Intervista a Ed Brubaker

di Oliver Sava
traduzione di Manuela Capelli

Questa intervista a Ed Brubaker, tratta da The A.V. Club, risale al periodo dell’uscita del film su Capitan America e ripercorre la sua straordinaria carriera alla DC e alla Marvel, passando per progetti più personali come Criminal e Incognito.

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Capitan America è stato il primo titolo importante che hai fatto per Marvel. Com’era il Capitan America che ti è stato offerto?

Avevo un contratto in esclusiva con la DC. Lo stavo giusto chiudendo quando Brian Bendis, che conoscevo dai primi anni ’90 – all’epoca entrambi lavoravamo su fumetti indipendenti, e lui stava diventando una grossa firma della Marvel – mi ha detto che mi voleva e che scrivessi qualcosa per la Marvel. Ho semplicemente continuato a rimanere alla DC e fare Catwoman e Batman, e altre cose per Vertigo e Wildstorm. Fondamentalmente mi ha telefonato e mi ha detto qualcosa tipo: “Avanti… Sono anni che cerco di farti venire qui. Che personaggio potrebbe offrirti la Marvel per farti venire?” E io: “Be’, mi piacerebbe molto scrivere Capitan America un giorno, ma avete già preso qualcuno per quello.” Allora lui ha risposto, “Oh no, no. Quel tipo non starà effettivamente sul fumetto. È una cosa ad interim.” Così il giorno successivo Joe Quesada mi ha chiamato per parlare di Capitan America. E la mia grande idea coincideva proprio con la cosa che Joe stava davvero sperando che qualcuno facesse con Capitan America: far tornare Bucky.

Il motivo per cui volevo scrivere Capitan America era che ero stato un marmocchio militare. Ero un marmocchio della Marina. Ho iniziato ad andare a scuola a Gitmo. C’è una base militare là, dove gli ufficiali, per lo meno nei primi anni ’70, potevano portare le proprie famiglie e c’erano quartieri dove potevi vivere, c’erano una scuola, dei negozi. È come una piccola città americana a Cuba. Questo risale ai giorni in cui nessuno parlava di Gitmo. Vivendo nelle basi militari e viaggiando, i fumetti da bambino erano uno dei miei principali compagni. Sono cresciuto circondato da tutti questi servizi segreti della marina e Marines e tutte persone del genere e per qualche motivo mi piaceva l’idea di diventare grande leggendo i fumetti di Capitan America in questo specifico ambiente. Era come se mi parlasse. Perché era un super-soldato. Non era come Superman o gli altri. Era proprio un ragazzo che combatteva la seconda Guerra Mondiale.

Era il tipo di personaggio che davvero mi affascinava da ragazzino e mi sarebbe sempre piaciuto cercare di farne una versione più moderna. Qualcosa che mescolasse… non direi una “sensazione di mondo reale”, ma certamente volevo cercare di farlo sembrare più come 24 o James Bond o qualcosa del genere. Ci sono stati un paio di numeri, che ho letto quando ero più grande, fatti da Jim Steranko. Erano i miei numeri preferiti di Capitan America. Erano tre. Assomigliavano molto al suo Nick Fury: Agent Of S.H.I.E.L.D., ma qui Capitan America era una specie di operativo. Ho sempre pensato che fosse il modo più interessante di utilizzare Capitan America. Come una specie di spavaldo Delta Force, una specie di soldato per missioni speciali. Avevo questa idea, e mi arrabbiavo sempre da bambino quando scoprivo che la morte di Bucky era una specie di grande retcon che avevano fatto perché Stan Lee non voleva che avesse compari. [Ride.] Per cui una parte di me era come se dicesse, “Se mai scriverò Capitan America, riporterò indietro Bucky.” È piuttosto strano che sei anni e mezzo fa facendo tornare Bucky le persone si fossero furiose, ed ora, invece, è diventato uno dei più famosi personaggi moderni della Marvel. Non saprei dirti quante volte ho dovuto bocciare persone che volevano fare delle autoconclusive a parte o miniserie sul Winter Solider, e io dicevo, “No, no, no. è il mio personaggio. Voi ragazzi non potete minare la sua storia.” [Ride] È piuttosto divertente. È fantastico, comunque, che sia diventato fondamentalmente il più famoso tra i nuovi personaggi Marvel, probabilmente insieme a Deadpool. Sai, ci sono i giocattoli. Ho dei giocattoli di questo ragazzo. È pazzesco.

Il Bucky di Ed Brubaker

Il Bucky di Ed Brubaker

In un’intervista di una paio di anni fa per il Comics Journal, hai detto che i temi principali della tua scrittura sono le relazioni familiari, le relazioni personali, e le persone che non sanno rifuggire dal proprio passato. Quali sono state secondo te le differenze nell’esplorare questi temi scrivendo di supereroi rispetto ai libri gialli più realistici, come Criminal o Lowlife?

