Il sistema fumetto di Thierry Groensteen Parte 3

Terza e ultima parte dell’introduzione all’imprescindibile saggio di Thierry Groensteen: “Il sistema fumetto”, pubblicato dalla Proglo e ordinabile presso il sito dell’editore per soli 13 euro. Un libro importante finalmente tradotto in italiano. -AQ 

Parte 1
Parte 2


Della solidarietà iconica come principio fondante

Se si vogliono porre le basi per una definizione che si addica alla totalità delle manifestazioni storiche del mezzo, e a molte altre produzioni a oggi non ancora realizzate ma teoricamente concepibili, bisogna riconoscere quale unico fondamento ontologico del fumetto il fatto di mettere in relazione una pluralità di immagini solidali. La relazione stabilita tra le immagini ammette diversi gradi e coniuga diverse operazioni, che distinguerò più avanti. Tuttavia il loro comune denominatore, e pertanto l’elemento centrale di qualsiasi fumetto, il criterio primo nell’ordine di fondazione, è la solidarietà iconica. Definiremo solidali le immagini che, facendo parte di una sequenza, presentano la doppia caratteristica di essere separate (questa precisazione per escludere le immagini uniche che racchiudono in sé una profusione di motivi e aneddoti) e di essere plasticamente e semanticamente sovradeterminate dal fatto stesso di coesistere in praesentia.

Probabilmente attribuire alla parola “fumetto” un’accezione così ampia ha i suoi svantaggi. È lo scoglio segnalato da Pierre Couperie. Dalle stele, gli affreschi e gli altri libri mortuari dell’Egitto antico fino alle predelle della pittura medievale, dagli arazzi di Bayeux ai polittici di tutte le epoche passando per i codici precolombiani, le Vie Crucis, gli E-Makimono (rotoli dipinti) giapponesi, le storyboards dei film e i moderni fotoromanzi, sono certamente troppo numerose le realizzazioni artistiche che sembrano poter finire in questo calderone1.

Sembra dunque che il fumetto si trovi di fronte a un problema piuttosto simile a quello che affligge il mondo letterario, all’interno del quale sono tutti d’accordo nel ritenere che mettere in fila delle parole non è sufficiente a fare un’opera letteraria, per il semplice motivo che “di tutto il materiale che l’umanità può utilizzare per scopi artistici, il linguaggio è probabilmente quello meno specifico, quello che è meno strettamente riservato a tale scopo”2. Riprendendo un dibattito aperto ai tempi di Aristotele, Gérard Genette ha cercato di definire i criteri della letterarietà, ovvero le condizioni che un testo deve soddisfare per poter essere riconosciuto come letterario. Concediamo pure agli “essenzialisti” che mettere in fila delle immagini, anche solidali tra loro, non sia probabilmente sufficiente a ottenere un fumetto. Ben altre sono le condizioni che possono essere legittimamente dibattute e che, lo immaginiamo, riguarderebbero in primo luogo la natura delle immagini (soggetto, modo di produzione, caratteristiche formali), in secondo luogo il modo di articolarle, ed eventualmente anche il supporto che le accoglie, la diffusione e le condizioni di ricezione; in poche parole tutto ciò che le colloca in uno specifico processo di comunicazione3. È tuttavia poco probabile che anche su una sola di queste condizioni si raggiunga l’unanimità.

In realtà la ricerca di un’essenza del fumetto non è per niente simile a quella di una definizione di letterarietà. Nel secondo caso si tratta di separare il discorso letterario da tutti gli altri tipi di discorso, a cominciare dal linguaggio quotidiano. La letteratura si caratterizza per “una rottura con il regime ordinario della lingua”. Di conseguenza la questione che chiaramente si pone consiste nel definire “ciò che fa di un messaggio verbale un’opera d’arte”, secondo la formulazione di Roman Jakobson ripresa da Genette. Per quest’ultimo la rottura può essere analizzata o in termini di finzione (nella misura in cui un’opera di fantasia impone al lettore un “atteggiamento estetico” e un relativo “disinteressamento” verso il mondo reale), o in termini di dizione, ovvero attraverso l’osservazione di tratti formali che sono “fatti di stile”. Questa opposizione tende a coincidere con la suddivisione del campo letterario in “due grandi tipi: da una parte la finzione (drammatica e narrativa), dall’altra la poesia lirica, sempre più spesso designata semplicemente dal termine poesia”4.

