Intervista ad André Franquin

traduzione di Enrico Cicchetti

Quest’intervista ad André Franquin è composta da estratti di diverse interviste, ripescate a destra e a manca, su internet o su carta. Link originale all’articolo.

Leggevi il giornale e il fumetto Spirou prima di diventarne disegnatore?

Né l’uno né l’altro!
Giusto prima della guerra, c’era stata una pubblicità importante per il lancio del giornale; così avevo avuto uno Spirou tra le mani. Ma l’avevo trovato brutto rispetto alle riviste che leggevo, mal disegnato, di formato troppo grande, carta scadente. Insomma, non trovai Spirou simpatico.
E poi quando Dupuis mi ha domandato di riprendere il fumetto di Gillaim l’ho scoperto grazie a degli estratti che mi ha mostrato allora.
Ho cominciato a disegnare Spirou senza aver letto i lavori dei miei predecessori. Inverosimile no?

E quando Dupuis ti ha proposto il lavoro, non hai avuto paura? Hai pensato subito di poterlo fare?

Si, e questo denota da parte mia un’ingenuità incredibile. Joseph all’inizio mi ha dato lo spunto di una storia per l’Almanacco 1947 di Spirou, e ho dimostrato che ero capace di cavarmela. Allora Joseph mi ha detto: “Vado in Italia. Tu riprendi la storia in corso”.

E la tecnica stessa del fumetto, l’hai afferrata senza problemi?

Gillaim mi aveva spiegato bene i rudimenti e il resto mi è venuto molto facilmente. A quell’età si è molto istintivi, molto naturali.
Probabilmente le mie letture di fumetti mi sono servite quando ho cominciato a realizzare Spirou. E penso che sia quello che manca ai giovani debuttanti di oggi.


Pensavi, quando eri debuttante, ai fumetti che leggevi in quel momento?

Non proprio: non ne copiavo, almeno non coscientemente.
Beh, ho apertamente copiato Gillaim all’inizio, per favorire il passaggio da un disegnatore all’altro, ma possiamo dire che è stata la sola volta nella mia vita dove ho copiato con tutta cognizione di causa.

E le tue sceneggiature, quelle dell’inizio, le concepivi senza sforzo?

Senza nessun problema. Quando si è molto giovani si arriva con una gran riserva di idee e non si ha paura di niente. Le preoccupazioni vennero molto tempo dopo, quando ho cominciato a inoltrarmi dentro sceneggiature dalle quali non potevo uscire se non chiamando Greg in aiuto.

Sei un arista piuttosto “visuale”. A quell’epoca, fuori dal fumetto, eri interessato alle belle arti?

Si, ha contato molto per me. La pittura l’ho sempre divorata con lo sguardo, per esempio; mi metteva in uno stato adatto. E’ sicuramente quella che mi ha dato il gusto dell’immagine, la voglia di disegnare. Quando ero molto giovane, molto ingenuo, ero stato conquistato dai quadri di Rubens. Volevo diventare un pittore di quel genere.

Oggi i tuoi gusti sono cambiati?

Sono tornati quelli di prima, dopo un grossa depressione dovuta all’influenza di Gillain, che non amava i primitivi fiamminghi.

E’ questa depressione che ti ha deviato dalla lettura dei fumetti?

Spesso si, ma non è l’unica spiegazione. Mi rendo conto per esempio di non avere mai letto Bob e Bobette di Vandersteen, mentre mia figlia lo adora. Non ho avuto quella curiosità, sono terribilmente pigro.


Però hai letto un sacco di fumetti. Come giudichi l’evoluzione del genere? E l’evoluzione del fumetto attuale rispetto a quello degli anni ’60?

Trovo che ci sia troppo estetismo nell’aria. La “linea chiara” di cui si parla tanto attualmente, può essere bella ma non porta a niente di nuovo e tende a far rinchiudere il fumetto su se stesso.

Per esempio tu non hai niente di un Hergè!

Hergè era in effetti il prototipo dichiarato dell’arte astratta. Ho visto due o tre volte ciò che aveva a casa sua come quadri ma è molto raro che io entri in questo genere di immagini.

C’è da dire che il fumetto è divenuto una forma culturale con la C maiuscola e i disegnatori sono diventati artisti…

Figurati! Quando si parla di cultura a proposito di fumetti non estraggo più il mio revolver, ma sono comunque un poco infastidito. Si, d’accordo, il fumetto è “cultura”, su questo siamo d’accordo, ma Dio mio! Non diciamolo noi stessi! Intanto che ci siamo, mentre lo facciamo, non diciamolo!
Tu vedi un tipo arrivare davanti al suo tavolo da disegno e dire: “Bene, faccio qualcosa di culturale…” Ma che lasci stare, che vada a farsi un bicchierino! Non è possibile!
Ripensando a qualcosa a proposito della storia del fumetto. Se c’è una cosa che non temo, è di appesantire i miei fumetti con un tasso di storia aggiunta. Ecco una cosa che mi preoccupa da molto tempo, e più ancora adesso che ho quasi smesso di disegnare. A forza di aggiungere storie, gag nelle gag, sono arrivato a un impasse: sovraccarico, troppo pieno per gli occhi e dunque la mancanza di leggibilità.

