Scienza e Coscienza nel Jimmy Olsen di Jack Kirby

di Antonio Solinas 

Il presente articolo presenta in versione estesa e rielaborata un pezzo già apparso, in versione ridotta, nel libro Jack Kirby – Tributo al re, edito da Pegasus e curato da Comicus, presentato per la prima volta alla mostra Lucca Comics & Games del novembre 2004, e successivamente sulla defunta webprozine Comics Code.

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All’inizio del Marzo 1970, con una mossa a sorpresa che sconvolse il mondo del fumetto (e soprattutto del fandom fumettistico americano, che per mesi- ovviamente- non riuscì a parlare d’altro), Jack Kirby lasciò la Marvel, per cui aveva creato praticamente tutte le icone fumettistiche più importanti, e si trasferì alla DC Comics (il cui nome, all’epoca, era National Periodics: io per comodità, però, continuerò a riferirmi sempre alla Detective Comics).

Sulle ragioni del “trasferimento” si è scritto molto, e spesso a proposito. Non è mia intenzione indagare sulla vicenda, e mi limiterò a ripetere quanto riferito da varie fonti, alcune delle quali molto autorevoli: Kirby probabilmente non poteva fare altrimenti. [1]

È interessante, nell’ottica di un mondo pre-internet, cercare di inquadrare la portata della mossa di Kirby rispetto alla cornice del periodo storico: all’epoca, Jack Kirby era il modello di riferimento per la grafica e lo storytelling Marvel, in maniera tanto rigida che tutti i disegnatori in forza alla Casa delle Idee erano obbligati a scimmiottare lo stile grafico del Re (anche personaggi del talento e della personalità di Buscema e Romita Sr.!). Barry Windsor Smith ha sempre confessato di aver ottenuto il primo fill-in degli X-Men solo a causa della sua capacità di “clonare” l’essenza del Re, e non per le sue reali qualità artistiche. [2]

Kirby era la Marvel, l’Uomo Squadra per eccellenza. Mai una casa editrice si era identificata in maniera così totalizzante, e per così tanti anni, con un disegnatore, nel bene e nel male.

Da un lato, infatti, se la prolificità (e annessa qualità) di Kirby non aveva pari (e continua a non averne), dall’altro lo stile del Re rappresentava un modello narrativo e un approccio grafico che erano quanto meno snobbati, se non derisi, dalla Distinta Concorrenza, i cui editors ed impiegati di lungo corso vedevano con disprezzo lo “stile Marvel” (o, in altre parole, lo “stile Kirby”).

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In quest’ottica, non appena la notizia del passaggio di Kirby alla DC si sparse, il mondo fumettistico trattenne il fiato. La portata della “rivoluzione” era enorme, non solo, come detto, per la statura artistica del personaggio, ma soprattutto per il fatto che lo stile di Kirby, come autore, rappresentava l’antitesi all’essenza stessa della DC: si pensi ad Aparo, Giordano, Curt Swan o un giovane (allora) di belle speranze come Neal Adams. Fan e professionisti si fermarono a discutere quale significato avrebbe avuto per la Marvel la perdita del King, come Kirby si sarebbe inserito nella struttura corporativa della DC, che all’epoca, sotto l’illuminata gestione dell’editor-in-chief Carmine Infantino, si stava rinnovando con decisione, e soprattutto quali serie gli sarebbero state affidate. [3]

Nessuno avrebbe mai scommesso un penny sulla prima serie di cui Kirby avrebbe poi preso le redini, Superman’s Pal, Jimmy Olsen. Infatti, appena si diffuse la voce che il Re si sarebbe cimentato con l’amico di Superman, molti pensarono ad uno scherzo.

Ma non fu così. Kirby voleva soprattutto inventare nuovi personaggi, perché non amava mettere le mani su personaggi creati da altri. Comunque, per ragioni finanziarie, il talento del King dovette essere inizialmente prestato a una serie esistente (successivamente, Kirby, assolto il compito, si potè dedicare completamente alle serie del Quarto Mondo, creando capolavori come New GodsMister Miracle e Forever People).

