Il paradosso del fumetto che non paga

di Andrea Queirolo

George Bates e la sua visione del fumettista.

Fare fumetti non mi ha mai dato da vivere. Fu come sceneggiatore [di film] che mi guadagnai da campare.
I fumettisti non sono mai stati pagati tanto, ma negli anni ’60  niente costava tanto, così loro potevano vivere bene. Ora continuano a non essere pagati molto, e tutto è molto costoso.

Cosi dice il grande Jules Feiffer che, quando cominciò a collaborare con il Village Voice nel 1956, non fu pagato per anni; e così comincia questo articolo del Village Voice intitolato: “Se i fumetti sono così importanti, perché non pagano?”

Un articolo interessante che si interroga sul perché l’industria americana del fumetto, in particolar modo quella indipendente, sia così importante e affermata, ma allo stesso tempo poco proficua per gli artisti che vi contribuiscono.
In effetti, la sovraesposizione del termine graphic novel e il suo sapersi ritagliare una significativa fetta di mercato; l’esplosione al cinema dei film tratti da serie fumettistiche; l’introduzione delle tavole originali nei musei e il mercato sempre più in crescita fra i collezionisti; le fiere e le manifestazioni sempre più numerose e sempre più ricche di eventi e di partecipanti, farebbero pensare ad un business sano e fiorente, ma così purtroppo non è.


John Kovaleski, un autore di “Mad”, contribuisce all’articolo del Village Voice.

L’articolo del Village Voice è zeppo di testimonianze di artisti che ammettono di non riuscire a campare di solo fumetto: da Tony Millionare a Jessica Abel, da Kaz a Ted Rall, e solo per citarne alcuni.
Il nocciolo della questione è che molti fumettisti, anche quelli più affermati, sono obbligati a lavorare in altri campi.
L’articolo non offre particolari riflessioni su eventuali soluzioni, ma si limita a riportare testimonianze e casi. Sostanzialmente niente di nuovo sotto il sole, ma solo una situazione che via via diventa sempre più formale. D’altronde il settore dei comic book, o se vogliamo commerciale, negli ultimi anni ha subito pesanti flessioni e le testate più importanti continuano a vivere di costanti rilanci. Le stesse strisce sindacate hanno sempre meno spazio a disposizione sui quotidiani, e anche le avventure più famose e longeve sono state cassate (Little Orphan Annie), mentre altre vengono rinnovate fra l’indifferenza generale (Dick Tracy). Solo il settore dei volumi, grazie sopratutto al fenomeno graphic novel, sembra essere costante, ma sono pochi i casi di bestsellers, o meglio di longsellers (Bone, Scott Pilgrim).

Ora, è paradossale il fatto che il Village Voice abbia in programma un numero speciale dedicato ai fumetti, e che abbia annunciato di non voler retribuire alcuni autori. Strano ma vero, sembrava proprio essere così, senonché Tony Ortega, l’editore del giornale, probabilmente messo alle strette ha dichiarato che alla fine pagherà il compenso a tutti:

Volevo avere un grande numero speciale sui fumetti, ma avevo un budget limitato. Quindi, intenzionato a sforzarmi di fare questo lavoro, ho chiesto ad alcuni disegnatori di fornire le pagine senza compenso. Negli ultimi due giorni, mi è stato fatto notare molto chiaramente che questo non era il modo migliore per aiutare l’industria del fumetto. Il fatto è che non siamo una società che si aspetta che la gente lavori gratis per mettersi in mostra. Allora lo sto facendo nel modo giusto: sto pagando tutti gli artisti del numero speciale.
E spero di comprargli delle birre e di lavorare ancora con loro molto presto.

Tony Ortega
Editor
The Village Voice

Sono situazioni che rasentano il ridicolo e che, con le dinamiche appropriate, fanno capire come tristemente tutto il mondo è paese.

La copertina del numero speciale del “Village Voice” dedicato ai fumetti.

6 risposte a “Il paradosso del fumetto che non paga

  1. Sapevo del numero di VillageVoice avendone letto notizia in un blog statunitense, mi fa piacere che ne parli in Italia. Ho condiviso l’articolo su FB, ed ho commentato così: “Mi piace molto la tavola di John Kovaleski, ritengo che la risposta sul perché il Fumetto non paghi è nel suo testo.”
    Saluti e buon lavoro.
    DT
    _____________
    leggi “Continua…” in http://issuu.com/dteditore

  2. grazie del commento daniele.
    la tavola di kovaleski dice davvero tanto.

    a presto e buon lavoro anche a te.

    andrea.