Be’, sono temi piuttosto ampi. [Ride.] Non parto mai dicendo “Qual è il tema di questa storia?” Qualsiasi cosa scriva deriva dal personaggio e da quello che rappresenta. La differenza principale è che quando sto lavorando su Criminal non c’è sempre e necessariamente un momento in cui scrivo a Tom Brevoort: “Ho bisogno di un vero supercriminale Marvel.” Perché so che sto costruendo tutti i personaggi e il loro mondo, e non ho bisogno per forza di questa specie di pezzi classici alla James Bond. Ma sia che tu stia scrivendo qualcosa per un’azione da supereroe o Die Hard o un piccolo giallo guidato da un personaggio, è tutta la stessa scrittura, davvero. Se lo fai bene, stai sempre organizzando la tua storia nello stesso modo, stai sempre guardando la tua storia attraverso gli occhi del tuo personaggio, nello stesso modo che se fosse qualsiasi altra storia.

Il tuo Capitan America è politico e calato in situazioni reali. L’anno scorso c’è stato il piccolo scandalo relativo al Capitan America Tea Party, e quest’anno la rinuncia di Superman alla cittadinanza americana ha guadagnato la stampa tradizionale. Pensi che la gente dovrebbe semplicemente accettare la potenziale critica politica dei fumetti?

Non parlerei necessariamente di critica. Non sono come le vignette satiriche. Io non avevo intenzione di fare niente di critico. Stavo solo cercando di raccontare una storia, ma sembra che ci siano certi elementi della vita politica americana che il solo rappresentare equivalga a criticarli.

Quando ero un ragazzo, durante il Watergate, in un fumetto di Capitan America quello che si supponeva essere il presidente si rivelò legato a un gruppo di furfanti. Ed era il modo in cui la Marvel reagiva a quello che stava succedendo nel mondo reale. Così Capitan America ha scoperto che “Oh mio Dio, il mio Governo è corrotto.” E per almeno un anno ha smesso di essere Capitan America. Mi ricordo che lo leggevo da bambino e ne ero impressionato. Ma la cosa importante da ricordare con la Marvel è che non è il nostro mondo. E quando stai scrivendo Capitan America, la cosa più importante, alla fine della giornata, è che qualsiasi sia la tua storia, si tratta di un fumetto di supereroi. Non è mai precisamente il nostro mondo. Quello Marvel assomiglia molto al nostro mondo, ma è sempre un gradino più in là. Il Nixon dei fumetti Marvel non era lo stesso uomo dello stesso scandalo della vita reale.

E l’intera storia del Tea Party che ha fatto infuriare tutti… Non ho mai voluto che fosse propriamente il Tea Party. E non penso necessariamente di essere stato critico verso nessuno in quella sequenza di due pagine o in nessun altra. Stavo cercando di mostrare che quando si esce dalle principali aree metropolitane come New York City o Seattle, o qualsiasi altra grande città, se stai 10 minuti fuori e dentro il Paese, gli atteggiamenti sono completamente differenti. Questa esperienza è molto americana. E questo era quello che cercavo semplicemente di fare.

Le tavole incriminate del "Tea Party"

Le tavole incriminate del “Tea Party”

E la cosa interessante era che nell’universo Marvel, non si chiama Exxon Oil, ma Roxxon Oil. C’è sempre qualcosa di diverso. Non è la Mafia, ma la Maggia. Sono sempre un gradino più in là. Per cui quella era la sola cosa che dicevo: “Oh, merda. Il letterista ha tracciato un segno per cui sembra proprio che si tratti di un comizio del Tea Party.” Io non l’avrei fatto, perché è un gradino più in là: l’avrei chiamato Coffee Party o qualcosa del genere. O, non so, il Patriot Party. Qualcosa insomma che lo rendesse un gradino più in là. Ma improvvisamente è scoppiato un putiferio e io ricevevo minacce di morte per… solo perché – penso – stavo mostrando un comizio in un fumetto di Capitan America, con The Falcon che diceva che non si sentiva a suo agio in un comizio anti-tasse in Boise, Idaho? Un ragazzo nero di Harlem non si sentirebbe a suo agio in quella situazione. Io stavo solo scrivendo il personaggio come è sempre stato ritratto. Ma la reazione, letteralmente, è stata che ho ricevuto minacce di morte per quelle tavole. In cosa è diverso dai Talebani o Al-Qaeda? Per cui ne sono stato davvero scioccato. E fondamentalmente ha fatto sì che smettessi di avere un’e-mail pubblica o qualsiasi altra forma diversa da Twitter per permettere alla gente di raggiungermi. Roba da pazzi! E il punto è che io non sono un animale politico intransigente. Sono piuttosto moderato. Per cui è spaventoso che solo perché dico che qualcuno è un idiota su Twitter, improvvisamente io diventi una specie di maniaco di sinistra. Mio padre era a capo dei servizi segreti della marina e mio zio era nella CIA. Non sono né di destra né di sinistra.

Hai detto che volevi che Capitan America fosse una specie di romanzo di spionaggio e sembri subire diversi tipi di influenze nei tuoi progetti. Per The Immortal Iron Fist hai pescato elementi da serie pulp e film sulle arti marziali. Catwoman aveva un’ambientazione molto noir. Ci sono altri generi di fiction che vuoi ancora esplorare?

