L’esigenza del racconto: ABC di Ausonia.

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Chiudo gli occhi e il pulviscolo che ricopre i disegni di Ausonia mi sembra sia penetrato al di là delle mie palpebre, impossessandosi delle mie immagini ipnagogiche. Mi addormento con un leggero senso di malessere. Ho chiuso il libro dopo il primo capitolo. «Lo riprendo domani», mi dico.

Questo potrebbe essere l’incipit del pezzo in cui dovrei parlare di ABC, l’ultimo lavoro di Francesco Ciampi, in arte Ausonia, ma decido di prendere un’altra strada: meno lirica e più meditata.

Il progetto di ABC, a detta dello stesso Ausonia, risale al 2004 ed ha visto la luce solo recentemente a causa della mancanza in primis della carta su cui Ausonia ha disegnato l’intera vicenda [1] e di un vissuto che è andato ad incidere sullo sviluppo della storia. Ne è venuto fuori un romanzo di oltre 250 pagine, disegnato con un tratto scarnificato, ma non per questo elementare. La vicenda è molto semplice e illustrata in maniera più che sufficiente dalla quarta di copertina:« Gli A sono i vivi, i B sono i mezzi-morti, i C sono i morti. Laura vive in campagna e ha solo 19 anni, ma li conosce già tutti e tre…L’amore e il passaggio all’età adulta, il lutto e il significato della perdita..etc etc »

Quando mesi fa vidi alcune immagini e, soprattutto, la copertina (troppo bucolicha e pulita per ricordarmi l’immaginario di Ausonia) pensai che l’esser approdato a Coconino Press/Fandango lo avesse in un certo qual modo costretto a ripensarsi, o – forse meglio – a pensare a qualcosa che avesse una trasversalità tale da conquistare una migliore visibilità/vendibilità. È un’ipotesi che vacilla nel momento in cui sono venuto a conoscenza che ABC precede tutto quello che ho letto di Ausonia (non molto a dir la verità).

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Eppure, c’è qualcosa che rende ABC diverso dalle altre opere di Ausonia. Gode di una fruibilità immediata, forse grazie alla “facilità” del tema, alla possibilità insita nella storia di sfruttare l’empatia: di catturare il lettore e condurlo, attraverso intermezzi e micro-narrazioni, verso la risoluzione. Appunto, la risoluzione. Il fumetto di Ausonia sembra ad un certo punto perdere compattezza e cedere troppo facilmente alla pagina bianca: una frase dal sapore diaristico (un po’ troppo infantile nel voler chiudere il cerchio, ma Laura ha “solo” 19 anni), un’immagine che sembra venire fuori da qualche vecchio libro di favole, dove il lupo è stato già ucciso dal cacciatore, e poi le pagine bianche – una, due, tre, quattro…titoli di coda.

In un’intervista rilasciata a Garage Ermetico, Ausonia ha detto che il finale era già là dal 2004, così come l’ambientazione. Eppure, ABC era lì, chiuso in un cassetto, pronto per essere portato a termine, ma nel contempo ostinatamente incompleto. Nel frattempo, Ausonia era impegnato a scandagliare per l’ennesima volta – ma molto probabilmente mosso da un’esigenza più personale, che estetica, nel caso possano essere distinti i due ambiti – i limiti del medium fumetto nella trilogia di Interni. Ausonia abituava  il lettore alla fragilità della quarta parete e a convivere con l’ingombrante presenza dell’autore. Ricalcando in questo, un luogo abusatissimo, ma nel contempo portando al limite il suo personale rapporto con la narrazione.

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L’editor mentale di Interni

C’è anche da evidenziare che nonostante l’autore sia apparentemente invisibile in quest’opera, la sua presenza è anche più pervasiva, infiltrandosi in ogni piega:  è l’attore che recita dietro tutti i personaggi, Laura compresa. Infatti, il pittore che Laura incontra il 24 aprile 2005 altro non è che un suo ennesimo alter ego. Allora, per capire ABC, di come e perché nasca  l’esigenza di raccontare, un buon punto di vista sta proprio in questo incontro.