  3. Sinceramente non credo che il nocciolo della questione sia quello sollevato da Kovaleski. Può valere per le strisce o i piccoli contenuti autoconclusivi, ma non per progetti più strutturati come un volume o una serie.
    La tendenza che personalmente ho notato negli ultimi anni è piuttosto quella di riciclare ad oltranza gli stessi contenuti: mille universi dell’Uomo Ragno (addirittura col reboot dei film usciti finora), sequel/prequel/whatif di storie nate negli anni ’60…
    E’ sacrosantominimizzare i rischi editoriali in tempi difficili e far conoscere certe gemme alle nuove generazioni ; ma loro si aspettano -giustamente- anche cose nuove che nascano nel loro tempo e lo rispecchino appieno.
    Di conseguenza domanda e offerta non si incontrano e sul mercato riesce a sopravvivere molto poco: personaggi che sono entrati nella cultura di massa, gli intrecci amorosi degli shojo manga o le trame “picchiaduro” inaugurate da Dragonball e kenshiro, oggi riproposte da serie come Pokemon e Naruto.
    Direi piuttosto che il pubblico dei fumetti, ormai svezzato, non si fa più abbindolare dagli editori e davanti a una nuova proposta ha sempre il timore di vedersi rifilata la “sola”; ovvero una storia piatta, banale o troppo contorta che non vale la carta su cui è stampata.

  4. ciao francesca.
    sinceramente mi sembra tu faccia un po di confusione.
    innanzitutto è un articolo che parla del panorama americano e tratta del retribuire gli autori.
    il discorso dei “mille universi dell’uomo ragno” dipende dagli editori e in quel caso l’autore è un finalizzatore se vogliamo senza colpe (al massimo può avere solo meriti). non si parla di storie e metodi di realizzazione, si parla di come sopravvive un autore di fumetti.
    kovaleski si pone una domanda ben precisa, ovvero: il fumetto vale qualcosa? ma non riferito alle storie, bensì alla retribuzione degli autori.
    Il pubblico è, se vogliamo, ignorante e non si pone il problema e come dice kovalski: se è su internet la gente pensa che debba essere gratis.
    è sicuramente un discorso molto complesso.
    Non c’è differenza fra serie, volume o striscia, perché è fondamentalmente lo stesso lavoro: fumetto.
    Ti concentri troppo sulla richiesta del pubblico, ma quella è un’altra cosa e spetterà all’editore scegliere di pubblicare quello che ritiene più giusto. Il fatto principale è che il lavoro di un fumettista deve essere sempre e comunque retribuito. Il problema principale è che spesso non lo è o non basta a far campare l’autore.

  5. Ciao,
    suppongo di aver ingarbugliato i discorsi perchè attualmente mi trovo in entrambi i panni di autore ed editore. :p

    Cerco di tornare in argomento. Secondo me il compenso di un fumettista dovrebbe essere commisurato a quanto guadagna l’editore… dando per scontato che sia un bravo editore e faccia tutto il possibile per promuovere l’opera in modo adeguato. Nel caso di piccoli/medi editori il margine è molto basso e non consente di offrire ai disegnatori compensi adeguati.
    Sono convinta che ci siano anche editori ci marciano sopra, come pure che in Italia ci sia un panorama profondamente diverso rispetto agli USA o alla vicinissima Francia.

    Però piangersi addosso non la considero una soluzione: forse ci si dimentica che gli editori sono imprenditori. Se possono risparmiare reclutando fumettisti che accettano di lavorare per compensi da fame o perfino gratis, continueranno a farlo. Inoltre la coda di vendita di un fumetto si può valutare solo in tempi medio-lunghi… nel frattempo nessun editore rischia di sborsare più dello stretto necessario.

  6. Io comincerei a pormi una questione che sta proprio alla base del problema. Il titolo dell’articolo recita: “Se i fumetti sono così importanti, perché non pagano?”

    Ecco. Ci sarebbe da capire “perchè” e “per chi” il fumetto è importante e se questo dovrebbe bastare per dare beneficio ad un settore di mercato che, in questo caso, continua purtroppo ad essere solo di nicchia.

    L’impressione, in ogni caso, continua ad essere che il fumetto sia MOLTO importante per chi lo fa e per chi lo legge, ma la cosa si ferma lì. E da un cane che si morde la coda, viene un po’ difficile credere che possa venire fuori una buona dose di moneta sonante. A meno che tu non abbia un nome, ma se hai quello, significa che sei uno degli eletti. E fortunatamente, nel fumetto, se lo sei è perchè lo meriti. Puoi anche essere aiutato tanto dal fantastico mondo del “marketing” e delle marchette, ma se NON sei bravo, non ti leggono.

    Mi spiace constatare (mi piange proprio il cuore, a dire il vero) che personaggi come Jessica Abel o Tony Millionaire non riescano a viverci, di quello che producono, ma c’è anche da dire che non sono tra gli autori più prolifici che ci siano sulla scena e che (nel caso di Jessica) abbiano fatto anche della scelte molto coraggiose e difficili (il suo bellissimo “Radio: An Illustrated Guide” la dice lunga sulla differenza tra chi i fumetti li fa per “mestiere” e chi per vera e propria “vocazione”).

    Ecco perchè se ne parlerà per sempre. Anche se spero, come tutti, che le cose possano davvero cambiare. Anche solo un passettino alla volta.