Speciale Asterios Polyp: Una chiaccherata con David Mazzucchelli

traduzione di Graziano Pedrocchi

Il nostro speciale su Asterios Polyp (QUA tutti gli articoli) continua con questa traduzione di una trascrizione/adattamento dell’intervista condotta da Dan Nadel il 16 luglio 2009, in occasione dell’esposizione di Mazzucchelli al MoCCa di New York.
Qua il link originale all’articolo e qua l’intero video dell’intervista.

Durante la conversazione serale fra David Mazzucchelli e Dan Nadel, editore della PictureBox, quest’ultimo ha domandato all’artista quali fossero stati gli insegnamenti appresi lavorando nell’ambiente dei fumetti di supereroi negli anni ’80. Leggerete che Mazzucchelli era convinto che, lavorando per la Marvel e la DC, avrebbe capito l’importanza del concetto di “chiarezza”. Le sua apparizione al MoCCA era un avvenimento raro quasi quanto un suo nuovo fumetto ed è facile capire, quindi, come mai preferisse limitare le sue uscite pubbliche. Quella sera fu chiaramente un evento. Il MoCCA fu presto gremito e il piccolo spazio espositivo della galleria di Broadway si riempì di fans e artisti. Fra loro c’erano anche Dash Shaw e Frank Santoro. Seduto a un tavolo scarsamente illuminato, Mazzucchelli ha risposto alle domande di Nadel tra i disegni e le tavole che componevano la mostra Sound and Pauses: The Comics of David Mazzucchelli, allestita al MoCCA dal 23 agosto al primo di novembre 2009. Era l’estate di Dave. Il suo attesissimo graphic novel, Asterios Polyp, era stato appena pubblicato a inizio luglio 2009.

Durante l’intervista Mazzucchelli ha fatto molti riferimenti al suo interesse per lo spazio e per le ambientazioni urbane. Ha anche cercato spesso di svelarsi il meno possibile.

Dan Nadel inizia chiedendo a David Mazzucchelli di parlare dei temi visivi che si notano nella sua opera: un marcato interesse per i paesaggi e per le ambientazioni cittadine. In che modo la sua educazione e i suoi viaggi intorno al mondo lo hanno influenzato in tal senso?

Mazzucchelli racconta di essere cresciuto in una piccola città e di aver trascorso la sua infanzia in un ambiente molto simile al mondo rappresentato dai Peanuts di Charles Schulz. Ogni casa aveva il suo cane, ogni cane la sua cuccia, sul tetto della quale ogni tanto il cane dormiva. Capì di avere un interesse particolare per gli spazi creati dall’uomo attraverso la lettura dei fumetti, in special modo quelli di Kirby e Ditko. Anche se, effettivamente, le loro ambientazioni non possono essere considerate realistiche. In seguito, ai tempi dell’istituto d’arte, cominciò a disegnare le “sue” città.

Cosa ha influenzato maggiormente Mazzucchelli: i disegni di Kirby e Ditko o la propria esperienza in varie città del mondo?

Kirby e Ditko. Solo quando Mazzucchelli venne ad abitare a New York e cominciò a vivere un’esperienza di città “vera”, si rese conto che il paesaggio urbano reale non era comunque assimilabile a quelli creati ad hoc per le vicende dei supereroi, i quali non avrebbero le stesse libertà di movimento negli spazi urbani reali.

Ha frequentato la Scuola di Design del Rhode Island: quanto lo ha influenzato?

Alla RISD ha avuto un breve periodo di incertezza nel continuare la carriera fumettistica. Si concentrava essenzialmente su elementi che avrebbero potuto favorire la sua arte fumettistica: figure e spazi, esercitandosi molto, anche nella pittura. Ma negli anni 80, il disegnare fumetti non era visto di buon occhio dal RISD. Era considerata un’arte “dei quartieri poveri”.

E allora, come mai i fumetti?

Li ha sempre disegnati. Si potrebbe incolpare suo fratello maggiore per aver incoraggiato questa sua passione. Quello che i fumetti gli stavano offrendo era non solo la chance di potenziare le sue capacità nel disegno, ma anche la possibilità di raccontare delle storie.

Cosa ha imparato dai fumetti di supereroi?

