I mille nomi di Dio

di Tonio Troiani

Con la lucidità che da sempre lo contraddistingue, Barbieri sul suo blog a proposito di Habibi di Craig Thompson dice:

C’è una bellissima pagina, verso l’inizio del libro, in cui Thompson ci spiega come dall’espressione Bismil ahir ahmanir ahim (Nel Nome di Dio il Clemente il Misericordioso) si possano ottenere una quantità di forme decorative, e persino raffigurazioni. E poi, per tutto il volume, la scrittura araba si intreccia con la vita e con i racconti di Dodola, diventando volta per volta la forma del fiume, quella del serpente, quella della passione, quella della guarigione, quella della prigionia, quella della protezione magica… Thompson ci dà delle prove di vero virtuosismo calligrafico, oltre che grafico tout court, in queste trasformazioni.

E’ una delle tavole su cui mi ero soffermato mentre ripetutamente sfogliavo il lavoro di Thompson, propinandola a destra e a manca, per due ragioni tra loro correlate.
Notavo un certo meccanismo già in atto nell’Asterios Polyp di Mazzucchelli. Infatti, quando l’architetto funzionalista si spertica in spiegazioni di ordine teoretico o storico la tavola incomincia a riempirsi di grafemi, simboli, schemi e icone, disancorandosi dalle closure, quasi impotenti a contenere il flusso e l’esplosione grafica del pensiero.
Tra le tanti, vi è una che ha un’affinità con la pagina thompsoniana sulla Basmala. E’ quella in cui Asterios durante la visita a casa dei genitori, parlando con sua madre Aglia si ritira in un angolo della sua mente per spiegare che tipo di religiosità è quella materna, sottoponendoci ad una delle sue boriose esplicazioni.

La fede di Aglia viene ridotta ad uno schema, in cui i concetti sono rappresentati da uno misto di scrittura grafica e scrittura verbale: in alto campeggia l’icona di Dio, il famoso triangolo con un occhio. È forse l’unico elemento del sistema a non aver bisogno di un’esplicazione verbale. Per dire Dio Asterios ha bisogno solo di un’immagine. Questo non per dire della povertà del nome divino, ma, invece, per indicare forse il nesso fondamentale tra il linguaggio e il Nome.

Infatti, è un nesso che Thompson conduce al limite mostrando in una tavola la potenza di qualcosa di originario. Le tavole in questione non solo rappresentano graficamente un concetto, ma indicano la natura primitiva del segno grafico, legandola a quanto di più originario vi è nel linguaggio: e cioè il nome di Dio, colui che non ha nome e insieme li ha tutti.
Il contesto è privilegiato, poiché l’Islam eredita dall’ebraismo l’atteggiamento aniconico nei confronti del volto divino, preferendo tracciarne le sembianze o rincorrerne l’eco nella scrittura, ma una scrittura dall’indubbio fascino grafico: lontana per certi versi – pur nella vicinanza dei miti che narra – dallo schematico e freddo segno occidentale.

Allora, ben vengano lavori come quelli di Thompson, che nonostante un po’ di ruffianeria romantica, uniscono una potente narrazione e un linguaggio segnico, che mostra come l’ineffabile e l’innominabile a volte hanno bisogno di una via intermedia tra scrittura verbale e immagine tout court che non travalichi  i limiti della legge divina.

3 risposte a “I mille nomi di Dio

  1. Non conoscevo questo blog.
    Ora in bookmark.
    Complimenti.

  2. Un articolo molto profondo.

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