Fenomenologia di Kit Carson ovvero come curare la demenza senile

di Gil

Anche Conversazioni sul fumetto vuole festeggiare i nonni e lo fa con un pezzo scritto da misterioso Gil dedicato al vecchio cammello, Kit Carson. 

Non tutti sanno che il 2 ottobre è la festa dei nonni, se avete ancora dei nonni approfittatene per far loro un regalo. Io gioco forza sono schiavo di questa giornata: la mia ragazza insegna in un asilo nido e, arrivato settembre, la vedo arrovellarsi su cosa far fare ai bambini. Una delle prime volte, si mise d’impegno e preparò dei cartelloni su cui disegnò delle immagini di nonnini stereotipati (capelli bianchi, bastone etc.), senonché i nonni quando arrivarono in asilo avevano tutt’altro aspetto: capelli folti, tacchi a spillo, decolté prorompenti.

“Non ci sono più i nonni di una volta” mi disse sorpresa, ma io lo sapevo bene, leggo Tex dalla seconda elementare e so che ti puoi aspettare cose incredibili dagli anziani. Non è un caso infatti che il personaggio più grandioso di tutta l’epopea Willeriana è sempre stato il vecchio “Capelli d’argento” come lo chiamano i Navajos, ovvero Kit Carson. Che poi mica è poi tanto vecchio: a quanto risulta dal numero 355, il buon vecchio zio Kit di anni ne ha solo 55, ma già da tempo se ne lamenta come se fossero ottanta.

Ora però se considerate che due secoli fa, l’aspettativa di vita era di circa 50 anni, non è poi così strano che Kit venga considerato già nel pieno della terza età. Capelli, baffi e pizzetto bianchi d’altra parte non aiutano a sembrare più giovani, anche se il fisico ancora tiene.

Il caro Carson d’altra parte sulla vecchiaia ci ha sempre marciato e proprio sugli stereotipi tipici delle persone di una certa età si è adagiato più e più volte. È quello che prima di ogni missione vede sempre nero, si lamenta delle cavalcate troppo lunghe, odia i treni, sogna letti soffici, una bella bistecca accompagnata da fiumi di birra e, come gli anziani sotto casa mia, ha un debole per le donne, solo che invece di limitarsi a sbavare sulle giovani passanti, Kit Carson con le donne ci sa fare.

Le sue continue lamentele per attirare l’attenzione l’hanno reso da tempo lo zimbello della comitiva, Tex e Kit Willer non si risparmiano mai una battuta e anche Tiger Jack “l’indiano del gruppo” (cit.) se fosse dotato di simpatia si lancerebbe in disinvolti sfottò. Gli autori di Tex dal canto loro hanno sempre avuto difficoltà a collocarlo, in teoria dovrebbe essere un super ranger, ma non può essere meglio di Tex per cui spesso e volentieri fa solo da supporto o peggio ancora lo fanno rincretinire talmente tanto che nonostante anni e anni di onorata carriera non riesce mai a capire che cosa stia succedendo.

Non essendo una vera e propria spalla comica di quelle che nei fumetti western abbondano ( i dottori Rhum e Salasso di Capitan Miki per citare i migliori), Kit Carson viene utilizzato come espediente per spiegare cosa frulla nella testa di Tex: non capisce mai sei il suo pard bluffa e peggio rivolge domande banali per poi essere deriso da tutti. In conclusione se non ci fosse lui il lettore non avrebbe i momenti di “spiegone” e non potrebbe godersi con occhio complice tutte le mosse dell’appena più giovane Tex.

Kit Carson è un personaggio scomodo da utilizzare e ancora di più da spiegare a chi non è italiano. Porta lo stesso nome di una leggenda del West, Kit Carson appunto, cacciatore capace di uccidere sette bisonti con sei colpi (un proiettile lo estrasse dalla pelle di un bisonte e lo riutilizzò ), ma non ha nessun legame con lui. Proprio per questo gli entrambi scomparsi Segura e Kubert hanno preferito non chiamarlo in causa quando hanno messo mani sul ranger bonelliano.

Kit Carson, quello vero

Eppure Kit Carson, quando viene lasciato solo si risveglia dal rimbambimento dovuto all’età e torna a essere un mito del west degno del vero Kit Carson, intuisce tutte le mosse degli avversari, si arrischia in missioni suicide, salva donne in pericolo, diventa risolutivo, si rende protagonista dei momenti più alti della storia editoriale di Tex (mai sarà ringraziato abbastanza Boselli per “Il passato di Carson”).

Arrivati a questo punto non ci rimane dunque che tirare le fila e trarne una conclusione.

Lo so che siamo legati ai nostri anziani genitori, o ai nostri nonni e questo è un sentimento nobile, capisco Tex al quale hanno ammazzato il padre, poi il fratello e infine la moglie e cerca in Kit una figura paterna da stringere forte la notte, tanto che nell’ultimo numero scritto da Faraci, il 623, il ranger bonelliano aggrappato ad un masso per salvarsi dalla corrente di un fiume che lo sta trascinando verso morte certa, pensa: “Se crepassi qui, il vecchio cammello non avrebbe nemmeno una tomba su cui piangere! Non posso fargli un simile torto!”. Questo però io lo chiamo egoismo, dobbiamo farci forza e pensare agli altri, mica solo a noi stessi.

La morale dunque credo che sia: almeno il 2 ottobre abbandoniamo gli anziani al loro destino, ritroveranno le forze, la loro mente si farà più lucida e magari nonni e nonne la finiranno con la cosmesi e si faranno crescere un paio di baffi degni di tale nome.

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