Soprattutto il concetto di “deadline”. Il lavoro deve essere fatto. Ma è a causa delle deadline strette che vengono pubblicati lavori di qualità inferiore. Ha anche imparato che è l’ultima persona a prendere in mano il lavoro che determina ciò che poi verrà visto dal pubblico, sia che si tratti del colorista, sia che si tratti dell’editore. Gradualmente, Mazzucchelli riuscì ad avere un sempre maggior controllo sulle varie fasi del proprio lavoro. Ha cominciato con le matite, passando in seguito a inchiostrare le proprie tavole e infine, a volte, si dedicò anche al colore. La vecchia “catena di montaggio” dei fumetti commerciali gli fece conoscere la divisione “a tappe” del lavoro. Iniziò quindi a percepire la produzione di un fumetto come un lavoro completo ma, paradossalmente, non come un lavoro di gruppo. Quando lasciò il fumetto commerciale, si sentì come se dovesse disimparare l’approccio al disegno supereroistico e quindi cambiare il suo modo di disegnare. Comunque, non è che dovesse poi “disimparare” troppo. I fumetti commerciali furono una grande palestra per acquisire la giusta capacità di raccontare storie. Il settore è sempre rivolto verso i bambini, per cui sarà sempre necessaria una certa dose di chiarezza per raccontare una storia con successo.

Particolare da”Batman: Year One”.

Quando disegna, pensa a soddisfare l’audience dei lettori o lavora esclusivamente per se stesso?

Beh, i fumetti sono un mezzo di comunicazione. Per Mazzucchelli non è una questione di “e/o”. Certo, si prende le sue soddisfazioni, ma pensa anche al lettore. Quello che esprime deve essere chiaro quando lui vuole che lo sia. Ma realizza anche quel tipo di fumetti che a lui piacerebbe leggere. Il punto di partenza è questo.

Mentre lavorava in Marvel osservava gli altri cartoonist? [Nadel fa riferimento a ciò che Mazzucchelli gli raccontò una volta a proposito di Sternanko e Toth.]

La risposta non è semplicissima. Gli piaceva osservare gli artisti che ammirava, ma ha comunque imparato qualcosa da tutti. Comunque quando ha cominciato a creare le sue storie fu portato a prediligere gli autori completi.

Può descrivere cosa portò alla transizione in Rubber Blanket?

Quando lasciò l’ambito commerciale, non produsse praticamente nulla per un anno. Aveva necessità di rivedere le sue convinzioni circa i fumetti che gli piacevano. Si rendeva conto che i fumetti da lui finora disegnati erano molto diversi dai film, dai racconti e dall’arte che preferiva. Si prese il tempo per esplorare l’ambiente del fumetto underground e di quello europeo. Cominciò a lavorare su piccole storie come Near Miss. Desiderava lavorare con uno stile diverso e in bianco e nero. L’uso di questi due soli colori lo forzava a creare contrasti cromatici violenti. Ritornò allo stile dei libri per bambini con le illustrazioni in bianco e nero. Quindi frequentò un corso di tipografia e imparò come funzionano insieme gli inchiostri da stampa. Voleva produrre una rivista in cui le storie potessero esistere in un contesto che poteva aiutare i colori a incontrarsi. Insieme sua moglie scelse il titolo Rubber Blanket ricavandolo da un termine in uso nella stampa litografica: è il nome dato al rullo che accoglie l’immagine “inchiostrata” prima che venga trasferita sulla carta. Il titolo sta a significare che “il processo di stampa è ciò di cui si parla”.

Cosa ha imparato dallo stampare le proprie storie?

Che devi avere delle braccia forti. Bisogna portare in giro un sacco di roba.

Cosa è successo a Rubber Blanket dopo il terzo numero ?

Mazzucchelli si rese conto che le storie stavano diventando troppo lunghe. Le 9 pagine diventarono 24 e poi 34. Gli serviva più spazio e si rese conto che il quarto numero avrebbe dovuto ospitare una storia lunga. Quel quarto numero si trasformò pian piano nelle 300 pagine di Asterios Polyp.

Retrocopertina del primo numero di “Rubber Blanket”.

[Nadel indica le pagine del racconto Big Man appena dietro di loro.]
Come nasce questo personaggio?

Per parecchi anni, all’interno del suo sketchbook, Mazzucchelli disegnò questa figura molto grande. Si rese conto che voleva scriverci sopra una storia. Con Big Man, tentò di dare a questo racconto la struttura di una favola, che voleva tuttavia essere pervasa di contenuti emotivi.

C‘è qualcosa di Chester Gould in Asterios Polyp, come c’è qualche spunto preso da Kirby in Big Man. Cosa gli hanno insegnato questi due artisti?

Mazzucchelli cerca sempre di imparare dagli altri, sebbene tenti di emulare un solo artista alla volta. Non è il caso di Big Man, ma Mazzucchelli ha sempre in mente Kirby. Mentre disegnava Big Man si sentiva timido come un dodicenne, benché fosse sicuro di stare avvicinandosi allo stile di Kirby. Si rese conto di non aver raggiunto lo scopo quando rilesse gli originali di Kirby. In ogni caso, è sempre la storia che detta l’approccio piuttosto che il bisogno di imitare un artista in particolare.