Onestamente, a un certo punto mi piacerebbe fare un fumetto romantico. [Ride.] È la sola cosa. Ho scritto fumetti gialli, ho scritto fumetti di fantascienza, ho scritto fumetti di supereroi. Non mi piacciono le storie romantiche. Guarderò le strane commedie romantiche e mia moglie mi prenderà in giro. Ma i fumetti romantici, per qualche motivo, mi dicevano qualcosa da ragazzo. Non so perché. Penso sia colpa dell’arte di John Romita. È un vero peccato, perché la sola persona con cui vorrei fare davvero un fumetto romantico è probabilmente Romita. Ma forse posso far sì che Butch Guice disegni come John Romita. Per cui, sì, è qualcosa che ho sempre voluto fare. Non sto dicendo che vorrei fare una serie mensile di fumetti romantici, ma mi piacerebbe fare una specie di “tributo al fumetto romantico”. È un genere che ho sempre pensato essere figo. Sono così divertenti da rileggere oggi. Sono così esagerati. Sarebbe interessante cercare di fare una serie di brevi fumetti romantici. Far rifare alla Marvel Modern Love per alcuni numeri e permettermi di scriverli. Con un grande artista che disegna storie brevi. Chiamatelo amore postmoderno o qualcosa del genere. [Ride.]

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I tuoi libri hanno molti protagonisti maschili, ma ce n’è uno in cui hai esplorato il lato femminile dei supereroi. Cosa ti ha indirizzato verso Selina Kyle e Catwoman?

Be’, è cominciato in modo strano perché è un personaggio che mi è sempre piaciuto. Dai tempi in cui era una ladra di gioielli di cui Bruce Wayne era innamorato. E mi sono piaciuti tutti gli Earth One o Earth A o comunque li chiamassero, dove c’era tutto l’All-Star Squadron, e Catwoman alla fine andava in pensione, e lei e Batman si sposavano, e la loro figlia era Huntress. Mi ricordo tutte queste storie dalla mia infanzia, perché avevo le vecchie collezioni di Batman degli anni ’50 e ’60, per cui la passione per il personaggio è cominciata presto. E mi piaceva quest’idea di un personaggio che fosse un tipo di persona che può vivere sulla strada o nell’alta società, che può essere un grandioso ladro di gioielli, o semplicemente una persona insignificante. Sembrava il personaggio dei fumetti più figo che avessero, sotto diversi aspetti. E quando ho cominciato con Batman, Matt Idelson mi ha chiamato e mi ha chiesto cosa pensavo del fumetto di Catwoman che stavano facendo. Così ho letto qualche numero qua e là e la sensazione è stata che non fosse all’altezza del suo potenziale. C’era troppo T&A [Tits & Ass, letteralmente “tette e culo”, ndr].

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Be’, non proprio, più… Ok, non voglio fare nomi, è passato così tanto da quando li ho guardati. Mi ricordo solo di aver pensato che sia il testo che la grafica non stavano permettendo al personaggio di esprimersi. Non stavano andando dove secondo me lei poteva andare. E mi piaceva davvero il modo in cui Frank Miller l’ha ritratta in Batman: Year One. Mi piacevano molto certi elementi. Quello speciale tipo di personaggio dominatore che ha questa educazione davvero severa. Per cui volevo cercare un modo per miscelare la versione della sua storia in Year One di Frank Miller con le cose che davvero mi piacevano del personaggio nella versione Silver Age, che era più un personaggio dell’alta società. Matt mi ha chiesto cosa ne pensavo, io gliel’ho detto, e lui mi ha risposto: “Quindi vuoi subentrare nella realizzazione?” Allora ho realizzato che avevo parlato in prima persona durante la conversazione. Per cui ho solo chiesto: “Possiamo ridisegnarle il costume?” E lui ha detto, “Certo.” E io: “Bene, farò almeno 12 numeri.” E ho finito per starci per almeno 40 numeri, credo. Sono stato così fortunato da incontrare Darwyn Cooke prima che diventasse così famoso. Gli ho fatto ridisegnare Catwoman e, 10 anni dopo, quello è il look di Catwoman. È stato molto divertente. E credo davvero che le abbiamo costruito un buon passato come un’orfana cresciuta all’interno del sistema e che va avanti per cercare la sua strada nella vita: può interpretare la parte di qualcuno dell’alta società, ma allo stesso tempo sa davvero quanto può essere dura la vita di strada. Sono veramente orgoglioso di un sacco di cose che abbiamo fatto in quel volume, soprattutto riguardo a Holly.

Una pagina della Catwoman di Brubaker, disegni di Cameron Stewart

Una pagina della Catwoman di Brubaker, disegni di Cameron Stewart

Mi è particolarmente piaciuto “No Easy Way Down.” Subito dopo una storia in cui sono successe molte cose terribili.

Ed è qualcosa che non si era mai visto nei fumetti, sembra. Soprattutto allora. Tipo otto o nove anni fa. Raramente si vedeva un fumetto in cui l’intera trama dopo un grosso avvenimento girasse intorno a quello che succede dopo  e sugli effetti che questo tipo di violenza ha sulla gente. Perché si è sempre già sul fumetto successivo, e non è un grosso problema. Ma Green Arrow ha scoccato una freccia contro l’occhio di qualcuno nell’ultimo numero. [Ride.] O qualsiasi altra cosa. Sto scherzando, ma fondamentalmente sembra che questi personaggi non debbano avere mai a che fare con questo genere di cose. Ma se sei mai stato in battaglia, o hai mai visto un certo tipo di violenza hardcore, è sconvolgente. Rimane con te per un po’. Per cui volevo far qualcosa che davvero avesse a che fare con quello. Ed è fantastico che avessi tre numeri in cui Javier Pulido potesse rappresentarne le conseguenze.

