Esclusiva: The Nao of Brown, in Italia per Bao Publishing

E’ con immenso piacere e onore che vi annunciamo in anteprima assoluta la pubblicazione italiana da parte di Bao Publishing di The Nao of Brown, uno dei libri a fumetti più interessanti e discussi dell’anno. Un albo che ha incontrato il favore del pubblico e il plauso della critica, che ci preme supportare e che è pronto ad arrivare sul suolo italico. Di seguito per voi, un sunto dell’entusiasmo che lo staff della Bao sta riversando nel progetto e tutte le notizie relative alla pubblicazione:

Era da un po’ che BAO Publishing aveva voglia di collaborare con Self Made Hero. L’etichetta inglese diretta da Emma Hayley sforna da qualche anno titoli interessanti, dall’appeal quasi universale, dei piccoli classici istantanei. Era questione di trovare il progetto adatto. Quando Glyn Dillon ha cominciato a consegnare le pagine di The Nao of Brown tutti abbiamo avuto subito il sentore che stesse per arrivare un capolavoro.

«Non potevamo farcelo scappare» ha detto Francesco Savino, Special Projects Editor di BAO. «Dillon tratta i temi del disagio psichico in maniera splendida, non sembra possibile provare una così forte empatia nei confronti di un personaggio tanto disturbato, eppure succede.»

A giugno 2013, dunque, BAO Publishing metterà nelle mani dei lettori italiani Il Nao di Brown, un volume cartonato di grandi dimensioni e di impeccabile fattura, che verrà realizzato contemporaneamente all’edizione spagnola, da Norma Editorial. «Lavoriamo da anni in sinergia con Norma» ha aggiunto Leonardo Favia, Executive Editor, «perché abbiamo essenzialmente gli stessi gusti. I loro valori produttivi rispecchiano i nostri e sono diventati un partner strategico nei nostri piani di produzione.»

A inizio 2013, i lettori di Conversazioni sul Fumetto potranno godersi una extended preview esclusiva di questo nuovo, attesissimo romanzo grafico, mentre per la sua uscita verrà proposta un’intervista approfondita all’autore.
Nell’attesa eccovi una interessante recensione del fumetto a cura di Antonio Solinas. -AQ

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Le graphic novel (mi rifiuterò sempre di usare il maschile, se permettete) hanno spesso avuto il pregio di caratterizzarsi anche in maniera “geografica”. Ovvero, gli autori, in generale, se non riescono a proporre su carta quella che è l’identità nazionale, riescono almeno a suggerire l’essenza della propria cultura d’origine. In questo processo, chiaramente, gli autori “indie”-non seriali (qualunque cosa questo voglia dire) sono facilitati, rispetto a chi lavora col “genere”-seriale, spesso (necessariamente) uniformato a luoghi dell’immaginario. Per esempio, New York, di per sé, lascia a un autore di Spider-Man poco spazio alle sfumature “localistiche”.

Solo raramente e in progetti di un certo tipo, il seriale è capace di riproporre la sensibilità locale in maniera non adulterata, per natura.

In questo senso, quello che in partenza è considerabile un pregio – e che pregio! – da parte delle graphic novel può diventare (e spesso in effetti diventa) un difetto, nel senso che non è raro imbattersi in standardizzazioni discretamente antipatiche.

Per esempio, facendo riferimento alla nostra realtà, se in principio leggendo volumi italiani è possibile leggere di cose italiane (e non d’improbabili ambientazioni di cui solitamente abbiamo conoscenza solo attraverso i mezzi d’intrattenimento), spesso il modo in cui si racconta è sempre lo stesso, involuto e standardizzato.

Certe graphic novel attingono a una sensibilità che diventa velocemente canone e solo nei casi di veri fuoriclasse riesce a esprimere sentimenti che vadano oltre l’affettazione (o che si caratterizzino per modi espressivi che non seguano pedissequamente i capifila nazionali). In parole povere, se un movimento fumettistico propone una sorta di cristallizzazione dell’immaginario (e quindi soprattutto una sclerotizzazione di come scrivere i fumetti), non è mai una buona cosa, anzi.

Nao-8E qui veniamo a The Nao of Brown, che tenta una via diversa alla graphic novel e che, dal punto di vista del sentire, si caratterizza come fortemente “British”, pur esibendo come medaglie influenze visibilissime come quelle francesi e giapponesi.