Il fumetto si basa invece su un dispositivo che non conosce un uso familiare. Non risulta infatti che ognuno di noi si esprima attraverso questo mezzo – anche se la pratica del fumetto è, tecnicamente e finanziariamente parlando, alla portata di tutti, come conferma l’attitudine dei bambini a dedicarsi a questa attività. Il fumetto dunque può essere comparato solo ad altre forme creative (in particolar modo quelle che abbiamo enumerato in precedenza) che rientrano a buon diritto nei campi dell’arte e della finzione. Dal momento che il fumetto non è fondato su un particolare uso della lingua, non c’è motivo di definirlo in termini di dizione. Il fumetto però non si confonde neanche con una delle forme della finzione, poiché esistono fumetti pubblicitari o di propaganda, fumetti pedagogici o politici, e occasionalmente fumetti-reportages in cui domina la volontà di informare, di testimoniare. A questo aggiungiamo che la proliferazione dei fumetti autobiografici è un fenomeno rilevante di questi ultimi anni, arrivato dall’America, dove le opere di Robert Crumb, Art Spiegelman e Harvey Pekar in particolare avevano fatto da apripista. La plasticità del fumetto, che gli permette di veicolare messaggi di ogni genere e narrazioni altre rispetto a quelle che rientrano nell’ambito della finzione, dimostra che, ancor prima di essere un’arte, il fumetto è un vero e proprio linguaggio.

Ma non è necessario, a questo stadio della riflessione, andare oltre con la questione della delimitazione del mezzo. Sarà sufficiente che un fumetto venga considerato tale solo se soddisfa la legge generale enunciata, quella della solidarietà iconica. La condizione necessaria, se non sufficiente, perché si possa parlare di fumetto è che le immagini siano molteplici e in qualche modo correlate tra loro.

Questo elemento può essere verificato empiricamente da chiunque sfogli un album o un giornalino a fumetti. A offrirsi allo sguardo è sempre uno spazio frammentato, suddiviso, un insieme di quadri giustapposti o, per citare la bella formula di Henri Van Lier , un “multiquadro aeromobile” che veleggia, in sospensione, “nel bianco nullo della pagina stampata”5. Una pagina di fumetto si offre a una prima visione globale, sintetica, di cui non si può tuttavia essere soddisfatti. In seguito esige di essere letta lentamente, percorsa, decifrata analiticamente. Questa lettura parola per parola continua ugualmente a prendere in considerazione la totalità del campo panoptico che costituisce la pagina (o la pagina doppia), poiché la visione focale non smette di essere arricchita dalla visione periferica.

Si noterà che le stesse parole “striscia disegnata” comportano una visione restrittiva del campo che sono chiamate a coprire. Precisando che l’immagine sarà il prodotto di un disegno, l’epiteto sembra escludere a priori qualsiasi ricorso alla fotografia, alla tipografia o alla pittura. Ancora più solenne, la nozione di striscia privilegia ingiustamente una delle componenti del mezzo, vale a dire la “striscia”, questo segmento orizzontale6 che a volte costituisce un micro racconto, altre invece non è che un episodio nella continuità dello sfogliare o solamente una porzione di tavola. Stando a quanto detto da Jean-Claude Glasser, l’influenza di questo termine è storicamente giustificata:

“È verosimilmente nei locali dell’Agence Opera Mundi che l’espressione francese “bande dessinée” venne creata [a partire dagli anni Trenta] e poi progressivamente si impose. (…) Continua a essere utilizzata per designare le strisce giornaliere (…). Questo spiega perché l’espressione non compare nelle riviste illustrate dell’epoca, dove le tavole domenicali prevalgono e si pensa quindi in funzione della pagina o della mezza pagina. (…) È solo negli anni Cinquanta che l’espressione smette di essere applicata alle sole serie giornaliere…”7

Ciò che un tempo era solo una generalizzazione lessicale è divenuto oggi una vera improprietà, ora che l’album, in Europa, è il supporto prevalente del fumetto e che, di conseguenza, la pagina è la sua unità tecnica, commerciale e estetica di riferimento.

La solidarietà iconica altro non è se non la condizione necessaria affinché un messaggio visivo possa, a una prima stima, essere assimilato a un fumetto. In quanto oggetto fisico, qualsiasi fumetto può infatti essere descritto come un insieme di icone separate e solidali. Se consideriamo una qualsiasi produzione, ci accorgiamo subito che i fumetti fanno ovviamente molto più che soddisfare questa condizione minima, che non obbediscono tutti agli stessi disegni e non mettono in moto gli stessi meccanismi. Qualsiasi generalizzazione teorica è dunque minacciata dall’insidia del dogmatismo. Lungi dal voler difendere una scuola, un’epoca o una corrente a scapito di altre, o ancora dal voler imporre una qualsivoglia ricetta, voglio sforzarmi di prendere atto della diversità dei fumetti e risparmiare alla mia riflessione qualunque carattere normativo.