Mi piace come voi ragazzi avete reso la dipendenza di Holly dalla droga tramite le immagini nelle bolle.

Oh sì, la visione tossica. Potrebbe essere il mio numero singolo preferito di tutto ciò che ho fatto alla DC. Mi piaceva usare… ho tenuto tutte quelle e-mail spam del Dalai Lama, dove ti faceva tutte quelle domande. E mi chiedevo: “Perché il Dalai Lama manda dello spam?” e quelli erano i miei primi giorni di e-mail. E mi è venuto in mente che avrei dovuto utilizzarlo in qualche modo in una storia. Che ognuna delle sue domande rappresentasse una parte di come ti senti nei confronti della vita, e che avrebbe dovuto essere il climax di un numero su Holly.

Su Twitter, hai detto di essere un fan di Batman: The Animated Series. Ha avuto qualche tipo di influenza sulla tua serie di Batman?

Certamente. È stato uno dei motivi per cui io e Darwyn avevamo la stessa identica visione di cosa questo personaggio sarebbe dovuto diventare. Perché lui lavorava sulla serie animata, e su Batman Beyond. Onestamente, quando ho cominciato a essere pubblicato, stavo scrivendo e disegnando i miei fumetti indipendenti, e non avevo nessun indizio del fatto che avrei potuto scrivere fumetti di supereroi. Avevo smesso di leggere fumetti di supereroi più o meno sei anni prima. Ne avevo comprato uno e davvero non mi prendeva. Era il periodo in cui la Image Comics era agli esordi, e li acquistavi, li sfogliavi e sembrava che fossero tutte splash page. Mi sembrava che niente mi prendesse. Credo che la narrazione nei fumetti abbia fatto molta strada negli ultimi 20 anni in generale, come fumetti di supereroi tradizionali. Cose che hanno imparato dagli anni ’70 e ’80 e cose che hanno imparato negli anni ’90 sul grande schermo, si è diffuso una specie di stile splash e ora sono molto più facili da leggere di quanto non fossero agli inizi degli anni ’90. E molto più facile di quanto non fossero negli anni ’70 e ’80, quando erano decisamente prolissi. I migliori fumetti in circolazione oggi hanno un linguaggio completamente diverso rispetto a quelli degli anni ’70. Le cose migliori degli anni ’50 sono ancora eccezionali, ma io spesso leggo quelli degli anni ’70 a scopo di ricerca, ed è sbalorditivo quanto fossero prolissi. [Ride.]

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Non avendo la tv all’epoca, andavo a casa di qualcuno che aveva registrato questi cartoni di Batman e me li mostrava. Ne ero molto impressionato. È quello il primo momento in cui ricordo di aver pensato di scrivere una storia di Batman. Pensavo cose come: “Questo è quello che dovrei fare per vivere. Dovrei scrivere storie come questa. Potrei fare un fumetto di Batman se potessi fare una cosa come questa…” Non realizzando che sarebbe stato molto difficile. E mi ci sono voluti sei anni prima di arrivare a scrivere fumetti di Batman. Ma quello è stato il primo momento in cui mi si sia manifestata l’idea. Ogni volta che si era presentata l’opportunità prima, avevo solo pensato: “Non ho idee per Batman.” Ma c’era questo specifico episodio in cui lo Spaventapasseri rincorre Batman e lui ha questo incubo… da quello mi ricordo di essere stato davvero colpito. Quando vede i suoi genitori camminare nel tunnel, e il tunnel diventa una pistola, che spara il proiettile, e il sangue cola dalla canna della pistola mentre io pensavo: “Merda! Questa roba è per bambini?”

Apparentemente, però, il sangue in quella scena aveva un colore falsato. Doveva essere sabbia ed è così che ha passato la censura. Quella scena è grandiosa.

L’anno scorso ho preso la serie completa, e ho iniziato a guardarla qua e là. Per un po’ è stato difficile andare indietro e guardare i primissimi, perché amavo il disegno di quando riportarono l’episodio, e tutto era molto più aerodinamico. Tutti i personaggi erano molto più fighi. I primi sembravano dover scegliere quel look alla Fleischer Superman. Ma ora mi piacciono davvero. Penso che abbiano molte buone storie. Ce n’è una in quella seconda serie che hanno fatto quando facevano le Avventure di Batman & Robin, o come si chiama. Un altro dello Spaventapasseri, in cui muore Batgirl. È uno dei migliori episodi di sempre.

E’ molto cupo.