La leggenda vuole che Kirby abbia richiesto in maniera esplicita di essere assegnato alla serie che stava vendendo di meno in quel momento, ma la verità è un pochino più prosaica. Infatti, Kirby sarebbe stato interessato, molto probabilmente, a un ritorno sui Challengers of the Unknown, serie che aveva creato molti anni prima della celebre partnership con Stan Lee, ma che stava per essere chiusa. Superman’s Pal, Jimmy Olsen aveva da tempo abbandonato i fasti di un passato relativamente glorioso: il mensile aveva certamente bisogno di un restyling, ma un nuovo team creativo non era ancora stato nominato. Dunque, la serie dedicata al lentigginoso fotografo del Daily Planet sembrò un’opzione accettabile a Kirby, che forse stava pensando, in prospettiva, a come rivitalizzare uno stanco Superman.

A posteriori, data la mole di mitologia legata a Superman che Kirby ha creato nel corso degli anni, l’ipotesi sembra più che valida. Vista la sua identificazione con la Marvel, però, era opinione di alcuni editors della DC, compreso Infantino, che Kirby si dovesse “fare le ossa” su personaggi del mondo di Superman, per potersi disciplinare prima di cimentarsi con un’icona così importante della compagnia.

E così, nell’ottobre 1970, Superman’s Pal, Jimmy Olsen 133 uscì in edicola, segnando al contempo la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra. Mentre la Marvel cercava di inondare le edicole di ristampe kirbyane (che ironia!), Kirby, in uno dei suoi consueti scoppi di energia creativa, ruppe gli indugi e, in una manciata di albi leggendari, creò le fondamenta di una galleria di personaggi, strutture e idee entrati stabilmente nella mitologia del SuperUomo per eccellenza.

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Già nel primo numero di Jimmy Olsen gestito interamente dal Re (con le chine dell’invasivo Vince Colletta [4]), vengono introdotti alcuni personaggi chiave: la nuova Newsboy Legion, Morgan Edge, la Inter-Gang, gli Outsiders, il Whiz Wagon. Saranno ribaltate molte delle premesse del mondo DC, in particolare la continuity interna alle testate di Superman (nel numero 134 fa la sua prima apparizione Darkseid: il resto è storia…).

A livello più strettamente narrativo, l’attenzione di Kirby si fissa in maniera particolare sulla tecnologia e sulle conseguenze dovute all’uso immorale di tale tecnologia, che, insieme alla contrapposizione “vecchi-giovani”, diventano il vero leit motif della serie.

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L’approccio kirbyano è completamente diverso da quello classico DC, in cui lo scienziato pazzo di turno non aveva altro che astratte mire di conquista, e la cui minaccia era solitamente “reversibile”. In soldoni, in un classico albo DC dell’epoca, se all’inizio di un albo Superman o Flash venivano tramutati in gorilla tramite un raggio mutageno, alla fine della storia, tramite un escamotage (normalmente poco credibile), i nostri eroi erano in grado di rovesciare gli effetti di tale raggio, tornando normali proprio in tempo per sconfiggere la minaccia criminale all’origine del raggio stesso. Questo era stato il caso, in particolare, delle passate gestioni di Jimmy Olsen, molte delle quali erano state stancamente basate sulla premessa: “In quale bizzarria si trasformerà il povero Olsen in questo numero?” [5]

Allo stesso tempo, l’approccio tecnologico è molto poco affine a quello classico Marvel, simboleggiato, per esempio, dai Fantastici Quattro, serie che si era distinta come una delle più fantascientifiche della gestione Lee-Kirby. In F4, il Re aveva messo a punto la sua visione tecnologica, concentrandosi però soprattutto sulla dimensione “mitica” dei macchinari e della tecnologia (particolare evidente sviluppato al meglio soprattutto in Thor). Questi, infatti, erano dei veri e propri totem, ma la loro funzione era pur sempre tesa a evidenziare una grandeur cosmica che suggestiona in maniera particolare per la sua alterità. [6]

La minaccia della tecnologia del periodo d’oro di F4 era sempre connessa al concetto di “esterno” (fosse questo rappresentato da temibili razze aliene come gli Skrull o dall’antimateria della Zona Negativa). Ancora adesso, quando vedo Annihilus, mi ricordo di quanto, da bambino, turbasse i miei sonni.

