Intervista a Marco Galli: Oceania Boulevard

Ho incontrato Marco Galli per l’uscita del suo nuovo graphic novel “Oceania Boulevard” ed. Coconino Press – Fandango, durante i giorni del Napoli Comicon 2013.  Abbiamo parlato di fumetto spaziando tra cinema, letture, cultura, e addirittura meditazione. Buona lettura.

Marco Galli Oceania Boulevard 

Oceania Boulevard è stata per me una scoperta. Ben disegnato, ben scritto, appassionante…ma andiamo per ordine a scoprirlo. Ovviamente, per quanto riguarda la trama, poi decidiamo quanto “spoilerare”… dimmi tu quanto si può dire o quanto non si può dire, su un libro che è appena uscito e che porta con sé il fascino di un certo mistero.

Il libro inizia come un giallo ma non è solo un giallo. Nel senso che non c’è il classico assassino, ma la storia parte subito con un mistero da risolvere. Il genere giallo mi è servito per catturare il lettore. Poi, cerco sempre di cambiare la prospettiva. Si trasforma presto in un noir esistenzialista, con scene da horror “splatter”. Ad un certo punto appaiono anche i mostri… E’ un gioco sui generi, sui generi e sul linguaggio del fumetto, che cerco di visualizzare come fosse un film.

Sono andata a “spulciare” sul tuo blog e ho trovato il momento in cui annunciavi questo libro, era parecchio tempo fa, luglio 2011. C’era un tuo commento bellissimo in cui dicevi “Non so quando esce…Non so per chi esce… Ma prometto che in qualche modo esce!” Questa è una storia che ti ha convinto fin dall’inizio insomma…

Sono quel tipo di storie che si impadroniscono di te. Nel senso che l’idea mi è venuta in un momento in cui ero fuori casa per lavoro. Una sera come tante, in una stanza d’albergo. In televisione, come al solito, non c’era niente di interessante e di colpo, come un intuizione visiva, mi è apparsa la faccia del protagonista Mortenson e l’ho disegnata subito. Poi è venuto Riviera e avevo in testa questa atmosfera alla David Lynch…mi è venuta di getto la voglia di raccontare una storia “lynchana”, un noir visionario. Poi la trama è cresciuta pian piano. Ho deciso subito di ambientarla nel mondo dell’arte – che ho frequentato ai margini, qualche tempo fa – tra l’altro stavo lavorando a un altro progetto, un fumetto, che ho completamente abbandonato perché questa storia era diventata predominante.
E’ la prima volta che mi succede una cosa del genere, mentre in precedenza mi era capitato di lavorare su input molto più diretti – come per il primo libro che avevo fatto per la 001 Edizioni , “Il Santo Premier”, nato quando avevo riletto “Il Pasto Nudo” di William S. Burroughs – qui è come… è brutto da dire ma è come quando devi vomitare. Cioè, la storia, l’ho proprio vomitata fuori!

Marco Galli Oceania Boulevard

Parliamo appunto di influenze…iniziamo con l’ “hard boiled” classico?

Si, però anche lì ho cercato di giocare un po’ di sottrazione. Non so…ad esempio la protagonista femminile, Miss Pri, in verità non è una vera dark lady, ha una personalità fragile, si aggira per la storia sempre spaurita. Anche Mortenson, che dovrebbe essere il personaggio forte, l’eroe, è addirittura un depresso cronico.

E’ bellissimo quando ascolta la musica tutto il giorno.

Si, perché si vuole isolare.

I gruppi che ci hai messo sono i tuoi preferiti oppure li hai scelti per la storia?

Quando faccio un fumetto cerco di ascoltare la musica che idealmente ne è la colonna sonora, per cui ascoltavo gli Smashing Pumpkins, Bach, Corelli, John Coltrane… generi molto diversi, che dovevano sottolineare la schizofrenia nei gusti del protagonista, schizofrenia musicale che mi appartiene.

E lui ha queste cuffie super alla moda…

Gigantesche. Proprio perché doveva essere chiaro che non ne vuole sapere del mondo esterno, le porta anche in casa, non vuole saperne proprio.

Marco Galli Oceania Boulevard

Torniamo alle influenze. Cosa possiamo dire invece sullo stile grafico?

Le influenze sono una somma delle mie esperienze culturali, sedimentate nel profondo, in anni di fruizione di ogni sorta. Quando penso una storia, cerco di capire quale può essere lo stile giusto per raccontarla. In questo caso mi è apparsa subito chiara un influenza cinematografica, il cinema degli anni ’80/’90, Linch, come già detto, ma anche Cronemberg. La linea chiara, i colori acidi e un po’ freddi, mi sembravano il modo per restituire le atmosfere di quel tipo.
Cerco sempre di cambiare stile. Secondo me, ogni storia ha bisogno del suo segno. Poi magari arrivi ad un punto della tua vita artistica in cui hai sintetizzato un segno ed è quello che ti rappresenta.

La tua formazione artistica?

Ti rispondo come ti avranno risposto molti altri fumettisti: disegno da sempre, da prima di parlare.
Poi, nel mio caso, sono seguite scuole d’arte, esperimenti artistici e di scrittura poetica, ma la forma fumetto mi accompagna da sempre.