E credi di aver posto problemi di lettura al tuo pubblico?

Si, questo è sempre stato il mio problema. Proverò nel prossimo Gaston, che spero davvero di disegnare un giorno, di non far mai passare l’accessorio davanti all’essenziale.

Prendiamo i due ultimi Spirou “Bravo les Brothers” et “Panade à Champignac”, che sono chiaramente pieni di queste trame secondarie che tu condanni: nessuno ha perso l’essenziale, che io sappia.


Si, beh… Può essere vero. E’ piuttosto a Gaston e anche a Pensieri neri che pensavo.

Ma non è là che sei il migliore? Quando arrivi nello stesso tempo a fare il primo e il secondo grado?

Bisogna fare primo e secondo grado, ma solo se c’è un secondo grado. È appunto questo che è difficile. Un’altra cosa è che già disegnare un solo personaggio mi pone dei problemi, quindi tutta una tavola…

Cosa vuoi dire con questo?

Quando disegno un personaggio, ho già la preoccupazione che la coda o le braccia non vadano a disturbare il naso. Vedi, è molto curioso…

Come hai iniziato la serie Gaston?

Non so più come mi è venuta l’idea. Mi ricordo che il redattore dell’epoca era Yvan Delporte e che era aperto a qualunque idea, anche le più strambe, per animare il giornale. So anche che un giorno sono andato a trovarlo per dirgli che sarebbe stato divertente avere un eroe che non si merita nessun fumetto perchè non ha nessuna qualità. Un po’ citrullo, non bello, non forte. Sarebbe un eroe senza impiego, perchè sarebbe misero. Yvan è stato subito entusiasta ma non aveva nessuna idea di che cosa io proponessi lanciando questo personaggio. È stato così per tutto l’inizio della carriera di Gaston, ha intrigato tutti, Yvan e me per primi…


All’inizio quindi era solo questione di animare il giornale?

Solo un po’ di animazione, direi “giorno per giorno”. Non avevamo altre intenzioni. In ogni caso non avevamo in mente di farne un fumetto! Il fatto di avere una serie a sé ha in qualche modo tradito le sue origini. Gli esordi di Gaston consistevano nel distruggere le pagine di Spirou grazie alle sue fantasie. Ci siamo veramente divertiti come dei matti in quel periodo, funzionava bene. All’inizio era molto spassoso ma è arrivato il giorno in cui abbiamo avuto l’impressione di aver già sfruttato tutte le possibilità di fantasia nel giornale. E ci siamo decisi a mettere quello stupido di Gaston in un fumetto.
Le prime gag a due strisce sono arrivate una decina di mesi dopo la creazione del personaggio e sono durate due anni, prima di passare alla mezza tavola del 1959 e, sette anni dopo, alla tavola intera.
Ecco cos’è Gaston, riassumendo molto! Per restare agli esordi, è dunque molto modesto, spesso a due colori. E improvvisamente ha avuto il suo primo album…una cosa strana, col formato di una strip, stampato su scarti e ritagli, che abbiamo fatto senza contratto, come una prova, uno scherzo, per divertirci tra di noi. Non ho mai saputo la tiratura di quella roba ma se qualcuno ne ha una pila in buono stato, farebbe bene a metterli in uno scrigno perchè sono relativamente ben quotati! L’album era costruito in modo bizzarro; a causa del formato avevo disegnato un Gaston tutto rigido coricato sulla copertina, e la dimensione dell’opera aveva sorpreso più d’un venditore, al punto che, in un negozio di Charleroi, credevano che fosse una prima pubblicitaria e lo distribuivano gratuitamente ai loro clienti più spendaccioni.

L’album in questione è datato 1960 ma i “veri” album di Gaston cominciano nel 1962. Delporte partecipò alle gag come all’inizio?

No, le ho fatte da solo, con Jidèhem agli scenari fin dall’inizio.

Franquin e Jidéhem appaiono nel Gaston degli esordi!

Jidéhem interveniva con delle sue battute?

Jidéhem non è un gag-man. È spiritoso, non è questo, ma non ha quella tendenza alla battuta. La gag “ridicola” come in Gaston non è il suo pane. Non può inventare in uno stile che non lo ispira.

Gaston non lo ispirava?

No. E ora guardando indietro credo che lo diverta più che quando lo facevamo all’epoca. Ora ha conservato per la serie una certa tenerezza.

I membri della redazione sono presi dal vero? Sono studiati dal vivo?

No, sono totalmente inventati. Non c’ho messo dentro nessun tratto personale. Sì, uno solo: il giro di barba di Prunelle è ispirato a un ragazzo della redazione fiamminga di Spirou.

C’è stato un momento dove Fantasio ha ceduto lo scettro a Prunelle…

Questo coincide esattamente col passaggio di Spirou a Fournier che non poteva avere due Fantasio diversi nello stesso giornale, quindi ho lasciato perdere Fantasio.

2 risposte a “Intervista ad André Franquin

  1. Pingback: Intervista a Franquin

  2. Pingback: Intervista a Franquin | afnews.info