Sì. [Ride.] Lo so. È il motivo per cui io dicevo “Mi piace!” Quella è stata una grossa influenza. Quando Bob Schreck ha iniziato a lavorare nel Bat-ufficio, gli avevo parlato di fare qualche cosa, perché avevo lavorato con Bob in Dark Horse. Poi lui mi ha detto che aveva trovato lavoro al Bat-ufficio e stava cercando di offrirmi una serie su Batman, e io: “Bene, posso fare la serie animata di Batman invece?” [Ride.] Pensando che fosse il miglior lavoro che si potesse avere. Fortunatamente per me, dal punto di vista della carriera, quel lavoro venne preso da qualcun altro, e quella è stata la loro punizione. Ho finito con il fare un numero quando c’era qualche tappabuchi. Dovevo scrivere un numero della serie animata di Batman.

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Com’è stato il processo di collaborazione in Gotham Central? Ormai l’hai fatto per un paio di altri fumetti. Com’è stato diviso il lavoro, e cosa pensi apporti alla storia avere due scrittori?

Be’, è diverso con ogni scrittore con cui lo fai. Questo è il problema del co-writing. A volte significa semplicemente essere un editor in più. A volte vuol dire fare più di metà del lavoro. Altre volte ancora va tutto piuttosto liscio, è facile, dividi equamente. Io e Greg [Rucka], abbiamo concepito Gotham Central come un libro che potessimo condividere senza calpestarci i piedi l’un l’altro o senza doverci controllare a vicenda o far sì che ognuno leggesse la sceneggiatura altrui. Perché a volte leggere la sceneggiatura di un altro scrittore di fumetti è più difficile che semplicemente scrivere la tua sceneggiatura, perché è un lavoro. [Ride.] Pagano gli editor per farlo. Non è sempre divertente leggere la sceneggiatura di un fumetto. È molto più divertente leggere i fumetti una volta che sono stati disegnati.

Per cui io e Greg abbiamo voluto fare un libro che permettesse di riunirsi una volta all’anno e dividersi il lavoro e fare una bella storia, fondamentalmente, come da Homicide [Life On The Street], in cui ci sarebbe stato il big moment. E in mezzo, ognuno avrebbe fatto un arco con un focus su… Lui avrebbe fatto i turni di notte e io i turni di giorno, o viceversa. È così che l’abbiamo gestito. Abbiamo deciso di dividere il libro in turni. Perché c’era questo bell’episodio di Homicide che mostrava cosa succedeva nella squadra omicidi quando i nostri personaggi principali non erano là. Di fatto condividevano le scrivanie con le persone che erano sugli altri turni. Per cui l’abbiamo preso a modello per sviluppare MCU, che avrebbe avuto i turni di polizia di 24-ore. Per cui l’abbiamo diviso e abbiamo preso il primo e il secondo turno, ed è stato facile per me e Greg. Credo che sia causa di come siamo partiti, di come entrambi abbiamo iniziato a scrivere fumetti di supereroi nel Bat-ufficio. Io ero un po’ indietro rispetto a lui, ma entrambi venivamo da una specie di prospettiva di vera lotta al crimine. Lui era già uno scrittore di gialli, mentre io avevo fatto alcuni gialli legati al crimine ed è a quelli che ho effettivamente avvicinato la mia narrazione. A quel punto la stavo concependo come un poliziesco. Stavamo lavorando sulla bozza per questo episodio di Batman chiamato“Officer Down”, in cui Jim Gordon veniva colpito da uno sparo e andava in pensione. Era un episodio di uno o due mesi e io e Greg eravamo incaricati di scrivere il trattamento dopo esserci tutti seduti nella stanza. Penso di esserci arrivato tardi, ma in qualche modo ero costretto a essere la persona che… io e Greg discutevamo le idee, e abbiamo lavorato fondamentalmente alla spina dorsale della storia, così tutti gli altri sapevano cosa scrivere nelle proprie parti. E quando stavamo lavorando alla parte in cui [il detective di polizia Crispus] Allen e [Renee] Montoya camminano in questa scena del crimine dove Gordon viene colpito, abbiamo capito quanto sarebbe stato figo se avessimo fatto un fumetto così ogni mese. Sempre con una scena del crimine in cui il Joker passava e uccideva un gruppo di bambini. Vedere l’orrore dalla prospettiva che… non la vedi dal punto di vista di Batman. Queste persone fanno questo ogni giorno al punto che diventa il solito tran tran. E quanto devono arrabbiarsi e sentirsi impotenti nel non poter catturare queste persone, ma sapendo che Batman lo farà. E la metà delle volte, non vengono condannati, perché Batman li ha fermati. Cose così. Sembrava proprio un fumetto necessario. Fondamentalmente, abbiamo trascorso un paio d’anni cercando di far sì che la DC ce lo lasciasse fare. E quando li abbiamo convinti è uscito Powers ed è diventato questo grande successo. Per cui avevamo un esempio da seguire, tipo “Guarda! Qualcuno lo sta già facendo ed è un successo! Stiamo perdendo il treno, qui.” Per cui è più o meno così che è nato. Ma io e Greg scrivevamo davvero facilmente. L’ho portato ad aiutarmi su un arco di Daredevil solo perché pensavo che sarebbe stato divertente far riunire la banda. Perché avevamo Stefano [Gaudiano], Michael [Lark] e Matt Hollingsworth. Per cui ho pensato, “Okay, lasciatemi fare, che so, un legal thriller.” Perché Matt Murdock è un avvocato. Facciamo che “Matt Murdock debba salvare qualcuno dall’impiccagione.” Per cui ci siamo sentiti, ed è stato come per Gotham Central. Siamo entrati sapendo quali pezzi grossi dovevamo colpire e dovevamo solo sapere: “Okay, bene, cosa succede in questo numero?” Siamo stati al telefono per un’ora, e alla fine della telefonata avevamo risolto la maggior parte dei pezzi, e poi abbiamo stabilito chi avrebbe fatto cosa. È più o meno così che è sempre andata.