Intendiamoci: non credo che Glyn Dillon, autore dotatissimo e che recuperiamo al fumetto dopo 15 anni di (tanto) altro1, avesse come scopo quello di proporre altro che la propria storia. Non è pensabile che The Nao of Brown sia un manifesto di qualcosa. The Nao of Brown è “solo” una storia. Ed è proprio questo il punto di forza dell’operazione, in cui in maniera organica e naturale Dillon traspone il proprio mondo. Le influenze artistiche sono palesi, come detto: Moebius e il fumetto francese vanno a braccetto con un amore (sembrerebbe) sconfinato per il Giappone. Allo stesso tempo, questo “concime narrativo” è applicato a un substrato tematico che più inglese di così non può essere. Dal connubio di quelli che sono gli elementi narrativi e gli elementi di contorno, viene così fuori un mondo perfettamente realizzato che mostra tutta l’urgenza espressiva dell’autore, che – fatto ormai noto – per realizzare il fumetto ha messo a dura prova il proprio organismo, finendo pure in ospedale (e si vede, leggendo).

The Nao of Brown è una storia di sentimenti, di come il mondo interiore possa aiutarci a domare i nostri demoni e di come la ricerca della felicità passi per la strada forse più improbabile.

A livello narrativo, con un espediente non nuovo, Dillon incrocia il mondo “reale” della protagonista, Nao Brown, una “hafu” (meticcia mezzo giapponese e mezzo inglese) che soffre di un disturbo ossessivo compulsivo che ha poco di patinato da telefilm, con il mondo interiore della ragazza (i suoi lavori di illustratrice e soprattutto Ichi, il suo fumetto preferito).

pictor-figureI due piani narrativi sono tenuti distinti dalla scelta artistica dell’autore (acquerello e matita per il mondo “reale”, china e colore al computer per la “storia a fumetti”), ma diventano l’uno metafora dell’altro, in una fusione di arte e vita che scorre nella lettura e crea empatia per i personaggi, tutti ben caratterizzati e tridimensionali, oltre che credibili nella loro “inglesità”. E, oltre a fornirci una dimostrazione della straordinaria abilità di Glyn Dillon come illustratore-storyteller, creano un impianto narrativo solido e fondante.

Dal punto di vista grafico, la facilità di disegno è incredibile. Dillon sembra saper fare tutto con una naturalezza straordinaria, sia a livello anatomico/prospettico che narrativo: i tempi e le inquadrature scelti per accentuare i momenti topici dei dialoghi sono sempre impeccabili, e le anatomie perfette catturano quelle che i britannici chiamano le “nuance” della postura e le piccole idiosincrasie dei personaggi. Oltretutto, la “struttura”, tanto esibita e tenuta in considerazione dagli autori di casa nostra, è così nascosta e naturale da non essere visibile, creando un piacevole effetto di naturalezza che svia (e menomale) dall’enorme opera di costruzione che Glyn Dillon ha messo in atto nel corso degli anni.

Se di qualche piccolo difetto si vuole parlare, è solo legato a qualche inesperienza e a qualche passaggio “pesante” che l’autore scioglie in maniera magari troppo buonista. Ma l’attenzione per il dettaglio e la capacità di rendere la gestualità compensano abbondantemente le trascurabili sfumature. Qualcuno, non a caso, ha parlato in questo senso di livelli di eccellenza pari a quelli di Jaime Hernandez. Se The Nao of Brown non è il fumetto dell’anno, siamo lì.

Ora si tratta solo di sperare che un eventuale successo di The Nao of Brown non porti a una serie di sbiaditi epigoni acquerellati male e che parlano di ossessioni filo-nipponiche. Per quel che conosco il mondo anglosassone, penso che il problema non si ponga, ma vedremo.

Dulcis (?) in fundo, chiudo con una polemichetta: la quarta di copertina dell’edizione originale inglese riporta un “acknowledgement” di Jamie Hewlett che, nonostante i successi da rockstar con i Gorillaz, dimostra una sorprendente sindrome da pisello piccolo (più comune in paesi mediterranei), mettendo in mezzo l’arte e il Tate Modern per legittimare l’esistenza del fumetto. Tutto il mondo è paese.

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1 “Gorgeous Glyn”, come lo definì a suo tempo Peter Milligan, è il fratello minore di Steve Dillon, nonché coinquilino di Alan Martin, Philip Bond e Jamie Hewlett ai tempi di Deadline, ghost di Tank Girl in molte occasioni e autore di storyboard pubblicitari e cinematografici e regista di video musicali (uno per i Gorillaz).

8 risposte a “Esclusiva: The Nao of Brown, in Italia per Bao Publishing

  1. …Ed io ho finito proprio ieri la graphic novel in originale, comprata proprio grazie al “consiglio” sul blog di Smoky man!!!
    Un piccolo gioiello che speravo davvero potesse venire presto tradotto in italiano. Speriamo che il formato e la cura editoriale siano pari a quelli dell’edizione inglese.

  2. questo dillon sia fratello di steve? che famiglia super!
    fondamentale il primo e mi sa che anche questo è sulla strada.

  3. E’ il fratello minore di Steve e non solo: anche il padre e la madre sono 2 artisti!

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