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In questo senso, a ben vedere, il pericolo incombente rappresentato dagli alieni (e quindi per ciò stesso dalla tecnologia, vista l’assoluta aderenza degli extraterrestri al modello ipertecnologico) è una metafora della minaccia comunista: il mondo libero (USA?) attaccato “dall’esterno”…

Negli anni ’70, la visione di matrice maccartista era stata superata dalla storia. Le sconfitte del “Sogno Americano” avevano reso le cose molto diverse: la perversione degli ideali e l’uso del potere a fini personali erano un problema molto sentito (a questo proposito, è stato più volte sottolineato come Kirby vedesse in Darkseid l’espressione ingigantita degli “ideali” nixoniani…). Ciò era riflesso a livello fumettistico, con la minaccia tecnologica che ora diventava “interna”: per esempio, organizzazioni terroristico-mafiose come l’AIM e la InterGang, che basano il loro potere sulla perversione della tecnologia, potevano tranquillamente operare (e anzi avere la loro base) sul suolo americano, nei rispettivi universi fumettistici.

L’approccio del King si concentra ora su problemi più pratici, legati all’applicazione delle scoperte tecnologiche, e un ruolo centrale viene affidato all’espansione delle nanotecnologie e della genetica, e ai guasti dovuti all’uso poco corretto di tale tecnologia.

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La scienza assume ora un’ambivalenza di fondo, come forse mai prima nell’opera di Kirby. Ambivalenza che non era praticamente mai esistita nel precedente periodo Marvel, in cui addirittura la scienza era sempre al servizio di un patriottismo fervente o, quantomeno, fonte di conoscenza per esperti. Esempi? I Fantastici 4 vengono trasformati in supereroi per un incidente, ma non si mette in discussione la scienza: Reed Richards non perde affatto la sua fede nella tecnologia, che continua a restare “speculativa” e “astratta”. Destino, dal canto suo, diventa un mostro perché si mette a giocare con la magia: è la cattiveria di fondo a renderlo quello che è. Steroidi e formule del supersoldato sono una scelta inevitabile per difendere la patria, e non ci sono controindicazioni: i tedeschi, che giocano con la magia ma di scienza non ne sanno nulla, non fanno mostruosi esperimenti, ma cercano di rubare la formula (e poi uccidono Reinstein, ovviamente). Hulk è il prodotto di un incidente nucleare, che però non è condannabile in sé stesso, in quanto mirato ad un idealistico “progresso” (e anche la presenza militare non è in sé corrotta).

In tal senso, è alla DC che, per la prima volta in maniera compiuta, si affaccia nell’opera di Kirby, con prepotenza, il dualismo fra scienza “buona” scienza “cattiva”.

Kirby fissa subito la sua attenzione sul neonato boom delle nano e biotecnologie, rendendo le manipolazioni del DNA un perno centrale della sua gestione di Jimmy Olsen. Il DNA, con tutto il fascino che il codice genetico emana, è il perfetto veicolo per sbloccare i segreti della vita (e del supereroismo). Siamo lontani dai tempi in cui Barry Allen veniva per caso contaminato dalla giusta combinazione di elementi chimici sul suo scaffale e diventava Flash, ma anche dagli X-Men vintage e le loro fumose spiegazioni sull’apparizione di poteri mutanti. Poiché però, per la prima volta, forse, si postula un approccio razionale alle mutazioni, il problema etico si affaccia prepotentemente, e con esso la consapevolezza dell’uso distorto della manipolazione genetica e, più in generale, come abbiamo detto, dell’esistenza di una potenziale “scienza cattiva”.

Esempio per tutti è il modo in cui è affrontato il tema della clonazione: a risultati buoni come quelli del DNA Project, che portano al ritorno in scena della Newsboy Legion e del Golden Guardian (tutti personaggi che Kirby aveva originariamente creato, e che riappaiono in maniera modernizzata come cloni dei personaggi originali), si contrappongono le macchinazioni degli scagnozzi di Darkseid, che all’interno della Evil Factory usano la clonazione per creare abomini genetici come il clone cattivo di Jimmy Olsen o il Four-Armed Terror. [7]

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In questo senso, è curioso osservare come, sia dalla parte del bene che da quella del male, la scienza sia comunque “blindata”: le persone comuni non sanno niente delle biotecnologie, vera fonte di potere, che rimangono segreti da custodire gelosamente in parchi scientifici, dedali ipertecnologici che ricordano ancora i laboratori sotterranei degli scienziati pazzi, fortezze della solitudine hi-tech presidiate dagli scagnozzi del cattivo di turno o dall’esercito.

Un altro esempio del mutato approccio di Kirby è dato dall’importanza che, in Jimmy Olsen, rivestono culture “alternative” e gergo giovanile.