Una Scena Da Gotham Central, disegni di Michael Lark

Una Scena da Gotham Central, disegni di Michael Lark

Con Gotham Central, abbiamo preso le scene dei nostri personaggi, ma abbiamo cercato di assicurarci che ognuno di noi stesse facendo esattamente metà del numero. O se io facevo una pagina in più su un numero, lui ne faceva una in più nel successivo. Era sempre molto ben equilibrato. Per cui era veramente, veramente facile. Collaborare con Matt [Fraction] per [The Immortal Iron Fist] è stato piuttosto simile a come lavoravamo con Greg, all’inizio. Iron Fist era un libro che volevo davvero scrivere. E la Marvel non me lo avrebbe fatto fare perché avevo troppe cose da seguire, per cui mi dissero che se volevo farlo, avrei dovuto portare un co-writer. Matt stava appena entrando in Marvel, e ho pensato, “Bene, allora lo farò con Matt.” Perché lui stava facendo Punisher, e so che stava cercando di fare più fumetti, ed eravamo già amici. Sembrava che avesse la giusta sensibilità, per cui gli ho chiesto se voleva farlo, e lui voleva. Io avevo già concepito dei pezzi del primo arco di Iron Fist e Matt aveva molte idee su queste donne che sarebbero diventate gru, e questi criminali che volevano treni a levitazione magnetica, e tutte queste cose che sono finite con il diventare una storia di tre archi narrativi. Per cui ci siamo piuttosto integrati.

Volevo fare una storia sul ragazzo che era stato Iron Fist prima di Danny Rand. Questa era la cosa che mi aveva sempre dato fastidio di Iron Fist. Il pensiero che Danny Rand fosse il solo, in qualche modo. Loro avevano già questo costume, e questa leggenda di questa persona che sarebbe l’Immortale Pugno D’Acciaio. Per cui io: “Bene, questi ragazzi hanno tutti un migliaio d’anni, e hanno questo costume da Immortale Pugno D’Acciaio. Ci devono essere stati dei precedenti Iron Fist.” Era il mio pensiero principale. “Okay, bene, dobbiamo fare una storia sul precedente Iron Fist, che, viene fuori, non è effettivamente morto.” Così io e Matt abbiamo tracciato i primi sei numeri da vicino. E il primo numero l’abbiamo diviso piuttosto equamente. Una volta finito, fatto il lettering e tutto, abbiamo ripulito quest’ultimo, perché avevamo scritto troppo. Penso stessimo cercando entrambi di assicurarci che fosse… dovresti vedere la versione non-pubblicata e paragonarla a quella pubblicata. Abbiamo commesso alcuni degli errori che possono capitare collaborando, quando incidentalmente si scrivono cose simili. Ma per la maggior parte, è andato piuttosto liscio. E dopo il primo arco, e anche verso la fine del primo arco, la Marvel mi stava veramente spingendo ad allontanarmi, e Matt non aveva davvero molto bisogno di me. Per cui io collaboravo alla trama e poi prendevo certe stagioni per scrivere e riscrivere. E per tutto il numero 14, e da quel punto in poi, Matt scriveva sempre la prima bozza e poi io subentravo per modificare o riscrivere qualche scena. Alcune cose, le prendevo solo. E quando è nato il primo figlio di Matt, abbiamo diviso le scene di un numero, e ne abbiamo scritto metà per uno, e poi io ho un po’ ripulito il tutto per far incastrare perfettamente i pezzi. Perché è questo il problema del co-writing: quando spezzi le scene, quando le rimetti insieme… come con me e Greg, buttavamo una cosa, e poi avevamo la bozza pezzo per pezzo, e poi facevamo quasi a gara per vedere chi finiva prima la sua metà. E se eri quello che finiva per ultimo, eri tu a dover far quadrare la transizione fra le scene. [Ride.] Per cui chiunque finisse ultimo doveva fare il clean-up.