Come organizza la sua giornata lavorativa?

Mazzucchelli ride, dicendo che è una domanda strana. Dipende da che livello è il lavoro. Mentre lavorava ad Asterios Polyp, ha passato molti mesi a fare schizzi e a prendere appunti. Al mattino poteva cominciare a scrivere o a disegnare per smettere quando riteneva di aver finito quella sessione. Il lavoro arriva a termine solo se si scrive tutti i giorni. Si approcciava al lavoro cercando di concludere almeno una pagina al giorno. Se non ci riusciva, credeva di stare sbagliando qualcosa. Ma ammette che il raggiungimento di questo risultato, probabilmente retaggio del suo periodo nei fumetti commerciali, raramente si ottiene. Mazzucchelli pensa che il mezzo “fumetto” sia purtroppo obbligato a essere veloce. E’ così dalle origini dei comics, dalle strisce giornaliere dei quotidiani da una gag al giorno. Ormai ci si è abituati. L’estetica dei fumetti viene decisa (anche) dalla data di consegna.

Quindi qual è stato il suo approccio ad un libro di 300 pagine?

La prima domanda che si pose è stata: qual è il modo più facile per disegnare questa storia? Poi l’approccio si trasformò in “sarà finito quando sarà finito”.

Particolare da “Near Miss”.

Nadel chiede a Mazzucchelli di parlare della costruzione del libro, facendo riferimento a come l’uso di Photoshop lo abbia aiutato a lavorare coi livelli.

Mazzucchelli risponde che in effetti il computer gli permette di lavorare più velocemente. Ha eliminato l’antica necessità di sbianchettare o a volte togliere intere tavole e ridisegnare tutto. Anche il lavoro di scansione lo aiuta a rimpiazzare un disegno fatto male con uno rifatto meglio. Riferendosi alle opere esposte, ha detto che, osservandone alcune, si possono trovare tracce di queste correzioni. Il computer lo aiuta a sistemare i piccoli errori, ma in ogni caso tutto il lavoro è pianificato in anticipo.

Nadel afferma che lo stile del disegno in Asterios Polyp sembra un’evoluzione naturale che deriva dai manga e da Gould e chiede a Mazzucchelli in che modo si è evoluto il suo stile.

Probabilmente questa domanda ha messo Mazzucchelli molto a disagio. Ha detto di non volerne parlare e ha ripetuto: “Io cerco di permettere che sia la storia a dettare l’approccio”. Quando lavorava sui supereroi, cercava con ogni mezzo di dare l’idea di tridimensionalità. Usava lo stile dei film noir e la tecnica delle ombre per rendere gli oggetti “solidi” ed enfatizzare le forme. Quando il suo stile è evoluto, questa ossessione perse importanza. Il disegno è per lui una sorta di scrittura. Per questo gli interessava anche l’aspetto del lettering scritto dalla stessa mano del disegnatore. Questo si riflette sul suo approccio al disegno e all’illustrazione.

Il cinema noir ebbe una forte influenza anche nel suo adattamento di City of Glass. Quindi ne era ancora così affascinato?

Ignorando la domanda (o almeno quella che sia la domanda), Mazzucchelli cominciò invece a parlare dell’arte come atto che crea magia sulla pagina. La pagina è sempre piatta, liscia. Ma tu puoi lasciare delle tracce a 15cm di distanza da te, su quella pagina; e talvolta riesci a dare l’impressione di tridimensionalità. E’ interessato a descrivere lo spazio nella pagina. [La sua risposta mi è sembrata particolarmente interessante in riferimento ad Asterios Polyp in quanto architetto, che gioca a creare sulla carta uno spazio che poi può essere realizzato veramente.]

Nadel fa partecipare anche il pubblico. Prima domanda per Frank Santoro, che muggiva da dietro perché voleva sapere che tipo di matita usasse.

Mazzucchelli utilizza diverse tecniche. Per Asterios Polyp ha usato pennini calligrafici. In precedenza aveva usato invece il pennello, dove lo spessore del tratto era determinato dalla pressione della mano dell’artista sulla pagina. I pennini lasciano una traccia di spessore imprevedibile, che rendono piatte le figure.

Un altro partecipante applaude la sua rappresentazione dell’appartamento di Polyp: il salone ritorna con lo stesso punto di fuga ma con aspetto diverso a seconda delle esigenze del racconto. Può parlarci di come ha disegnato quello spazio e come ha concepito l’arredamento?