L’uso e lo studio del gergo giovanile rappresentano un modus operandi abbastanza tipico da parte del King (vedi quanto fatto prima e dopo Superman’s Pal, come tutto il lavoro linguistico fatto su serie “giovanilistiche” come Boy’s Ranch, il gergo della gang di Yancy Street o gli inediti in Italia Dingbats of Danger Street), che ha sempre mostrato interesse per gruppi e personaggi giovani. In questo caso, però, le parole si tingono dell’urgenza liberatoria dello spirito hippy. A titolo di confronto, si paragoni il lavoro fatto sul linguaggio della Newsboy Legion, che rappresenta l’approccio classico dello “street smart” Kirby con quello fatto su gruppi giovanili come gli Outsiders o gli Hairies.

Proprio la nuova attenzione nei confronti delle culture alternative giovanili, come i “capelloni” Outsiders e Hairies costituisce insieme una novità ed uno dei tratti più caratteristici di Jimmy Olsen.

Tali gruppi giocano un ruolo centrale nei primi episodi della serie e rappresentano due “supertribù” legate a doppio filo con la tecnologia. Tali gruppi, apertamente reietti, si porgono in aperto dissenso con la civiltà ufficiale, portando avanti ideali di “peace and love” in maniera alternativa alla nostra società (quella dei capitalisti spietati come Morgan Edge, incidentalmente). Ciò avviene in modo estremamente compiuto anche e soprattutto grazie all’uso di avanzate tecnologie, che permettono loro di creare paradisi tribali rilassati, pacifici e scevri degli echi inquietanti di esperienze come la Familia Manson, per esempio.

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Gli Outsiders sono chiaramente ispirati agli Hell’s Angels. L’approccio kirbyano, però, è teso ad evidenziare i tratti tribali più che le caratteristiche di violenza (spesso insensata) che avevano reso il celebre gruppo di motociclisti inviso ai perbenisti americani. [8]

Nelle mani di Kirby, gli Outsiders diventano una “gens” quasi mitologica (una specie di reincarnazione ideale degli antichi Dei nordici, se volete) che abita in una zona selvaggia (anzi, LA Zona Selvaggia), dove è stata costruita una società alternativa che stranamente somiglia ad un paradiso hippie (completo di belle figliole dai costumi apparentemente liberi), la città-albero chiamata Habitat. La struttura tribale degli Outsiders si fonda su motociclette che sembrano Harley Davison sotto steroidi (100% Kirby) e un codice d’onore ferreo, basato sull’assoluta lealtà al Capo: in questo senso, nonostante la loro “indomabilità”, gli Outsiders sono dei puri, guerrieri ipertecnologici che per il loro senso dell’onore meritano il rispetto perfino di Superman.

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Ancora più interessanti, comunque, sono gli Hairies, i “Capelloni” che rappresentano un gruppo di supergeni tecnologici che fa da contraltare alla visione più pratica e meno speculativa degli Outsiders. Kirby ce li presenta come colti, pacifici e molto “hippie”. Gli Hairies sono DNAlieni, ovvero frutto di una mutazione indotta in laboratorio (e non più “casuale” – e in qualche maniera imprevedibile – come quella dei mutanti Marvel): il loro destino è nascondersi da nemici sfuggenti e mortali (come Darkseid e la InterGang) che, come caratteristica di base, vogliono impedire un uso della tecnologia a scopi pacifici e/o impadronirsi dell’enorme know-how dei Nostri. Gli Hairies vivono nella Zoomway, e si muovono in un maestoso veicolo chiamato la Montagna del Giudizio. In questo enorme manufatto supertecnologico (dall’aspetto epico come impone il nome), una specie di super-hangar con le ruote, gli Hairies si dedicano a meravigliose invenzioni di sapore hippie come il solar-phone, che trasmette radio segnali dalle stelle e li converte in immagini mentali musicali (rimandando a scene di trip ben più terrestri).

Alla simpatia mostrata verso queste culture alternative corrisponde un approccio lombrosiano per quanto riguarda invece i cattivi, che sono stereotipati e deformi come non mai. I cattivi, cui Kirby sembra dedicare tutto il proprio disprezzo grafico, portano avanti le proprie macchinazioni sempre nell’ombra.