È per questa ragione che ho scelto come emblema della presente riflessione la nozione di sistema, che definisce un ideale. Questo sistema fumetto sarà un quadro concettuale in cui tutte le novità della “nona arte” possono trovare posto e essere pensate le une in rapporto alle altre, nelle loro differenze come nella loro appartenenza comune allo stesso mezzo. In questo senso la nozione di sistema, “insieme di cose collegate” (Littré), mette essa stessa in evidenza il concetto fondante di solidarietà.

Per introdurre l’artrologia e la spaziotopia

È importante a questo punto definire l’esatta natura della solidarietà iconica. I fumetti sottopongono le immagini che li costituiscono a diversi tipi di relazioni. Per designare l’insieme di queste relazioni, utilizzerò un termine generico con un’accezione molto ampia, quello di artrologia (dal greco arthron: articolazione)8.

Qualsiasi immagine disegnata si incarna, esiste, si dispiega in uno spazio. L’immagine fissa, contrariamente all’immagine in movimento del cinema, che Gilles Deleuze ha dimostrato essere al contempo un’“immagine-movimento” e un’“immagine-tempo”9, conosce solo questa dimensione. Mettere in relazione le vignette di un fumetto vuole quindi necessariamente dire mettere in relazione degli spazi, operare una divisione dello spazio. Sono dunque i principi fondamentali di questa distribuzione spaziale che verranno, come prima cosa, esaminati all’insegna della spaziotopia, termine forgiato per riunire il concetto di spazio e il concetto di luogo, continuando tuttavia a mantenerli distinti10. Gli spazi specifici del fumetto, ovvero nuvoletta, vignetta e quadro, strip (striscia orizzontale che costituisce il primo livello di raggruppamento delle vignette) e tavola, verranno successivamente presi in considerazione e le loro interazioni analizzate.

La precedenza accordata alle relazioni di ordine spaziale e topologico va contro l’opinione più diffusa, secondo cui, in un fumetto, l’organizzazione spaziale è completamente sottomessa alla strategia narrativa e da questa viene dominata. Lungo lo svolgimento, il racconto originerebbe, o detterebbe, il numero, la dimensione e la disposizione delle vignette. Io invece credo che, dal momento in cui un autore affida al fumetto la storia che inizia a raccontare, egli pensi la storia, e l’opera che verrà, in una determinata forma mentale, con la quale dovrà scendere a compromessi. Questa forma è proprio il dispositivo spaziotopico, una delle chiavi del sistema fumetto, un complesso di unità, di parametri e di funzioni che spetta a noi descrivere. Il fatto di considerare il supporto e quello di pensare in anticipo alle modalità di organizzazione spaziale che verranno adottate sono, come spero di dimostrare, condizioni preliminari a qualsiasi inizio di esecuzione e obblighi che continueranno a informare ogni fase della creazione. Al momento di abbozzare la prima vignetta di un fumetto, l’autore ha sempre già deciso, relativamente alla gestione della partita che intraprende con il mezzo, alcune grandi opzioni strategiche (ovviamente modificabili in seguito) che riguardano la distribuzione degli spazi e l’occupazione dei luoghi11. Spetterà poi al layout specificare queste opzioni e dare a ogni tavola la propria configurazione definitiva.

Ma il fumetto non è solo un’arte del frammento, della dispersione, della distribuzione; è anche un’arte della congiunzione, della ripetizione, della concatenazione. All’interno del dispositivo spaziotopico – ovvero dello spazio risultante dall’appropriazione e dalla predisposizione del fumetto – distingueremo due gradi di relazione che possono stabilirsi tra le immagini. Le relazioni elementari, di tipo lineare, formano ciò che chiameremo artrologia ristretta. Governate dall’operazione della pianificazione, istituiscono sintagmi sequenziali il più delle volte subordinati a fini narrativi. È a questo livello che la scrittura interviene maggiormente, come operatore complementare alla narrazione. Le altre relazioni, translineari o distanti, riguardano l’artrologia generale e declinano tutte le modalità dell’intreccio. Rappresentano un livello più elaborato di integrazione tra il flusso narrativo (che potremmo anche chiamare energia narrativa o ancora, per riprendere un’espressione di Hubert Damisch, “navetta del racconto”) e il dispositivo spaziotopico, la cui componente fondamentale, come l’ha definita Henri Van Lier, è il “multiquadro”.

