I’m a Soul Man: “Il silenzio dei nostri amici” di Long-Demonakos-Powell

di Tonio Troiani 

“Eeny meeny miny moe,

catch a nigger by the toe

if he hollers make him pay

fifty dollars every day.”

Con una rapidità sorprendente la Bao Publishing ha dato alle stampe in questi giorni Il silenzio dei nostri amici, un graphic novel dedicato ai conflitti razziali in una realistica Houston di fine anni Sessanta. L’opera – edita negli States dalla First Second Book – vede ai testi Mark Long e Jim Demonakos, mentre i disegni sono affidati a Nate Powell.

Ho adorato il suo Portami via – premiato con l’Eisner Award nel 2009 – e conosco la poetica che impregna le sue opere di un perturbante surrealismo. Penso agli ectoplasmi mentali che, come piccoli demòni, ne accompagnano i protagonisti o al breve ma complesso It diseappers con i suoi vari piani narrativi che si sovrappongono e si intersecano.

Da educatore per adulti affetti da problemi e disagi mentali, Powell ha sposato la causa di Long.

Il silenzio dei nostri amici narra, infatti, dell’amicizia tra il padre di quest’ultimo – reporter dello locale emittente televisiva – e Larry Thomas (Thomspon nel fumetto), responsabile della sezione della SNCC e redattore di «The Voice of the Hope», una settimanale contro la povertà realizzato dall’HOPE. Ci troviamo, quindi, difronte a un lavoro basato su avvenimenti realmente accaduti e di matrice autobiografica, ma trasfigurati dalla volontà più ampia di narrare una sequenza difficile della storia americana.

Powell si presta totalmente a questo intento, traducendo in immagini la storia di due famiglie – una bianca e una nera – che si incontrano al centro della violenza segregazionista del profondo Sud. La personalità di Powell non è certo compromessa in questo episodio, anzi, pur lasciando da parte la luminosità quasi metafisica che caratterizzava i suoi precedenti lavori, con quel tratteggio meticoloso che ricorda un Michael Golden privo di grandeur ed epicità, in virtù della predilezione per gli spazi intimi e quotidiani, preferisce stemperare la violenza del contrasto regalandoci tavole nel contempo più morbide, che grazie alle gradazioni dei grigi acquistano una dimensioni plumbea e di pericolo imminente, come un cielo screziato da nuvole che promettono pioggia.

Inoltre, come ben evidenzia lo stesso autore, la “riduzione” grafica ha permesso a Long di ordinare il materiale senza forzare nessun punto di vista, ma permettendo la pluralità degli stessi.

Il libro offre una visione del mondo abbastanza intima attraverso il punto di vista di diversi personaggi, ma conduce la narrazione anche da più vicino attraverso gli occhi di Mark e bilanciandoli tutti senza giudizio accentua la forza narrativa del fumetto. [1]

La vicenda narrata da Long e Demonakos acquista così un respiro particolare: l’andamento è si corale, ma particolare attenzione è riservata al percorso di formazione e crescita intrapreso da Jack Long.

Quello che in partenza è per il protagonista qualcosa di tiepidamente sentito, diventa qualcosa in cui credere, smantellando tutta una serie di cliché e di stereotipi sulla popolazione afroamericana. Gli aneddoti narrati, oltre a condurre il protagonista verso una propria personale redenzione, hanno un forte carattere simbolico, incentrato sullo sgretolamento dell’ovvio a partire dalla realtà di un incontro che ha i tratti dell’eccezionalità.

Una delle sequenze più vive – forse perché totalmente adagiata sui ricordi di Long – è quella dell’incontro tra i ragazzi di Jack e quelli di Larry: il silenzio e l’imbarazzo iniziale vengono subito superati e il tutto si stempera a ritmo della musica coinvolgendo anche i genitori ancora rigidi e turbati dalla loro presunta diversità.

Tutta la maestria di Powell nel tratteggiare le personalità dei piccoli protagonisti e nell’essenzialità dei particolari viene fuori seguendoli nella loro quotidianità già screziata dai conflitti e dalle lotte che i loro genitori hanno intrapreso, forse non capendone le ragioni.

Ad esempio, Lucie – la bimba cieca di Jack – si muove come un’entità a sé stante, lucida e imperscrutabile nella sua cecità, è una presenza simbolica che attraversa tutta la narrazione e che, dallo smarrimento iniziale, piano a piano conquista la propria parziale indipendenza, come il movimento anti-segregazionista.

Il lavoro di Powell è degno di nota anche nelle sequenze più drammatiche, dove spesso alterna i punti di vista giocando magistralmente con la costruzione della tavole, che acquistano così una velocità e un’azione unica grazie allo smantellamento di una gabbia troppo rigida. Viene restituita – anche giocando con il lettering (adattato egregiamente nella versione italiana) – la dimensione concitata dei fatti avvenuti nel crocevia delle tensioni di Houston: Wheller Avenue.

Bisognerebbe soffermarsi su ogni singola espressione dei protagonisti per capire il tentativo di restituire, pur con la distanza della ricostruzione storica, tutta l’emotività degli avvenimenti narrati.

Senza dubbio, un buon tassello nell’affresco storico che si sta costruendo su quegli anni, e che può e deve passare anche attraverso il medium del fumetto. Un libro che rompe quel silenzio tanto temuto da Martin Luther King.

***

Note

[1] http://us.macmillan.com/thesilenceofourfriends/MarkLong

[2] http://www.washingtonpost.com/blogs/therootdc/post/giving-a-voice-to-the-silence-of-our-friends/2012/02/21/gIQAOX9RTR_blog.html

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