Mazzucchelli si è chiesto “Chi vive qui? Come potrebbe essere lo spazio di questa persona?” Ha cominciato a tratteggiare il personaggio e poi ha pensato a come inserirlo in un ambiente a lui coerente.

A quali modelli narrativi ha fatto riferimento per Asterios Polyp?

Qui Mazzucchelli ha fatto una lunga pausa. Non riusciva a focalizzare uno specifico esempio da portare. Ci sono due importanti aspetti che possiamo associare alla creazione di Asterios Polyp. Il primo fu la decisione di spezzare la narrazione in capitoli, che lo aiutò a capire la struttura del libro. L’altro punto di svolta è la nazionalità greca del protagonista, che ha permesso a Mazzucchelli di prendere l’Odissea come pietra di paragone. Decise queste due cose, il resto dell’opera è stata una mera questione di risoluzione dei problemi.

[La parola torna a Nadel] Il suo Batman in Year One sembrava avere, rispetto agli altri supereroi, una prestanza fisica più vicina al vero. Come mai?

Quando Mazzucchelli stava lavorando a quella storia, Denny O’Neil gli portò due cartelline gigantesche contenenti le fotocopie delle prime annate di Detective Comics e Batman. Mazzucchelli le utilizzò come riferimenti visuali, in special modo le tavole di Bob Kane. I primi disegni di Batman apparivano molto stilizzati, o così sembrava a lui. Poi tornò alle sue prove di realismo fatte negli anni dell’istituto d’arte. Voleva disegnare “un vero tizio che indossava quella tuta”. Il suo scopo era “renderlo credibile”. Per questo ha provato a disegnare un uomo con un’agilità e una forza tali da fargli scalare un grattacielo con indosso quel pesante mantello e gli stivali. Ad ogni modo, se gli chiedessero oggi la stessa cosa, di sicuro la realizzerebbe in modo diverso.

Da quali scrittori è influenzato?

Mazzucchelli risponde alla domanda indicando le sue letture. Ha detto di amare molto le opere di Gabriel Garcia Marquez, William Faulkner e Ernest Hemingway.

Una tavola originale di “Stop The Hair Nude”.

Può spiegare l’origine della sua storia Stop the Hair Nude, con protagonista un censore giapponese che si occupa di peli pubici?

Nel suo primo viaggio in Giappone, Mazzucchelli divenne amico di un espatriato francese che lavorava in una casa editrice. Mazzucchelli aveva un appartamento in affitto e un giorno, nella cassetta della posta, trovò un volantino con la scritta “Stop the Hair Nude”. In Giappone è vietato mostrare i peli pubici: i censori quindi a volte intervengono sfocando quelle zone, ma più spesso le oscurano completamente. Ultimamente alcune immagini non censurate sono trapelate via internet e per questo è stato organizzato un movimento di protesta per mantenere gli standard di censura. L’amico di Mazzucchelli ha detto di aver ricevuto per posta, sempre in Giappone, alcuni libri. Una volta aperto il pacco, ha scoperto che qualcuno aveva scarabocchiato sopra i peli pubici per cancellarli. Questi due eventi fornirono l’ispirazione per Stop the Hair Nude. Qualche tempo dopo, Mazzucchelli seppe che molti censori responsabili della cancellazione dei peli pubici nelle opere d’arte, nei fumetti e nel cinema sono donne di mezza età.

Qual è il suo colore preferito?

Gli piacciono tutti.

Il suo lavoro sfrutta il potenziale dei manga, dei fumetti europei e dei graphic novels. Quali sono i suoi attuali progetti?

Non ha voluto fare commenti su quello che sta facendo in questo momento.

Ha usato il bianco e nero per anni. Considerato che ha appena detto di amare tutti i colori, pensa di esplorarne ulteriormente il potenziale?

Si tratta di scelte. In Asterios Polyp c’è molto più colore di quello che si pensa, incluso quello della carta.

Asterios Polyp è un libro fragile, la cui copertina si sciupa facilmente e che i librai dicono sia difficile avvolgere nella plastica. Come mai ha deciso di progettarlo e realizzarlo in quel modo?

“E’ stato il confezionamento più frustrante che potessi creare” ha detto Mazzucchelli fra le risate. Avrebbe voluto che il prodotto finale fosse il più grezzo e naturale possibile.

A quale degli artisti visuali esterni all’ambiente del fumetto è interessato?

A parecchi. Gli interessano soprattutto gli artisti che raffigurano lo spazio, ma anche a quelli che utilizzano un linguaggio “piatto”, per esempio Léger, Matisse e Picasso. Frida Kahlo, Velazquez e Saul Steinberg. Max Beckmann e Philip Guston ebbero un’influenza formativa ai tempi del college.