Da una parte non c’è la relazione degli spazi che rientrerebbero nel campo della spaziotopia, e dall’altra la relazione dei contenuti che sarebbero da ricondurre all’artrologia. Le articolazioni del discorso del fumetto riguardano indissociabilmente dei contenuti-incarnati-in-uno-spazio o, se si preferisce, degli spazi-investiti-di-un-contenuto. La spaziotopia è dunque una parte dell’artrologia, un sottoinsieme arbitrariamente diviso e con la sola autonomia che, in un determinato momento, la ricerca a fini euristici vuole riconoscergli. Per comprendere certi livelli di funzionamento del linguaggio del fumetto, è infatti utile ridurre intellettualmente la tavola a un insieme di quadri e di nuvolette vuote. Nella realtà questo insieme non è osservabile da nessuna parte, e non è neanche preesistito, sotto una forma già così elaborata, alla versione finale, completa, dell’oggetto tavola.

Lo studio del sistema fumetto deve pertanto essere affrontato, secondo me, attraverso la spaziotopia. Come ho già detto, questa precedenza non si giustifica con la cronologia delle operazioni compiute in successione nel corso del processo di elaborazione di un fumetto. Essa dipende piuttosto dalla preesistenza di ciò che in precedenza ho chiamato “forma mentale”. Una sceneggiatura destinata al fumetto (quanto segue tuttavia vale a fortiori per un fumetto improvvisato senza una sceneggiatura già preparata – come fu, ad esempio, Le garage hermétique de Jerry Cornelius, di Moebius) non si costruisce in maniera puramente astratta e speculativa. Può solo svilupparsi in un dialogo con una determinata idea preliminare del mezzo, della sua natura, delle sue competenze e delle sue prescrizioni. Si tratta di inventare una sceneggiatura che possa incarnarsi in quel mezzo (o a volte di adattare un racconto preesistente in funzione del mezzo) per farne, se possibile, l’uso migliore12. Questa rappresentazione generale e diffusa del fumetto, sulla quale si fonda la creazione, adotta in primo luogo le componenti spaziotopiche del sistema, poiché esse ne costituiscono al contempo la struttura e la base. La spaziotopia è il punto di vista che si può avere sul fumetto prima di pensare a un singolo fumetto, e a partire dal quale è possibile pensare una nuova performance del mezzo.

Quando si elaborano i contenuti, quando un discorso investe il multiquadro, la questione delle concatenazioni e delle articolazioni diventa subito preponderante. Articolare i materiali iconici e linguistici spetta alla pianificazione, articolare i quadri, invece, al layout. Pianificazione e layout sono le due operazioni fondamentali dell’artrologia, perfezionate eventualmente dall’intreccio. L’una e l’altra, tuttavia, si servono di elementi che rientrano innanzitutto nel campo della spaziotopia. Questo è evidente per il layout, cui spetta definire la suddivisione dello spazio, ma è anche vero per la pianificazione, basata su due funzioni essenziali e complementari del quadro (che svilupperò più avanti): la funzione separatrice e la funzione di lettura.

Il modo di interazione tra le istanze della spaziotopia e dell’artrologia può dunque essere definito “dialogico” e “ricorsivo”. Edgar Morin, da cui prendo in prestito queste nozioni, le definisce come segue. È dialogica qualsiasi “associazione complessa di istanze che insieme sono necessarie all’esistenza di un fenomeno”. Possono invece essere detti ricorsivi i fenomeni di “inter-retroazioni reciproche” tra istanze che “si regolano le une con le altre”, di modo che “gli effetti e i prodotti siano allo stesso tempo causatori e produttori”13. Come spero di riuscire ad accertare, questo è il grado di complessità dell’interazione che fonda il sistema fumetto.

In questa prospettiva il privilegio spesso accordato dai critici e dai teorici ad alcuni procedimenti che si presumono essere specifici del fumetto devono probabilmente essere rivisti. In Bande dessinée et figuration narrative (opera fondante per molti) rilevo, ad esempio, un passaggio in cui si afferma che l’80% dei fumettisti “ignorano le tecniche di layout e di pianificazione che gli sono specifiche”14 (laddove “gli” fa riferimento al linguaggio della nona arte). Ebbene il fumetto non mobilita procedimenti e tecniche realmente specifici. D’altro canto tutti i fumetti, anche quelli più semplici all’apparenza, sono trasformazioni particolari di un sistema le cui componenti, e le loro interazioni, disegnano una totalità inedita e complessa. È proprio questo sistema che analizzeremo ora in dettaglio.

A conclusione della presente introduzione vorrei esprimere tutta la mia riconoscenza a Benoît Peeters e Thierry Smolderen che hanno contribuito in modo decisivo alla maturazione di alcune delle idee qui formulate. Desidero inoltre ringraziare Gilles Ciment, Pascal Lefèvre e Bernard Magné per i preziosi commenti che hanno voluto formulare su queste pagine.

