoro di questi artisti ci sono le attività di storici come Bill Blackbeard e della nascente generazione di accademici che studiano i fumetti. Infatti graphic novel come Jimmy Corrigan hanno preso campo nella cultura popolare, ed è presente anche una crescente consapevolezza della tradizione storica dalla quale questi emergono. Chris Ware, dunque, non solo rappresenta il futuro del fumetto, ma anche il passato; infatti il fardello del suo lavoro sta a dimostrare che il passato e il futuro sono strettamente connessi.

Il Big Tex di Ware e il dichiarato amore per la striscia di King

Ware e il canone fumettistico Parte 1

Innanzitutto sono lieto di annunciare che Roberto La Forgia collaborerà con noi, spero più a lungo possibile. Di Roberto mi piace ricordare la bella antologia Gli Intrusi che ha co-editato per Coconino e che contiene una sua sorprendente storia, la quale se ho ben capito avrà prima o poi un seguito.

Illustrazione di Roberto La Forgia

L’argomento di oggi, e dei prossimi post, è invece un lungo saggio su Chris Ware del famoso critico e storico di fumetti americani Jeet Heer. Giornalista canadese, ha pubblicato articoli su diverse riviste fra le quali The Comics Journal, ha scritto numerose introduzioni a diversi volumi e ha co-editato assieme a Chris Ware la serie di libri Gasoline Alley. Heer, fra le altre cose, scrive di fumetti sul blog Comics Comics.

L’articolo che segue è tratto dall’ultimo libro dedicato alle storie di Chris Ware: The Comics of Chris Ware, Drawing is a Way of Thinking.
Un libro davvero molto interessante e consigliato, una raccolta di saggi fra cui spicca proprio quello di Heer. Dopo averlo letto ho pensato subito di contattarlo per chiedergli l’autorizzazione alla traduzione. Jeet si è dimostrato molto gentile concedendomi di farlo e per questo lo ringrazio.

Di seguito la prima parte della traduzione dell’articolo:

Ware e il canone fumettistico
di Jeet Heer

traduzione di Andrea Queirolo

Nel 1990, Chris Ware, ventunenne studente agli inizi della sua carriera, si recò a Monument Valley, Arizona, per effettuare alcune ricerche sulla vita di George Herriman. Autore della classica striscia Krazy Kat, che apparì su diversi quotidiani dal 1913 fino alla morte del suo inventore nel 1944, Herriman usò il paesaggio desertico della regione come mutevole sfondo per i suoi fumetti. Assieme all’adiacente area di Coconino County, Monument Valley ispirò i sognanti fondali lunari che fanno di Krazy Kat un raro esempio di fumetto moderno. Desideroso di apprendere di più sulle fonti dell’ispirazione artistica di Herriman, Ware sentì il bisogno di vedere il paesaggio fatto di altipiani isolati e mese piatte che il vecchio disegnatore aveva incorporato così bene nei suoi racconti. Questo pellegrinaggio nel Southwest fu una prima manifestazione dell’interesse di Ware per la storia del fumetto, un fascino persistente che è stato molto più di una passione antiquaria e che ha avuto una profonda influenza sul suo stesso lavoro.

Autoritratto di George Herriman

Nel corso della sua carriera Ware ha costantemente fatto appello ai fumettisti del passato, specie a quelli delle strisce dei primi del novecento e ai pionieri dei fumetti supereroistici del 1930 e 1940. Queste citazioni hanno avuto diverse forme, spaziando dall’astuta allusione alla del tutto dichiarata celebrazione. Alcuni esempi includono: “Thrilling Adventure Stories / I Guess” una vecchia storia del 1991, disegnata imitando lo stile di Joe Shuster, il co-creatore di Superman; la dinamica gatto/topo delle storie di Quimby the Mouse, presa in prestito dall’antropomorfica relazione amorosa che sta alla base di Krazy Kat (dove il protagonista felino ha una passione non corrisposta per un irascibile roditore); l’ironico riferimento a Superman, disseminato in tutto Jimmy Corrigan, che funge da controparte alla desolazione della storia principale; e l’inusuale gigantesca dimensione di alcuni dei libri di Ware, come il volume di Quimby the Mouse e The ACME Report, che ricordano le pagine domenicali di autori delle prime decadi del secolo scorso, come Winsor McCay e Frank King.

