Quando un libro è come un palazzo? Quando l’architetto è Chris Ware.

di Jeet Heer
traduzione di Alberto Choukhadarian

Oggi presentiamo un articolo di Jeet Heer su Building Stories, il nuovo libro di Chris Ware. Il pezzo è stato pubblicato su The Globe and Mail il 5 ottobre 2012.

Siamo tutti inscatolati. Un’affermazione che può essere intesa come una descrizione metaforica del modo in cui la vita ci intrappola in ruoli sociali difficili da eludere, ma che finisce per essere vera anche letteralmente. Nasciamo in scatole, viviamo in scatole e moriamo in scatole: ospedali, incubatrici, condomini, case, scuole, uffici, ascensori, cabine, prigioni, centri commerciali, superstore, case di riposo, bare, urne. L’architettura occidentale non si è mai allontanata troppo dalle sue radici che poggiano saldamente sulla geometria euclidea, quindi il dramma delle nostre vite si svolge su palcoscenici squadrati definiti da linee parallele, angoli retti, quadrati, cubi, rettangoli e ogni altra possibile forma affilata.

Solitamente non si pensa all’architettura come ad una forma di arte narrativa. Ma gli edifici esistono nel tempo così come nello spazio. Vengono costruiti in un determinato momento, resistono ad ambienti talora ostili, invecchiano e necessitano di manutenzione e, a meno che non vengano curati a dovere, diventano traballanti e alla fine si sgretolano per poi crollare o essere demoliti.

Un modo per definire il genio di Chris Ware è dire che fonde le eterogenee e disparate forme di comics e architettura, usando le sue impareggiabili capacità di narrazione visiva per mostrare come gli edifici che creiamo non sono solo vuoti contenitori ma sono addirittura in grado di influenzarci per quanto li modelliamo.

Il matrimonio tra comics e architettura può sembrare sorprendente, ma ha una lunga tradizione che Ware, molto documentato su tutto quanto riguarda il passato, conosce bene. Il grattacielo moderno venne alla ribalta nello stesso momento in cui iniziava ad emergere il fumetto come forma narrativa, durante la metà del diciannovesimo secolo, sebbene entrambi abbiano una preistoria che si estende nel più lontano passato. La classica pagina domenicale a fumetti dei quotidiani, con tante vignette disposte su una griglia ben definita, ha evidenti paralleli con gli alti edifici dalle numerose finestre, solitamente adibiti ad uffici, un fatto che permise a pionieristici cartoonist come Winsor McCay di giocare con le forme quando disegnavano storie che vedevano protagonista lo skyline di New York, non solo come statico sfondo ma come attivo personaggio virtuale. Il tavolo da disegno di un cartoonist non è poi così diverso dal tecnigrafo di un architetto. E sia disegnando fumetti che progettando case si lavora con griglie, cubi e rettangoli oltre a dover padroneggiare la prospettiva.

Quando incontrai Ware a Chicago qualche anno fa per lavorare insieme alla serie Walt and Skeezix, la ristampa della strip Gasoline Alley, fui colpito dalla profondità delle sue conoscenze architettoniche. Parte delle nostre ricerche ci condusse a casa dell’ormai da tempo scomparso cartoonist Frank King. A partire semplicemente da vecchie fotografie ed usando la sua acuta memoria visiva, Ware fu in grado di notare immediatamente tutti i cambiamenti apportati all’abitazione nel corso dei decenni. Chris e il nostro comune amico Tim Sameulson, eminente esperto della figura dell’architetto Louis Sullivan, mi fecero visitare Chicago, un’esperienza straordinaria anche perché sembravano avere un pronto accesso, più veloce ed affidabile di un motore di ricerca su Internet, ad informazioni salienti riguardo praticamente ogni edificio significativo della città.

Ware è una sorta di animista non religioso. Secondo lui, animali e oggetti fisici, non diversamente dalle persone, hanno storie e biografie, e meritano di ricevere l’amorevole, rinfrescante, liturgica attenzione che solo l’arte può garantire. La sua nuova graphic novel, Building Stories, è un tentativo di espandere il raggio di compassione nella finzione narrativa fino ad includervi non solo gli esseri umani ma anche gli animali e gli oggetti fisici con cui interagiamo quotidianamente.

Al primo approccio, Building Stories non è un libro ma una scatola. Lunga, rettangolare, con la copertina di cartone addobbata da coloratissime immagini iconiche, potrebbe facilmente essere scambiata per una confezione di Monopoli o qualche altro gioco da tavolo. A supportare l’analogia con quest’ultimo è il fatto che sul retro della scatola ci sono istruzioni che pretendono di spiegare ‘tutto quello che si deve sapere per leggere la nuova graphic novel Building Stories’ dettagliando il contenuto che ci aspettiamo di trovare all’interno: ’14 tra libri, libretti, riviste, quotidiani ed opuscoli nettamente distinti tra loro’.

Messi insieme, questi 14 oggetti stampati formano un unico romanzo grafico non lineare, ma variano notevolmente in dimensioni, forma e contenuto. Gli articoli più piccoli sono volantini e strisce di carta non più grandi dei foglietti di istruzioni che si trovano allegate ai mobili di pronto assemblaggio o alle nuove apparecchiature elettroniche. I più grandi sono invece delle stesse dimensioni dei quotidiani di grande formato che, esattamente come il The Globe and Mail, si devono ripiegare aperti per poterli leggere, concentrandosi su una parte di pagina per volta.