1 Di proposito cito solo forme per cui la narrazione è la naturale propensione o una possibile applicazione. Esistono altre categorie di immagini fisse solidali che obbediscono a principi di correlazione particolari. Ad esempio, disegni architettonici che rappresentano lo stesso edificio, per i quali è importante che il piano, la sezione e l’elevazione siano concordanti. Le immagini di un fumetto sono assoggettate a una solidarietà referenziale di questo tipo solo quando l’autore decide espressamente che, per realismo, debba essere così.

2 Gérard Genette, Fiction et diction, Paris, Le Seuil, “Poétique”, 1991, p. 11-12.

3 Comunque sia, bisogna riconoscere che ci poniamo al crocevia di due logiche distinte. Perciò adottare come criterio di definizione il fatto che un fumetto venga stampato finirebbe col far ricusare la tavola originale o la sua proiezione sullo schermo. Per me (ma, come abbiamo visto, non per David Kunzle) va da sé che un fumetto, anche non stampato, non smette di essere un fumetto. Il sistema che propongo intende rendere conto del linguaggio del fumetto, non della sua istituzione.

4 Questo paragrafo riassume in modo molto schematico le prime pagine (p. 7-21) di Fiction et diction, op. cit., da cui sono tratte tutte le citazioni.

5 “La bande dessinée, une cosmogonie dure”, in Thierry Groensteen (dir.), Bande dessinée, récit et modernité, Colloque de Cerisy, Paris, Futuropolis-cnbdi, 1988, p. 5.

6 Eppure negli anni Cinquanta e Sessanta sui quotidiani francesi apparivano numerose delle “tavole” verticali destinate a un pubblico prevalentemente femminile. Raccontavano “les amours célèbres” [gli amori celebri], “les grandes erreurs judiciaires” [i grandi errori giudiziari], “les destins hors série” [i destini fuori dal comune], o ancora la vita delle “reines tragiques” [regine dal tragico destino]. I disegni accompagnavano testi molto voluminosi. Questo genere è caduto a poco a poco in desuetudine, fino alla sua totale scomparsa agli inizi degli anni Ottanta. Su questo tema leggere in particolare Guy Lehideux, “Un dessinateur de bandes verticales, Charles Popineau”, Les Cahiers Pressibus, no 4, Tours, avril 1994, p. B2-B7.

7 Lettera pubblicata ne Les cahiers de la bande dessinée, Grenoble-Bruxelles, Glénat, no 80, mars 1988, p. 8.

8 Benché il termine mi sia stato rubato dalla Textique di Jean Ricardou, io non lo impiegherò nell’accezione estremamente precisa e restrittiva che quest’ultimo gli conferisce. (Per Ricardou, l’artrologia, che opera sui due modi dell’accrezione e della concrezione, si oppone all’isologia, le cui modalità sono la replicazione e la rappresentazione.) Cfr. gli “Éléments de Textique I, II, III et IV”, Conséquences, nos 10 à 13-14, Paris, Les Impressions nouvelles, 1987-1990.

9 Cfr. Cinéma 1 e 2, Paris, Minuit, 1983 e 1985.

10 I parametri spaziotopici che sarò chiamato a distinguere dipendono tutti dalla geometria, la scienza delle figure e dello spazio. Sarebbe quindi impossibile fare a meno del neologismo spaziotopia e utilizzare semplicemente il termine geometria. La terminologia proposta ha il vantaggio di distinguere, senza tuttavia separare completamente, due tipi di curiosità: la descrizione delle figure (vignette) in sé e l’osservazione delle loro coordinate in situazione.

11 Cfr. Mio articolo “La planche, un espace narratif”, in Gilles Ciment et Odette Mitterrand (dir.), L’Histoire… par la bande, Paris, Syros, 1993, p. 41-46.

12 Sull’equivalenza tra la storia e il mezzo, e le possibilità di traslazione di una stessa storia da un mezzo a un altro, mi permetto di rimandare al mio testo “Fictions sans ­frontière”, in André Gaudreault e Thierry Groensteen (dir.), La Transécriture. Pour une ­théorie de l’adaptation, atti del Colloque de Cerisy, Montréal-Angoulême, Nota Bene-cnbdi, 1998, p. 9-29.

13 Cfr. La Méthode, t. 3: La connaissance de la connaissance, Paris, Le Seuil, 1986, p. 98-101.

14 Claude Moliterni, in Bande dessinée et figuration narrative, Musée des Arts Décoratifs / Palais du Louvre, mars 1967, p. 187.