L'Iron Fist di Brubaker e Fraction, disegni di David Aja

L’Iron Fist di Brubaker e Fraction, disegni di David Aja

Credo che il numero di Iron Fist di cui sono più orgoglioso sia quello con cui non ho avuto nulla a che fare. Era l’ultimo numero di Matt e l’ultimo numero di [David] Aja. Era il numero finale. Quello che finisce con il compleanno di Danny. Adoro quel numero. Era tutto quello che avevo sempre voluto che Iron Fist fosse, e non dovevo fare altro che leggere la sceneggiatura e dire: “Hey, bel lavoro!”. Era una cosa strana, perché ero sempre preoccupato che Matt sentisse come se la gente mi desse troppo credito, ma allo stesso tempo, mi sentivo tipo: “Bene, voglio un po’ di merito.” Perché lavoravo sulle cose. Questo può essere un problema con il co-writing. Ero un nome, all’epoca, molto più conosciuto di Matt. E i critici mi avrebbero dato il merito di qualcosa che aveva scritto lui. Quello che era strano era che, lavorando con qualcuno come Matt, che ha davvero un ottimo senso dell’umorismo, e scriveva dialoghi davvero originali a volte, tirava fuori anche quella parte di te quando lavoravi con lui. Così c’erano specifiche linee di dialogo di cui ricordo che leggevo critiche in cui qualcuno diceva: “C’è una linea di frattura nel dialogo” e io: “L’ho scritto io!” [Ride.] Per cui è piuttosto divertente. Sì, il co-writing è davvero un miscuglio. A volte è molto divertente. E a volte scrivere con un altro scrittore, qualcuno come Matt, soprattutto… avevo un paio di idee su come volevo che fossero i primi Iron Fist quando abbiamo iniziato, ma penso sia diventato molto più eccitante e cinetico per l’energia portata da Matt. E Matt stava ancora imparando—penso che allora avesse scritto due o tre numeri di Punisher—stava ancora imparando le costrizioni dei fumetti Marvel da 22 pagine al mese, e quanto puoi fare o non fare. Per cui cercava di strafare, e molto di quello che facevo io era tagliare qua o tagliare là, ma per questo motivo quei fumetti secondo me hanno un diverso tipo di energia rispetto a molte delle cose che si trovano in giro. Ed entrambi amavamo davvero l’idea di questo precedente Iron Fist, che poi ci ha permesso di portare un nuovo universo di personaggi pulp. Le nostre sensibilità sono davvero allineate su un sacco di cose. È come essere in un’aula di scrittura a volte. Quando co-scrivi, può sembrare una scocciatura, ma a volte semplicemente rende la storia migliore. Come avere un buon editor. A volte ti inceppi e chiami il tuo editor e gli dici su cosa sei inceppato, si discutono le cose. Anche se non ti dà l’idea, il parlarne è come se la facesse scaturire. È come House e Wilson. Wilson aiuta sempre House: che lo voglia o no. [Ride.]

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Il Criminal: The Last Of The Innocent va verso una nuova meta-direzione. Cosa ti ha spinto a portare questi parallelismi alla Archie?

Bè, è più che Archie. Proverò ad andare oltre. Ma c’è una specie di analogia. Penso che parte di esso sia che con Incognito avevo fatto un sacco di piccoli accenni a diversi elementi dei fumetti, alla storia del fumetto e al fumetto pulp e mi piaceva proprio stratificare le scene con riferimenti extra, dandole due o tre diversi significati, così che quando leggi pensi: “Oh, aspetta. Sta effettivamente dicendo che sa di essere in un fumetto” o “è un accenno a Grant Morrison? O Alan Moore?”. Mi piace riuscire a creare qualcosa che possa essere interpretato in molti modi diversi. Sono cresciuto leggendo Richie Rich e Little Lulu e Archie e Binky Brown e Swing With Scooter. Tutti questi fumetti per ragazzi…davvero. E quando ricordo la mia giovinezza, ripenso molto a quei fumetti. Come gli speciali natalizi di Rankin-Basse dei Peanuts. Sono ricordi nostalgici. I cartoni e tutto il resto. Mio padre è stato su un letto di morte la maggior parte dell’ultimo anno e io sono stato a crogiolarmi in quella nostalgia infantile per un bel po’. E poi questa storia è come se mi fosse apparsa. Tipo: e se facessi una storia su questi personaggi a partire dal presupposto, analoga versione di un fumetto per ragazzi, che siano tutti cresciuti? Ma sono cresciuti fuori di testa, perché sono cresciuti esattamente come le peggiori paure del Dr. [Fredric] Wertham su cosa diventerebbero i ragazzi che leggono fumetti. Portava con sé un sacco di livelli diversi. E tutto questo è davvero solo l’apparenza della storia, in molti modi. Per me, è una storia molto personale sulla memoria e il modo in cui vediamo il nostro passato. Idealizzare diversi periodi del passato, pensando che fossero molto meglio di quelli che viviamo al momento…Concordo che gli anni ’70 e ’80 fossero meglio di quello che stiamo vivendo ora, ma mentre li vivevamo non sembravano quelli migliori. [Ride.] Quindi volevo fare in un giallo qualcosa che si avvicinasse alla nostalgia. Una crime story sulla nostalgia, invece che sul sesso o sull’avidità, ecc. Ci sono sempre il sesso, l’avidità e l’omicidio, ma la forza che li guida è anche questa sensazione di essere incasinato e desiderare di poter tornare indietro per rifare tutto. E volevo davvero fare un fumetto che non sembrasse un adattamento per un film. Ho scritto fumetti che sono stati opzionati da Hollywood, ho fatto sceneggiature e vedo uscire molti fumetti che mi sembrano solo adattamenti per film. Volevo fare qualcosa che funzionasse solo come fumetto, che utilizzasse il linguaggio dei fumetti. È da lì che sono derivati le lamentele di Seduction Of The Innocent del Dr. Wertham e i flashback disegnati nello stile dei fumetti per ragazzi anni ’60 o ’70. Volevo davvero che questi fattori ne fossero una parte. Se conosci queste cose, allora i personaggi possono essere visti con significati extra anche se sono solo parti del mio proprio essere e della mia propria storia. Volevo fare qualcosa di veramente ambizioso. Volevo davvero che fosse qualcosa che funzionasse al meglio solo come fumetto. È come Watchmen. Alan Moore ha sempre detto che non si sarebbe dovuto fare un film di Watchmen, perché le cose più interessanti di Watchmen sono quelle che hanno senso solo in funzione del fatto che si tratta di un fumetto. Il modo in cui è strutturato, il modo in cui sono narrate le storie, il modo in cui parlano i personaggi, le cose che fanno. Queste cose funzionano perché è come se allo stesso tempo si stesse commentando il fumetto. Volevo approcciare qualcosa in quel modo, perciò era davvero importante che fosse un fumetto. E credo di aver raggiunto l’obiettivo.