Retrocopertina di Quimby The Mouse, cliccate per ammirarla

Il profondo e costante amore di Ware per i vecchi comics è evidente anche nei suoi numerosi progetti di ristampe, dove ha usato il suo grande talento di book designer per riportare nuova attenzione su lavori come il Krazy Kat di Herriman e il Gasoline Alley di Frank King. Ad oggi, Ware ha progettato e co-editato quattro volumi di Gasoline Alley (sotto il titolo di Walt and Skeezix) e dieci volumi di Krazy Kat (sotto il titolo di Krazy and Ignatz). A parte questo lavoro di editing e progettazione, Ware ha anche scritto parecchio sulla storia del fumetto in diverse sedi, spaziando da Bookforum al catalogo del museo pubblicato dalla Library of Congress.

Una pagina da Gasoline Alley di Frank King, cliccate per ammirare

D’altra parte l’interesse di Ware per la storia del fumetto non dovrebbe essere una sorpresa. Ci si aspetta che i poeti, gli scrittori e i pittori siano allo stesso modo collegati alle tradizioni della propria rispettiva forma d’arte. Eppure c’è una significante differenza tra come un fumettista si relaziona alla storia del suo mestiere e come i praticanti di arti più tradizionali hanno sviluppato il proprio patrimonio artistico. Se i poeti, i narratori o i pittori vogliono approfondire la storia dei loro rispettivi generi, possono attingere da un grosso archivio di conoscenze istituzionali stipato in librerie, università e musei. Fino a poco fa, i fumettisti non avevano accesso a nulla di simile nel mondo dei comics: monografie, collezioni librarie, spazi nei musei e ristampe erano poche, malfatte, disperse o incomplete. Il fumettista canadese Seth, la cui passione per i fumetti è pari a quella del suo amico Chris Ware, osservò che la maggioranza degli autori deve imparare a conoscere la storia del fumetto spulciando le librerie dell’usato o racimolando quante più informazioni possibili dai vecchi libri disponibili.

Una copertina di Ware per la serie Krazy and Ingatz, cliccate per ingradire

Questo articolo esaminerà il lavoro di Ware come storico del fumetto, prestando particolare attenzione al design dei suoi libri. La mia opinione è che nel restaurare artisti come King o Herriman per un pubblico nuovo, Ware si sia impegnato in un atto di creazione ancestrale, dando un pedigree e una discendenza al proprio lavoro. In altre parole, il design dei libri di Ware è uno sorta di canone formativo, un modo di riempire la mancanza di materiale storico disperso e di creare per il fumetto un senso di continua tradizione. Prima di andare avanti, dovrei farvi notare che ho lavorato a stretto contatto con Ware su diverse di queste ristampe, coeditando tre volumi di Walt and Skeezix e scrivendo le introduzioni di quattro albi di Krazy and Ignatz. Dunque, sebbene non stia parlando a nome suo, il mio ragionamento si fonda su diversi discorsi che ho avuto con lui riguardo questi argomenti.
Il lavoro di Ware come storico e designer si sovrappone significativamente alle proprie tematiche. In Jimmy Corrigan, l’infelice protagonista va alla ricerca di suo padre sconosciuto, e nel corso del racconto viene rivelata un’ampia storia di famiglia. Ware, nella sua indagine storica ha ricercato antenati artistici e nel far questo ha creato una specie di genealogia. Rusty Brown, il personaggio principale del suo fumetto in corso, è un avido collezionista la cui ottusa bramosia spesso assume un aspetto patologico. La conoscenza che Ware ha dei collezionisti deriva da un’esperienza diretta, dato che lui stesso è diventato un collezionista ed ha avuto a che fare con molti altri nel corso della sua auto educazione di storico del fumetto.

Cover di Ware per il terzo volume di Walt and Skeezix, cliccate

Nel cercare di capire il ruolo che ha avuto la storia del fumetto nella produzione di Ware, è importante precisare che lui segue un metodo comune. Gli artisti innovativi spesso interpretano i propri predecessori cercando di dare un’origine al loro lavoro. Prima di Kafka, Dickens era visto come un’intrattenitore popolare specializzato in racconti strappalacrime. I commenti di Kafka su Dickens riscrivono il narratore vittoriano come l’oscuro scrittore di claustrofobiche allegorie quale la “Casa desolata”. D’altro canto, Elliot interpreta John Donne, largamente confinato nello stato di curiosità letteraria, come il maggior precursore del modernismo. Nel settore del fumetto, Ware si è impegnato in una simile riscrittura storica offrendo una nuova lettura dei vecchi maestri. Affrontando la classica visione della storia del fumetto, che mette in primo piano i lavori realistici di illustratori come Hal Foster, Milton Caniff, Alex Raymond e Jack Kirby, Ware offre un modello alternativo che premia i fumettisti che praticavano un’esplicita sperimentazione o si focalizzavano sul raccontare la vita di tutti i giorni, come Rodolphe Topffer, George Herriman, Frank King e Gluyas Williams.