A quale punto del processo creativo entra in gioco la sperimentazione? Solo all’inizio o anche durante tutta la creazione dell’opera?

La sperimentazione arriva presto, non alla fine. “Tutto è legato al concetto di adattabilità”. Mazzucchelli lavora alla consistenza dell’opera per tutto il tempo. Per esempio, con Asterios Polyp, ha deciso di associare a ogni personaggio un lettering e un tipo di balloon diversi, ancor prima di ideare il contenuto pittorico della storia.

L’insegnamento ha in qualche modo cambiato il suo approccio ai comics?

Mazzucchelli ha cominciato a insegnare a metà degli anni ’90. Era un periodo in cui non aveva molti lavori per le mani, “per vari motivi”. La prima classe a cui insegnò stava seguendo un corso generico sui fumetti della durata di dodici settimane. Per organizzare bene il corso avrebbe dovuto smettere con la sua arte. Gli serviva determinare cosa avrebbe fatto e se avrebbe funzionato. Questo lo rese più analitico; gli fece analizzare il medium “fumetto” da lontano. Facendo un passo indietro nei confronti della sua arte, capì cosa sarebbe stato meglio fare e cosa no. Trovò anche un certo interesse nel vedere a che tipo di soluzione sarebbero giunti i suoi studenti per risolvere i problemi che lui poneva loro. L’insegnamento gli ha fornito quindi un ventaglio di risposte alla domanda “Qual è un modo nuovo per risolvere questo problema?”.

Come è stato lavorare con altri romanzieri?

Su questa domanda non si è sbottonato molto, ha affermato che è stato piacevolee che c’è stato molto confronto e collaborazione..

 

Sequenza da “City of Glass”.

Per City of Glass ha lavorato con Art Spiegelman come art director e Paul Karasik come scrittore.

E’ stata una collaborazione interessante. Ha capito che il libro di Paul Auster City of Glass non era un libro molto visuale. Si è domandato: “Perché questa è una buona idea?”. E si è risposto che è la stessa natura metafisica dell’opera che la rende una buona idea. City of Glass è diventato un tentativo di “visualizzare queste cose”. Karasik ha immesso in quest’opera il suo pensiero astratto e le sue metafore visive. Karasik aveva dato un primo colpo di sceneggiatura e aveva anche preparato gli sketch. Poi si arrivò a un impasse e a quel punto è si aggiunse Mazzucchelli per dare una mano a risolvere i problemi. Lavorando con Karasik ha imparato molto.

In che modo City of Glass ha dimostrato che esiste una differenza in quello che pensano sul fumetto Mazzucchelli e Paul Karasik ?

Fu nel 1993, anno in cui Mazzucchelli stava producendo lavori più “fisici” come Big Man. Karasik non aveva al suo attivo molti lavori conosciuti dal pubblico, ma i suoi comics parlavano di idee. Entrambi utilizzavano diagrammi e metafore. Mazzucchelli rappresentava qualcosa in uno spazio realistico. Si può dire che i due artisti si incontrarono a metà strada.

Ha lavorato sia con Jim Shooter che con Art Spiegelman. Può farci un resoconto sulla rapida evoluzione che avvenne nel passaggio dai fumetti commerciali al comic d’autore?

Gli è sembrato che siano passati dei secoli…

I suoi progressi assomigliano molto a uno scrollarsi di dosso le esperienze precedenti, muovendosi da un Daredevil ispirato a Gene Colan a un Batman più realistico…

I suoi collaboratori in effetti rimasero sorpresi da quello che stava facendo. E’ stato fortunato che in quel caso l’abbiano anche capito.

Molti graphic novel prima di essere raccolti in volume sono usciti come serie. Ha mai considerato di rendere Asterios Polyp una serie?

No. Deve rimanere una singola storia.

4 risposte a “Speciale Asterios Polyp: Una chiaccherata con David Mazzucchelli

  1. interessante come sempre. però l’intervista con le risposte in terza persona è un po’ fastidiosa. sembra un’intervista a scilipoti

  2. si, un po’ fastidioso lo ammetto, ma daltronde è l’unica trascrizione che abbiamo trovato e l’unica intervista di mazzucchelli riguardante asterios.

  3. Bellissima intervista, complimenti. A proposito di Asterios Polyp, vi segnalo questa recensione sul mio blog: http://neuronifanzine.wordpress.com/2012/01/23/asterios-polyp-mazzucchelli-e-i-suoi-colori-strafichi/

  4. Pingback: Speciale Asterios Polyp: Fine | Conversazioni sul Fumetto