Ware ha spezzettato la sua storia in 14 piccoli libri anche per rinforzare uno dei principali temi narrativi di Building Stories, la natura frammentaria della vita urbana contemporanea. Ma i singoli libretti sono altresì, ciascuno di essi, dei magnifici oggetti per conto proprio con una storia ritagliata su misura a seconda della forma fisica in cui sono racchiusi. Ad esempio, il più piccolo libello tratta, delicatamente e in maniera commovente, delle minime interazioni quotidiane tra una madre e la figlia. Uno dei libri dal formato maggiore, identico a quello di un giornale, si occupa della morte, un argomento da grande notizia e al contempo difficile da maneggiare.

Il libro stampato, ci viene detto costantemente, sta diventando obsoleto a fronte della concorrenza che si sviluppa inarrestabile online. Forse è proprio così, ma Ware è un partigiano della tangibilità, del tattile mondo degli oggetti che si possono toccare, compresi libri e palazzi. Sebbene un piccolo scampolo di Building Stories sia apparso inizialmente in rete, l’oggetto totale che Chris ha concepito e creato ora poteva esistere solo nel nostro mondo tridimensionale. Raccontando le sue storie attraverso magnifici oggetti stampati, sta sostenendo un valido argomento per la continua centralità del libro come forma seppure in un’era di libero accesso al ‘contenuto’ digitale. Forma e contenuto nell’opera di Ware non sono mai separati ma lavorano ingegnosamente insieme, come due affiatati partner in una stupenda e scioccante ipnotica danza.

Ma lodare Chris Ware solo per la sua arte o inventiva formale significherebbe liquidare senza tanti complimenti la forza della sua capacità narrativa. Ci sono diversi personaggi in Building Stories: uno è un secolare appartamento di Chicago che ricorda nostalgicamente giorni migliori; un altro è l’anziana proprietaria che possiede la costruzione, e un altro ancora è un’ape che resta temporaneamente intrappolata su un davanzale. Ma il personaggio centrale dell’intera graphic novel è un’anonima giovane donna che vive all’ultimo piano del palazzo.

Attraverso il corso della gran parte dei 14 libri, la forma e la struttura della vita della donna sono tratteggiate con tale precisione e schietto candore da farla assurgere al ruolo di uno dei più grandi personaggi della narrativa contemporanea, così perfettamente umana e credibile da essere paragonabile ad un’eroina di Alice Munro.

John Updike una volta definì una sua aspirazione come il desiderio di ‘restituire all’ordinario la meraviglia che gli è dovuta’. Esattamente quello che Ware riesce a fare con la biografia della sua eroina senza nome. Veniamo messi al corrente dell’incidente d’infanzia che l’ha privata di una gamba, del suo primo amore, di un’indesiderata gravidanza, della sua solitudine, del matrimonio, della gioia nella maternità, dello scoramento nel dover sacrificare le sue ambizioni artistiche, del dolore per la scomparsa delle persone care.

Storicamente i fumetti sono stati tra le forme d’arte più sessiste, ma con Building Stories, Chris Ware diventa parte di quella manciata di cartoonist maschi creatori di un personaggio femminile autenticamente credibile e convincente (impresa rara anche tra gli autori uomini di narrativa in prosa). Può essere che sia stata inscatolata dalla vita e confinata in edifici che non le lasciano poi tanto spazio per esprimersi, ma resta determinata, attenta osservatrice e acutamente sveglia. Incontrarla, e vedere da vicino l’ambiente che l’ha formata, è il maggiore piacere che si ricava dalla lettura di Building Stories.

4 risposte a “Quando un libro è come un palazzo? Quando l’architetto è Chris Ware.

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  2. Colgo l’occasione dell’articolo di Heer per un commento “a latere” sulla questione del rapporto tra fumetto e architettura. Personalmente ritengo infondato il parallelismo “automatico” tra pagina di fumetto e pianta o facciata di un edificio (o addirittura griglia urbana). E’ un’idea accattivante e piuttosto diffusa (così su due piedi mi vengono in mente alcuni interventi di Roberto Bartual, Scott Bukatman, Aaron Costain, Manuela Costa) ma francamente poco convincente. Temo si confondano procedimenti e strumenti comuni a una gamma peraltro vastissima di professioni la cui analogia di utilizzo resta confinata a una sfera meramente grafico-espressiva.
    In altre parole la composizione architettonica ha ben poco a che spartire con la costruzione grafica di una pagina di fumetto se non la generica ricerca di un equilibrio (o disequilibrio, se nel caso) dell’insieme, comunque ottenuto attraverso mezzi completamente diversi.
    E origina in ogni caso da esigenze differenti.
    Se leggere una narrazione nella pianta di un edificio è qualcosa di forzato, non bisogna inoltre dimenticare che una cosa è (la rappresentazione di) un progetto architettonico, un’altra l’architettura realizzata.

  3. 1967: “Una vita in scatola” di Bruno Bozzetto.