Un’illustrazione di Gluyas Williams, cliccate per ingrandire

Quello che questi artisti hanno in comune è che possono essere considerati come significanti precursori nell’educazione di Ware. Sicuramente, l’influenza artistica è sempre una complessa, riflessiva relazione: un artista si sviluppa sul passato e a sua volta crea un nuovo lavoro che getta il passato in una nuova, inaspettata prospettiva, e l’iniziale attrazione di Ware per certi autori salta fuori dell’interesse estetico più che da quello creativo. Però non è accidentale che gli autori più amati da Ware siano quelli che rispecchiano i suoi usi. Per esempio, la convinzione di Ware che un disegnatore debba mirare a disegnare immagini che siano iconiche nella loro semplicità piuttosto che avere un’illustrazione appariscente, può essere collegata alle teorie di Topffer. Sia per Topffer che per Ware, i fumetti non sono una forma di disegno che provano a mimare la realtà, ma piuttosto sono una forma di stenografia visuale che usa le immagini per raccontare storie. Il modo in cui Ware usa la pagina come un’unità coesiva deve molto allo stile delle pagine domenicali di Winsor McCay, Herriman e King. L’affinità di Ware per Gasoline Alley di King è caratterizzata da un’insieme di sfumature e atmosfere. Diversamente dalle evidenti gag caricaturali o dalle melodrammatiche bravate delle altre strisce quotidiane, quella di King ha una vena gentile, riflessiva e nostalgica che imita il vivere giornaliero di una famigla del Midwest attraverso le decadi. Questo concentrasi sul quotidiano ha fortemente influenzato gli stessi intenti di Ware di registrare gli istanti, una cosa ricorrente nei suoi fumetti. Gluyas Williams, altro fumettista ampiamente dimenticato che Ware adora e desidera vedere ristampato, lavorava nello stesso modo intimistico proprio di King.

Un disegno di Topffer

Così, il revisionistico lavoro di design di Ware cerca di cambiare il modo nel quale i suoi fumetti favoriti sono recepiti. Prima di Ware, Krazy Kat era celebrato largamente più per i contenuti che per le costruzioni visive, mentre Gasoline Alley era generalmente visto come una datata striscia sentimentale. Prestando le proprie attenzioni su di esse, Ware sta provando a cambiare il loro stato culturale, rendendoli precursori di lavori come Quimby the Mouse e Jimmy Corrigan e collegando questi artisti con il gruppo di fumettisti alternativi  emerso in questi ultimi anni che comprende Seth, Dan Clowes e Ivan Brunetti. Questo collegamente fra passato e presente può essere visto chiaramente nel numero di McSweeney’s che Ware ha editato, il quale include una foto di Frank King, un articolo su Herriman e altre gemme del passato nascoste fra un folto gruppo di fumettisti moderni.

Nella ricerca dei pionieri e ricomponendo la storia del fumetto per evidenziare lavori che sono simili ai suoi, Ware è parte di quel grande sforzo effettuato da alcuni autori della sua generazione. Art Spiegelman, un mentore che offrì a Ware accoglienza in Raw, ha spesso scritto sui fumetti del passato cercando di ripescare alcuni maestri, soprattutto Harvey Kurtzman e Jack Cole. L’autore canadese Seth ha sottolinato l’importanza dei classici fumettisti del New Yorker, del fumetto canadese e dei Peanuts di Charles Schulz (in questo caso disegnandone le copertine di una ristampa come ha fatto Ware con King e Herriman). Chester Brown, altro autore canadese, ha fatto suo ed elaborato lo stile di Harold Gray, il fautore di Little Orphan Annie.

In effetti, Ware appartiene ad un cordone di artisti contemporanei che producono lavori innovativi nel presente, riscrivendo e rielaborando la storia del fumetto.

Fine della prima parte.

Leggi la seconda parte.

Chris Ware da Jimmy Corrigan