Una cosa divertente che (forse) non farò mai più: AA.VV. – Law

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Partiamo da alcuni preconcetti. Non amo gli albi di formato e di concezione bonelliana (i cosiddetti “bonellidi”) che negli ultimi anni hanno, per lo più con scarso successo, affollato le edicole italiane. Ne ho comprati alcuni, ne ho evitati altri; la maggior parte perché, già ad una prima occhiata, erano così lontani dai miei gusti o evidentemente così poco professionali da non avere nulla che mi spingesse all’acquisto. Inoltre, trovavo e trovo la scelta di questo  formato, editoriale e “ideologico”, segno di carenza d’idee, asservimento alla logica del capo branco e, soprattutto, perdente in quanto a fare ottimi prodotti Bonelli c’è già, beh, la Bonelli, casa editrice la quale, oltre all’indiscussa esperienza nel settore, può vantare, a differenza di molti “emuli” (e le virgolette sono d’obbligo) delle redazioni preparate, strategie editoriali non sempre condivisibili ma chiare e riconoscibili e una diversa disponibilità economica che, se da un lato le permette di avere in scuderia alcuni dei migliori professionisti del settore, dall’altro le rende possibile sostenere con forza prodotti nuovi e mantenere nelle edicole pubblicazioni che stentano a decollare [1].

Di fronte a ciò, pensare ad una seria concorrenza, nella stessa fascia di mercato, sembra difficile. Per questa disparità di mezzi, di disponibilità economiche e, oltretutto, la riserva di un pubblico già fidelizzato, più che per la scelta di un formato editoriale (sarebbe come volersi rifiutare di leggere un albo americano solo perché pubblicato in formato comic book) ho sempre trovato i bonellidi poco attraenti. È possibile che abbia perso molte cose interessanti, ma credo che nella maggior parte dei casi il gioco non valga la candela, o la sperimentazione.

Se, infatti, non avessi avuto modo di conoscerne gli autori, non mi sarebbe venuto neanche lontanamente in mente di leggere Law, in parte per i motivi di cui ho parlato sopra, in parte perché i legal thriller non mi hanno mai appassionato. Trovo il genere, oggi come oggi, fin troppo abusato, specialmente in campo televisivo. Credevo, poi, che questo prodotto fosse figlio di intenzioni e calcoli un po’ruffiani, da un lato per il formato e la foliazioni scelti, dall’altro perché credevo (e credo, legittimamente) che cercasse, appunto, di cavalcare l’onda delle tante – troppe – serie televisive che si muovono nell’ambito dello stesso genere, da Perry Mason in poi. Un po’ gli stessi motivi per cui, prima di leggere un fantasy con un nerboruto barbaro in copertina, ritratto mentre estrae uno spadone insanguinato, devo avere proprio degli ottimi motivi o degli amici particolarmente fidati e che in seguito posso avere la certezza di perseguitare per il tempo eventualmente perso. Aggiungo, poi, per concludere questa lunga e un po’ infantile introduzione giustificatoria, che i disegni del primo numero, ad una prima occhiata esplorativa, mi avevano allontanato, per il debito evidente che la caratterizzazione dei personaggi ha nei confronti di alcuni noti attori cinematografici, come variamente sottolineato sul web e in una recente storiella di Davide La Rosa.

Law4tav5china lowresEppure, nonostante tutti questi pregiudizi, di per sé non del tutto peregrini, devo ammettere che mi sbagliavo. Vorrei dire, entusiasticamente, che mi sbagliavo su tutto ma non è così. La diffidenza, per esempio, verso la caratterizzazione cinematografica dei personaggi (altra eredità bonelliana) rimane (anche se la qualità dei disegni di alcuni numeri di questa miniserie è notevole) e anche quella verso il genere, a cui il lavoro di Caci e Salati (sceneggiatori e creatori della serie) non mi ha riavvicinato, ma resta il fatto che Law è un ottimo prodotto. La freddezza, avvertita da me nei confronti dei legal thriller, è stata ampiamente stemperata da una scrittura orientata verso il lato umano dei protagonisti, in perfetta continuità con alcune serie televisive degli ultimi anni, il che fa sì che le sceneggiature dei due autori si discostino dal modello Perry Mason, che ha caratterizzato i prodotti televisivi legati al genere fino, senza importanti variazioni, alla fine degli anni Novanta.

Inoltre, i vari sub-plot riguardanti il nutrito membro di personaggi che animano la serie non sono quasi mai pretestuosi, pur sfruttando con consapevolezza e calcolo gli stereotipi del filone. I cliché tipici, del genere e non, naturalmente ci sono tutti (il capo burbero, lo scapestrato, il genietto informatico, la spalla comica etc.) eppure, per via di una scrittura abile e raramente ammiccante, riescono a non risultare fastidiosi o semplicemente fotocopiati.