Per dissipare l’indissipabile domanda di Laura sulla natura ultima della morte, il pittore le racconta di un suo simile instancabile e compulsivo, posseduto dal demone dell’insoddisfazione, perché incapace di pensare ad un confine positivo che potesse limitare il suo lavoro [2]. È una semplice metafora per dire che ciò che trattiene è ciò che da forma e, in un certo senso, protegge, ma è anche e soprattutto ciò che permette di com-prendere qualcosa, appunto chiudendolo il più delle volte in un concetto, che non basta, ma aiuta a vivere meglio. Si tratta di una forma di consolazione e di “salvezza” [3].

Parlavamo, appunto, di confine. La pagina bianca è il «limite» del fumetto di Ausonia. Limite è qui da intendere in un duplice significato: come mancanza e come confine. Il fumetto manca di una vera e propria fine, senza dubbio Laura si libera del peso della colpa, ma il tutto sfuma gradatamente, come chi non abbia più nulla da dire. La sensazione è quella di un brano che non potendo trovare una sua degna risoluzione si spenga ad libitum. Allora, proprio quel limite che dovrebbe definire l’opera sembra mancare e, paradossalmente, sembra sopraggiungere quasi per caso, perché cade l’esigenza del racconto, o forse sarebbe più esatto dire la necessità della menzogna.

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Quello di più evidente è la capacità, al di là dell’invenzione generale su cui si basa il romanzo di narrare la quotidianità come spazio medio entro cui le narrazioni si danno. Il quotidiano, allora, è pensato come il luogo entro cui il notevole appare sotto forma di racconto. La volontà e la capacità di raccontare e raccontarsi storie diviene l’unica via per dare senso al tempo [4].

Non a caso uno dei tratti caratteristici di ABC è l’oscillazione continua tra splash page ricolme di dettagli, pur nel loro voler vestirsi di un senso di provvisorietà mostrandosi come bozzetti e affidandosi solo alla grafite, e lo stringersi asfissiante della cella intorno ai personaggi quando il racconto si sofferma su di essi. Le vignette si legano l’una all’altra, come se lo spazio bianco non dovesse infiltrarsi, come se il tempo del racconto dovesse essere concentratissimo. Eppure è in quei dialoghi a volte sofferti, talvolta rubati o lasciati così sospesi (con un non-so-che di stucchevole e zuccheroso nel loro diventare apologhi e squarci veritativi) risiede la possibilità di riscatto di ABC, la cui più grande colpa è quella di concedere troppo spazio all’ovvio. II leggero senso di insoddisfazione che potrebbe derivare dalla lettura di ABC è dovuto a questa presenza ingombrante di un verità ovvia, comune e silenziosamente accettata, che viene ripetuta con un po’ troppa enfasi cercando un  μέλος, che oscilla tra il sincero e il caramelloso.

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E allora, quello che mi è sembrato percepire dietro l’inconsistente storia di ABC è la stessa volontà dell’autore di mentirsi concludendo questa storia, colmandolo di aneddoti e di episodi che affollano e rendono viva l’astratto paesino in cui Laura si è auto-esiliata e in cui, prigioniera di se stessa, lavora come postina.

ABC è uno spazio ancora aperto, che potrebbe essere ripreso e colmato di storie, nonostante il compito di Laura sia stato ormai assolto o lo era da tempo, così  come il compito di Ausonia:

«Anche se siamo stanchi, non ci concediamo un attimo di tregua: tutti i fatti vengono convertiti in aneddoti, tutto ciò che succede trasformato in racconto. Il principale ostacolo tra noi e il mondo, anzi tra noi e noi stessi, è di ordine romanzesco» [5].

