L’incal di Jodorowsky e Moebius

di Conte Zarganenko

E’ con vibrante piacere che inizio la mia collaborazione con Conversazioni sul Fumetto. Non ho ritenuto opportuno appesantire questo esordio con un’autopresentazione, ma chi proprio avesse voglia e tempo di conoscere come sono giunto a scrivere di fumetti può leggere questa brevissima premessa.

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La mia prima “conversazione” sarà un omaggio al fumetto che mi ha fatto innamorare del medium in questione, opera che considero uno dei capolavori del Novecento, in tutte le arti e in tutte le forme: L’Incal di Moebius e Jodorowsky.

Ora, affermare su un sito di conversazioni sul fumetto che L’Incal è un capolavoro fa un pò lo stesso effetto di scrivere su un sito di conversazioni sulla scultura che Canova era bravo! Vediamo dunque di scoprire qualche lato, meno illuminato, del diamante che abbiamo tutti sotto gli occhi.

La prima, naturale considerazione è contemplare L’Incal come il frutto dell’incontro di due grandi personalità speculari e complementari, incontro che ha conferito all’opera il suo paradossale equilibrio formale degno d’un classico.
Certo. Ma, secondo me, il discorso va approfondito. Perché ciascuno dei due autori giunge all’incontro avendo già risvegliato, e riconciliato, il proprio Doppio.

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Parlando di Moebius, appare quasi superfluo esplorare il tema, essendo l’autore che, dopo Artaud, più ha collegato, letteralmente, il suo nome al concetto stesso di Doppio. Al culmine della sua imperdibile autobiografia (non a caso intitolata Il mio doppio io) egli stesso dichiara:

“Tutta la mia vita è sotto il segno del doppio. Dello sdoppiamento di me stesso”.

Più che insistere sul gioco, mille volte esplicitato e analizzato, delle personalità Giraud-Moebius, vorrei soffermarmi sul significato del secondo e più celebre nome che come ogni vero elemento simbolico nasconde e rivela l’essenza di ciò che intende rappresentare.

Aver scelto il nome Moebius, non solo di per sé dichiara la dissoluzione dell’illusoria separazione del Doppio in una tensione infinita all’Uno, ma colloca l’intera produzione sigillata da quel nome in una “eterna ghirlanda brillante” (per citare un testo quanto mai pertinente), al di là dello spazio e del tempo. Ne è teatro l’Infinito, ne è ritmo l’eterno ritorno.

Meno immediato e per ciò, più complesso, il discorso su Jodorowsky, che è giunto a L’Incal raccogliendo i cocci della sua opera totale mancata, il famoso progetto maledetto Dune (sappiamo che non fu certo soddisfatto del tentativo, altrettanto tormentato, di Lynch dieci anni dopo). Dico subito chiaramente che a me il personaggio non piace, come non mi piace il suo minestrone, facile e pericoloso, di varie tradizioni spirituali, mischiate per poi venderle come una pietanza originale (e, per il sottoscritto, indigesta fino all’avvelenamento).

La sua carriera d’autore fumettistico è, però, indubbiamente importante.

Dico questo non per influenzare il lettore, ma al contrario per dichiarare onestamente il mio punto di vista e tendere ora ad essere oggettivo.Per me, come e più di Castaneda, Jodorowsky è un autentico scrittore nella misura in cui non è un autentico maestro spirituale. La mistificazione, che è veleno nell’insegnamento spirituale, diventa sale della creazione letteraria. Paradossalmente, tutto ciò che inquina il percorso mistico da lui delineato arricchisce le sue opere creative. Le sue innegabili doti affabulatorie, marchio di fabbrica dei falsi guru, si tramutano in abile sapienza narrativa, dono dei grandi scrittori. La mescolanza arbitraria degli archetipi, che appesta i campi della conoscenza interiore, è l’humus magico dal quale sbocciano le mirabili visioni moebiusiane. Anch’egli è dunque arrivato a L’Incal al massimo potenziale della sua doppia personalità creativa, quella cialtronesca dello stregone surreale e quella affascinante del cantastorie vulcanico, castrato dal capolavoro abortito.

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Siamo dunque davanti a un Tao creativo al quadrato, a una fusione alchemica raddoppiata, all’incrocio compiuto di due chiasmi. Del resto l’intera opera rappresenta il perenne tentativo, la quest rocambolesca e interminabile per ricomporre un equilibrio primordiale. Ed è ciò che è riuscito ai due autori: la meravigliosa precisione geometrica dello sguardo di Moebius ha incanalato i deliri psicomagici di Jodorowsky in una narrazione archetipica universale.

Quello che ad esempio nel film La Montagna Sacra tracimava in una ipertrofia simbolica disturbante, qui è orchestrato dalla suprema grazia grafica del maestro francese in una grandiosa giostra alchemica in cui tutto è al posto giusto e non potrebbe essere altrimenti. Ma c’è anche un altro segreto ne L’Incal che ne spiega l’universale significato e come Poe insegna: non c’è niente di meglio per nascondere qualcosa che lasciarlo sotto gli occhi di tutti.