La scrittura, che pur si muove a volte in un difficile equilibrio sul pericoloso rasoio del già visto e del già detto, non cade mai in soluzioni troppo facili o in reazioni umane robotiche o che servono esclusivamente a confermare un carattere o a far procedere la trama. Ci si crede, diciamo più semplicemente, ci si appassiona alle vicende umane raccontate prima che a quelle legali, motivo per cui mi sono convinto a proseguire oltre il primo numero. Eppure, anche l’ossatura, anche se sottoposta alla torsione critica di uno sguardo poco esperto e quindi particolarmente diffidente come il mio, regge. Ci sono cose che qui, come altrove, continuo a non capire: i processi lampo, le reazioni a volte eccessivamente teatrali nelle sequenze ambientate in aula, le intuizioni “a pacchi” sul modello CSI e forse qui il formato scelto pone i suoi limiti.

law4tav1china lowresSi avverte, infatti, la necessità, in più punti, di un maggiore respiro, di tempi più dilatati, di “aria” intorno alle reazioni delle vittime, dopo fatti particolarmente violenti e sconvolgenti. D’altro canto la padronanza del genere da parte degli autori, l’alto livello (evidente) della documentazione, funzionale ma non esposta, così come la perfettamente credibile ambientazione statunitense, rendono, al di là dei limiti messi fin’ora in evidenza, le vicende legali raccontate nei singoli episodi e la struttura generale della serie, coinvolgenti, credibili, raramente banali ed efficacemente fidelizzanti.

Da sottolineare, inoltre, lo stile registico, espresso attraverso una preferenza per le inquadrature fortemente angolate, che se, alla lunga, rischia l’effetto mal di mare, raggiunge il doppio obiettivo di, da un lato, dare un’impronta grafico-narrativa molto riconoscibile alla serie e, dall’altro, di vivacizzare non artificiosamente le obbligatoriamente statiche scene ambientate in aula, che pur hanno un peso minore di quanto si potrebbe immaginare. Inoltre, la rappresentazione degli atti di violenza, fisica e psicologica, pur se naturalmente drammatizzati, è credibile, a volte persino feroce e traccia un solco rispetto al pudore mostrato in tal senso dai fumetti seriali italiani da edicola. Un ottimo prodotto, insomma, che vale lo sforzo di vincere una diffidenza in altri casi molto più che ben giustificata.

[1] Tutti questi fattori non costituiscono, naturalmente, immediata garanzia di qualità, ma permettono alla Bonelli di decidere l’altezza dell’asticella a cui i suoi emuli sono portati a rapportarsi.

5 risposte a “Una cosa divertente che (forse) non farò mai più: AA.VV. – Law

  1. Sinceramente non capisco perché il metro di giudizio per esaltare Law (fumetto peraltro ben fatto, condivido) dovrebbe stare nel riconoscere la differenza con un prodotto televisivo come Perry Mason, vecchio di cinquant’anni. E’ evidente che Law guarda alle serie televisive contemporanee, mi stupirei del contrario.
    Quanto al fatto che il legal drama televisivo sia rimasto fermo al modello Perry Mason fino alla fine degli anni Novanta, mi sembra un’affermazione non condivisibile. E’ vero che in senso stretto, c’è stata una forte innovazione in quel decennio ma il primo legal drama dirompente è Law & Order del 1990 (quindi inizio anni Novanta, non fine). D’altra parte il tipo di costruzione corale delle trame cui fai riferimento nell’articolo, era già presente in serie ibride come Law – Avvocati a Los Angeles, prodotta negli anni Ottanta.
    L’autore era Steven Bochco che aveva prima ancora rivoluzionato il genere poliziesco con Hill Street Blues del 1981, vera e propria pietra miliare della drammaturgia seriale televisiva. Anche se non è un legal in senso stretto, Hill Street è stata la serie che più di ogni altra ha segnato la strada che è poi diventata main stream negli anni Novanta e che oggi vediamo adottata anche nel fumetto seriale.
    A questo punto ci sarebbe da aggiungere che Bochco, a sua volta, si era rifatto a stilemi già presenti nella letteratura di genere da parecchio: dovremmo parlare di Ed McBain… Ma il mio commento è già vergognosamente lungo, per cui mi fermo qui.

  2. Era una grande serie L.A. Law – Avvocati a Los Angeles, seminale si direbbe oggi.
    Ho il sospetto che il titolo scelto dagli autori per la loro (ben fatta) serie sia un esplicito omaggio/riferimento ideale a quel telefilm.

  3. Marco, tanto di cappello (senza nessuna ironia, meglio specificare) per il lungo e interessante commento. Anche se il paragone con le serie tv non è il centro della mia analisi, il ragionamento in questione era inesatto e ti ringrazio di averlo corretto ed integrato. Come ho detto il genere (o, meglio, sottogenere) legal thriller non è mai rientrato nelle mie preferenze, in nessuna delle forme in cui si è incarnato. Per questo ho voluto parlare di Law, perché ha vinto la mia diffidenza. Per me è inconcepibile che qualcuno riesca a far convivere i concetti “vedere un’intera puntata di Law&Order” e “restare sveglio (o vivo)” 🙂 Grazie ancora

  4. Grazie a te per l’occasione. Uno spunto di riflessione ulteriore in termini fumettistici: questa matrice televisiva presente in Law, la ritroviamo anche (in maniera diversa, con altri generi) in un’altra serie recente targata Star Comics Doc Morgue… Forse questa è una deriva che i “Bonellidi” potrebbero sempre più fare propria e in questo caso, sarebbe davvero l’occasione per smarcarsi in maniera definitiva dagli originali e dal loro modo di raccontare. Chissà.

  5. Anche per l’interessante e realistico tasso di violenza, non principalmente fisica, che dai Bonelli è più o meno scomparsa. Di Morgue ho sentito parlare bene ma per la diffidenza di cui sopra non ho letto (ok, anche per soldi, non posso comprare tutto). Recupereró.