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[1] “Ho usato una carta che di per sé è sporca, quella che si vede nelle pagine non è una texture aggiunta ma è proprio una qualità di carta che ho usato e anche lì il processo è stato strano perché quando inizi a disegnare un fumetto che poi finirai 8 anni dopo sei sempre un po’ a rischio. Ad esempio la Fabriano aveva smesso di produrre quella carta, per cui io per due anni non riuscivo neanche a trovarla più in negozio, ho dovuto anche aspettare […] ed avevo bisogno di quella carta lì, proprio perché la mia idea era quella di lavorare su un materiale grezzo e soltanto con la grafite” (intervista ad Ausonia a Il Garage Ermetico, 13 Novembre 2012)

[2] Il racconto non è che una declinazione di temi già affrontati in Interni 3. Nello specifico in  – Tempi morti e contrattempi – una digressione decisamente metalinguistica, dove Ausonia riflette sulla sua incapacità al limite e sulla sua tendenza alla digressione e alla stratificazione dei piani narrativi. Paradossalmente, Ausonia sembra “dedurre” la sua tendenza alla diluizione e alla “piega” narrativa (barocca?) da un più concreta verosimiglianza alla vita. L’autore si  chiede: se la vita è fatta di digressione ed episodi fini a se stessi – contrattempi, appunto – perché la narrazione non può mimare questi scarti improvvisi? Forse, perché – provo a rispondere – il lettore è stanco delle digressioni e del vuoto narrativo della proprio esistenza e ne vuole un sintesi fulminea e avvincente. Il problema si ricollega al concetto di intrattenimento, che è sottesso ad Interni e alla vicenda di “liberazione” di Albert Gruenwald.

[3] Tutto ciò è stato pedantemente illustrato da Aus nella sequenza alle pgg. 332-60 di Interni Vol.3, che per comodità chiamerò la sequenza di Lucilla. Queste pagine di meta-fumetto in realtà non parlano di Interni, quanto di ABC – l’incompiuto – . Vi sono riferimenti biografici (che potremmo o dovremmo prendere per veri) che possono aiutarci a capirlo. Vi sono, anche, i timori e le idiosincrasie di Ciampi per le conclusioni. Paul Valèry scriveva che:« […] un’opera non è mai finita se non per qualche incidente, come la fatica, la soddisfazione, l’obbligo della pubblicazione o la morte, giacché un’opera, per quel che riguarda chi la fa, non è che uno stato o una serie di trasformazioni interiori». Lo stesso Valéry fu costretto a considerare concluso il suo Cimitière marin, perché Jasques Rivière lo volle sottraendolo dal lavoro continuo di limatura e correzione  destinandolo alla pubblicazione.

[4] « […] come ci spiega Maria Chiara Levorato, la descrizione che ognuno di noi fa del proprio vissuto è già di per sé un racconto:« Quando un parlante fornisce la sua versione di certi fatti e inizia il suo racconto con “dunque, le cose sono andate così…”, si appresta a dare una forma linguistica ad una costruzione mentale.». È qui che entra in gioco il pensiero narrativo di cui parla lo psicologo Jerome Bruner…etc etc» (in Ausonia, Interni, Vol.3, Double Shot, Carmignano 2010, p. 321). Sostanzialmente questa nota è inutile. Cito Ausonia che cita la Levorato e Bruner. Serviva un sovraccarico, un’ennesima digressione a latere della recensione. Così come la narrazione può sfuggire alla schiettezza e alla funzionalità dei meccanismi che ne dettano l’implacabile ritmo, che la rendono una macchina da fruizione, così la recensione può uscire fuori dal solco dell’apologetica e della stroncatura. Forse, è superfluo esplicitare in una nota tanto la sua inutilità quanto il fatto che la volontà che l’ha generata è quella di mostrare una sua celata possibilità. È superflua così come sono inutili le digressioni di Ausonia in Interni. Digressioni che ti sbattono in faccia l’ovvio, ma che a volte possono far male.

p.s. Nelle mie intenzioni avrei voluto continuare la nota con una parentesi confessionale, mossa da empatia verso alcune vicende narrate in Interni. Ma, non è questa una “recensione” su ABC? Pertanto, rimaniamo in tema. Anche io, ho – ahime – un editor mentale (oltre ad uno fisico, che risponde al nome di Andrea Queirolo).

[5] Finkielkraut, A., Un cuore intelligente, Adelphi, Milano 2011, p. 211.

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