Particolare dei riferimenti ai fumetti per ragazzi in Criminal: The Last Of The Innocent

Particolare dei riferimenti ai fumetti per ragazzi in Criminal: The Last Of The Innocent

In tema di film tratti da fumetti e sull’odierna connessione fra Hollywood e l’industria dei comic, pensi che l’influenza dei film possa in certi casi rallentare l’evoluzione del personaggio?

Hey, questa è una domanda davvero strana. [Ride.] Non credo. La cosa principale, penso, è che quando i film tratti dai fumetti sono fatti bene, in qualche modo attingono il meglio del fumetto. Ad esempio, Spider-Man 2 è il miglior film di Spider-Man, perché davvero vi si respira l’atmosfera dello Spider-Man della fine degli anni ’60, inizio ’70. Se ne trovano spizzichi e bocconi qua e là. Si vede. Penso che quelli che sono fatti bene diventino una cosa a sé. The Dark Knight sembra raccogliere diverse cose uscite durante gli anni nei fumetti di Batman. Ma alla fine sembra una storia a sé. Chiunque può guardarlo senza sapere niente dei fumetti. Non ho mai percepito nessun tipo di pressione… non ero alla DC quando uscì Batman Begins. Non ho mai lavorato per un personaggio di cui stava per uscire il film fino a Capitan America, e non ho mai sentito nessuna pressione di doverlo fare come il film. So dalle persone che hanno lavorato al film o visto il film, che il tono che ho dato alla serie fosse una delle cose che era veramente piaciuta e che stavano cercando di trasmettere. Non credo ci sia niente nel film che effettivamente rifletta quello che ho fatto nel fumetto, ma il tono è qualcosa che hanno cercato di riprodurre.

Il motivo per cui stiamo cercando di far ridiventare Steve Capitan America e avere un nuovo numero No. 1 quando uscirà il film è che saremmo stupidi se non lo facessimo. [Ride.] Steve sarebbe comunque ridiventato Capitan America, ma io potevo andare con calma, perché avevo ancora più storie da raccontare con Bucky come Capitan America. Ma non ho mai pianificato di non far ridiventare Steve Capitan America. È sempre stato scritto. Era una specie di cosa concordata che succedesse entro l’uscita del film, così che ci fosse sulle bancarelle un Capitan America che i milioni di persone uscite dal cinema potessero voler conoscere: “Mi chiedo cosa sta succedendo nei fumetti di Capitan America!”. E volevo assicurarmi che il fumetto fosse qualcosa tipo, “Oh, okay. Questo è figo. Questo non sembra del tutto diverso.”

Se il film avesse mostrato qualcosa di completamente estraneo a quello che stavamo facendo nel fumetto, avremmo potuto avere dei problemi. Ma no, secondo me l’industria del fumetto non sta necessariamente cercando di cambiare quello che fa solo per attrarre il mercato cinematografico, o per agguantare parte dell’audience del film e consegnarle buoni fumetti su quel personaggio. Voglio dire, l’oggetto di Thor che sembrava essere il più venduto legato al film Thor era il grosso volume di Walt Simonson. Grazie al cielo costa qualcosa come $75. Ma era il libro che vedevo ovunque. Vedevo i volumi di Thor nelle librerie, dappertutto. Come se fosse diventato “il libro”. E si tratta di una cosa di 20, 30 anni fa. Non vedo i film tratti dai fumetti necessariamente come un problema. È ottimo se sono dei bei film, ma si spera che siano qualcosa che porti nuovo pubblico ai fumetti. Voglio dire, dopo l’uscita dei film su Spider-Man, Walmart [catena di negozi al dettaglio amricana NTD] ha tenuto per molto tempo i tascabili di Ultimate Spider-Man e li vendeva a ragazzi che non erano mai entrati in una fumetteria. Ho visto bambini all’aeroporto leggere Ultimate Spider-Man per un po’ di anni dopo l’uscita di quei film su Spider-Man. Per cui il loro potenziale è enorme.

brub

Una risposta a “Intervista a Ed Brubaker

  1. Bellissima intervista.
    Grazie per aver tradotto e cindiviso 😉