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Anche in questo caso, la scienza passa attraverso una lente deformante: i cattivi diventano tutti mostri. Mokkari e Symian, il Four Armed Terror, il clone cattivo di Jimmy Olsen, Ugly Mannheim, tutti hanno legami con la tecnologia, ma sono resi bestiali, nell’animo e nel fisico, da una tecnologia incontrollata e non tenuta a freno dall’etica (quell’etica di cui è invece massimo rappresentante Superman e, quasi per emanazione, Jimmy Olsen).

In questo caso, l’uso della scienza esaspera la meschinità già presente nel cuore dei cattivi, soprattutto la manovalanza di sfere più alte quali Morgan Edge e, soprattutto, Darkseid, cui Kirby concede comunque un’aura di letale maestosità.

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Alcune considerazioni di ordine grafico: la dirompenza di Kirby è sempre presente in Jimmy Olsen: le splash pages con cui si apre solitamente ogni numero sono potentissime e hanno sempre chiari fini narrativi, in quanto servono a creare la suspence necessaria ad introdurre l’azione, e, nonostante le chine di Colletta non siano le più adatte alle matite del Re (nelle serie del Quarto Mondo, successivamente Colletta sarà sostituito dal ben più valido Mike Royer, con risultati straordinari – considerati ancor oggi fra i migliori della carriera del Re), i risultati sono più che dignitosi. In particolare, la sperimentazione di Kirby si spinge fino all’uso di particolari collages fotografici che, usati come sfondo, rendono l’atmosfera superpsichedelica… La componente “mitica” della grandeur kirbyana è sempre presente ed esalta la maestosità di ambienti, scene e personaggi, evidenziando in maniera ancora più decisa che nel passato le differenze fra uomini e superuomini. È proprio in Jimmy Olsen che Kirby inizia a configurare  il dualismo uomini-Dei che caratterizzerà successivamente tutta la produzione del Quarto Mondo e poi gli Eterni.

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Superman’s Pal, Jimmy Olsen rappresenta un passaggio importante nella carriera di Kirby e soprattutto una fase di progressione, nonostante immancabili problemi e compromessi.

Per capire quanto ancora oggi il messaggio di Kirby sia importante e moderno, citerò solo le sue parole, tratte da un articolo apparso originariamente su Superman’s Pal, Jimmy Olsen 135: «Imponiamo la nostra volontà su ciò che conquistiamo, che viene violato per i nostri bisogni. Il nostro comportamento genera quei problemi che arrivano infine ad affrontarci con egual minaccia».


[1] Per una versione abbastanza attendibile della storia, si veda il libro Kirby – King of Comics (Edizioni BD), di Mark Evanier.

[2] Per esempio, in Comic Book Artist 2 (Twomorrows), edito da John B. Cooke.

[3] Nell’era di internet, è difficile capire quale impatto le voci di corridoio e le indiscrezioni potevano avere sulla stampa dei fan nell’epoca in cui si comunicava (non in tempo reale) solo tramite le fanzine di appassionati.

[4] Sugli “stupri” artistici di Colletta ai danni di Kirby (e non solo) si è ampiamente dibattuto, vedi per esempio: http://kirbymuseum.org/blogs/simonandkirby/archives/2659 oppure http://comicscomicsmag.com/2010/08/whats-wrong-with-this-picture-2.html, e soprattutto http://www.povonline.com/notes/Notes050507.htm

[5] Con un brillante escamotage narrativo, decenni dopo, il team Grant Morrison-Frank Quitely, nella serie All Star Superman, riprenderà, integrandole nella storia “globale” di Superman, queste bizzarre trasformazioni di Jimmy Olsen.

[6] Nel corso degli anni, soprattutto nel periodo successivo al ritorno in Marvel, Kirby si concentrerà via via di più sull’aspetto “scenico” dei macchinari tecnologici, sempre più stilizzati e graficamente eleganti, facendone un vero e proprio marchio di fabbrica.

[7]In un curioso caso di “preveggenza”, Kirby situa il centro di manipolazione genetica dietro le macchinazioni di Mokkari e Symian in Scozia, notoriamente terra di pecore (come la pecora Dolly). Avrebbe potuto fare meglio solo col Galles.

[8] Nel suo classico Hell’s Angels, il giornalista Hunter Thompson analizza in maniera abbastanza imparziale le distorsioni della stampa mainstream USA degli anni ’60, responsabile della creazione del mito negativo degli Hell’s Angels, dipinti come una sorta di nuovi barbari pronti a radere al suolo senza indugio le istituzioni americane.

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