L’Incal è un significante universale, intuitivo e riconoscibile da tutti, perché anche qui Jodorowsky ha, per il sottoscritto, giocato magistralmente sporco, propinandoci la scoperta dell’uovo di Colombo per la magniloquente realizzazione dell’Uovo Alchemico. L’Incal è un simbolo potentissimo perché semplicemente, letteralmente è un simbolo, nell’accezione originaria (“sumbolon”: l’unità ricomposta di due parti uguali di una tessera o di una medaglia in precedenza spezzate). Anche qui il confine tra lo splendore del genio e l’inganno del trickster sta al discernimento del lettore stabilirlo. Eppure, per la stessa dinamica di geniale semplicità, in questa babele psichedelico- iniziatica ritroviamo disseminati numerosi topoi che sono poi diventati sintassi del linguaggio corrente in tanti blockbuster di fantascienza o nei cosiddetti “thriller metafisici”.

Parallel20bigTorno ancora a una delle mie citazioni preferite (e meno note) di Baudelaire:

“Creare luogo comune è genio”

Dall’intuizione del genio nasce lo stereotipo mainstream.

L’Incal è probabilmente (grazie non solo al genio di Moebius ma anche alle virtù intrinseche del medium-fumetto come “arte invisibile” illustrate da Scott McCloud) quello che “Dune” non sarebbe mai potuto diventare: enciclopedia postmoderna, trattato filosofico, parodia e superamento dei generi, suprema visione distopica, grandioso affresco iniziatico, riflessione sociologica, romanzo picaresco…il tutto immerso in un magma esoterico ribollente, col risultato di divenire intrattenimento adrenalinico allo stato puro.

Il grande caleidoscopio jodorowskiano, calibrato dal compasso di Moebius, mescola e moltiplica: conversioni dostoevskiane (il Meta-Barone, indimenticabile Innominato post-moderno), giullari shakespeariani, colpi di scena da morale fiabesca, speculari incarnazioni d’eros e thanatos, crudeli femme fatale alla Zelda Fitzgerald che convivono con iperuranici saggi dall’aspetto socratico, discese infernali e redenzioni dantesche, Oltre-uomini eletti e masse di inutili mediocri, in un vortice ininterrotto di climax ulteriori.

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Sono innumerevoli le feconde antinomie, gli illuminanti paradossi che costellano la narrazione, e su ognuno di essi si potrebbe scrivere una tesi di laurea: l’anamnesi platonica e il concetto d’ombra junghiana; l’amor cortese come codice di vita e il sesso mercenario eretto a istituzione; la vendetta dei vili e il tradimento degli eroi; la Gnosi e il qualunquismo; il Tao e il Bafometto; la perfezione dell’Androgino e lo squallore del conformismo; l’arroganza deforme del Potere e l’inebetimento di massa…
E al centro di questo lisergico Kurukshetra, di questo eterno campo di battaglia fra Bene e Male troviamo l’anti-eroe definitivo: John Difool. E’ già nel nome che continua l’esoterico doppio gioco dei doppi: “John”, nome da profeta divenuto nei secoli appellativo d’uomo qualsiasi, “Difool”, cioè “The Fool”, “lo sciocco, lo stupido” storpiato nel gergo sudamericano, che però in Shakespeare è la figura a cui è delegata la rivelazione della Verità, attraverso il sovvertimento degli schemi. Ma soprattutto è la carta più potente e cruciale dei Tarocchi, che l’occultista Jodorowsky conosce molto bene. Un’everyman chooser costretto dalla grazia beffarda del karma a divenire Sakshi, il Testimone illuminato del Gioco Divino, custode nel suo inconscio della visione ultima, e ricatapultato nel Samsara, nell’eterno ciclo delle nascite e delle morti, essendo però stato visitato dall’eterno, con la consapevolezza di T.S. Eliot alla fine dei Quattro Quartetti. Non solo che nella fine è l’inizio, ma soprattutto che:

Noi non cesseremo mai di esplorare / e la fine di tutto il nostro esplorare / sarà giungere dove siamo partiti / e conoscere il posto per la prima volta.

Tutto L’Incal è un immenso, interminabile, inesplorabile nastro di Moebius.

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11 risposte a “L’incal di Jodorowsky e Moebius

  1. Bello questo approccio “alto” al fumetto. Finalmente trattato come la nona arte che dovrebbe essere.
    Forse molti lettori del fiumetto non arriveranno nemmeno alla quarta riga, se questo succede sei davvero sulla strada giusta! Perciò continua, la cultura è missione, spesso impossibile…

  2. beh, se mi citi anche Eliot dei Quattro Quartetti, la stima non può che essere totale! 🙂
    Grande articolo, bravo!
    EM

  3. Grazie a entrambi per l’apprezzamento e l’incoraggiamento. Confido che, nonostante la difficoltà della “missione” (della quale spero d’essere all’altezza), troverò su queste pagine altri lettori sensibili come voi;)

  4. Ottima recensione davvero. Non facile (soprattuto se non si è letta nuora l’opera in questione) e senza spoiler!
    Mi procurerò il volume di sicuro!

  5. Nuora= ancora.
    Maledetto auto-correct.

  6. “Forse molti lettori del fiumetto non arriveranno nemmeno alla quarta riga, se questo succede sei davvero sulla strada giusta!”

    La tua spocchia è peggiore e più pericolosa (e ridicola) della presunta, o vera che sia, ignoranza dei lettori di “fiumetti”.

  7. Io amo la mia pericolosa spocchia, caro Peppino… certo che sei proprio sul pezzo. Buon natale 2013.

  8. veramente un bellissimo articolo!
    oggi ho riletto inkal dopo anni, è davvero un eterno capolavoro

  9. ho appena finito di leggerlo! me ne vergogno immensamente e fino a due settimane fa non conoscevo Moebius, ma ora sembra che abbia trovato il fumetto che aspettavo da sempre, me ne sono innamorato

  10. io adoro il doppio anche io come fosse uno