Marco Galli Oceania Boulevard

Devo dire che quando ho visto le due vignette per pagina sola, io che ho sempre il fumetto in testa, ancora prima del cinema ho pensato alle due vignette alla Diabolik o Alan Ford. Invece no!

L’idea era proprio quella dello schermo cinematografico, vedi anche il nero che lo contorna. Poi è anche vero che per una questione mia, di composizione, non mi piace spezzettare la pagina in mille vignette, anche lì, però, dipende molto dalla narrazione, dallo stile che voglio dare alla storia.
In “Oceania Boulevard” – lo dicevo anche in conferenza qui al Comicon – mi servivano vignette grandi per sviluppare l’ambiente, che è importante tanto quanto i personaggi che vi si muovono. L’atmosfera secondo me è importantissima, è quella che da il mood.

Come ti sei regolato con i testi (ballon, didascalie, onomatopeiche)?

Beh, c’è sempre il discorso del film: i testi sono lasciati apposta fuori dal campo visivo, come se fossero parole che escono dalle casse del cinema, con quello scarto di decimi di secondo che c’è tra immagine e suono.

Non ci sono onomatopeiche. Non le uso mai, mi sembrano un insulto al lettore.

Mi è piaciuto molto quello che diceva Barbieri sul ritmo in crescendo che sono riuscito a dare in “Oceania Boulevard”, usando sempre lo stesso formato della tavola con due vignette trasversali uguali. Per me la scommessa era creare azione attraverso il disegno e non la forma, il contrario di quello che succede nel fumetto americano o quello giapponese, in cui il ritmo concitato è dettato dalla variazione del taglio delle vignette, da questo tempo visivamente “spezzettato”. Io, quando leggo fumetti “girati” in questo modo, faccio molta fatica ad entrare nella storia.
Credo che il bello di conoscere un linguaggio sia sempre quello di spingerlo al limite delle sue potenzialità, rispettando la leggibilità della storia. Banalmente, è quello che cerco di esplorare con il fumetto.

L’atmosfera grafica del libro è molto coerente ma vedo degli innesti fotografici. Di grande efficacia. Come mai hai fatto questa scelta?

Sai cosa…è tipo un effetto speciale. Ecco in questo particolare sfondo, sarebbe il famoso “trasparente” che nel cinema degli anni 40 si usava per simulare il movimento in macchina quando si girava negli studios, per risparmiare sulle esterne…

Marco Galli Oceania Boulevard

Poi mi piace giocare con il lettore, seminare qua e là particolari semi-nascosti che appaiono come sbagli di regia, il fumetto che finge di essere cinema che finge di essere realtà dentro un fumetto… sembra poco chiaro, ma, vedi l’esempio qui sotto? Fa capolino il microfono, la giraffa che non è stata tagliata in fase di montaggio da un montatore forse ubriaco.

Marco Galli Oceania Boulevard

O quest’altro, dove si vede lo studio di posa da fuori, come se per un momento il film che si vede, che è un fumetto, diventasse la realtà. È il gioco che mi piace fare tra finzione e reale: infondo c’è una teoria che sostiene che quando chiudiamo gli occhi la realtà cessa, anche a livello molecolare, chissà…

Marco Galli Oceania Boulevard

Infatti viene voglia di rileggerlo più volte per scoprire tutti i dettagli. Sveliamo qualche altro particolare, qualche altra citazione?

Beh, il personaggio di Mister Klaus, il nano, fisicamente l’ho mutuato da “Freaks” il film del 1932 diretto da Tod Browning. E sicuramente riconoscerete tra le ambientazioni un certo pavimento a scacchi ed una tenda rossa, come in “Twin Peaks”.

Sono molto felice se qualcuno mi dice che rilegge il mio libro. Purtroppo il fumetto in Italia è una di quelle cose che spesso si legge distrattamente. Si vedono molte volte fumetti letti per addormentarsi in spiaggia.

A me piace molto il formato libro, perché se fatto bene è una cosa che conservi, che rileggi, che riguardi. Tra l’altro il fumetto è l’unico medium, insieme alla letteratura scritta, in cui è il lettore a decidere i tempi della storia: puoi lasciarla, riprenderla, la sostanza e il ritmo non subiscono traumi. In più ha la forza dell’immagine statica, contemplativa, è un mezzo altamente interattivo.
Nel cinema, come nella musica, devi “subire” per tutta la durata. L’analisi critica, o la sublimazione, avviene solo alla fine: nel fumetto avviene nel mentre, nel presente. Secondo me questa fruizione, che caratterizza il “medium fumetto” è una cosa bellissima. Io credo molto nel lettore. Come si diceva prima, semino qua e là questi “giochetti”, perché voglio che il lettore interagisca con l’opera. Quando un libro è stampato, deve vivere di vita propria, l’autore conta poco ormai: il libro vive di chi lo legge.

Devo dire che non rinunci neanche a stupirci con il finale.

Pensa che il finale l’ho rifatto per ben tre volte. Si, perché,  come hanno già detto tanti altri prima di me (leggevo che anche Fellini diceva questa cosa): io non so mai come finiscono le mie storie, o cerco di non dirmelo. Quando scrivi, se conosci il finale, tutta la narrazione diventa un po’ meccanica, almeno per me. Io mi lascio sorprendere dall’andamento della storia, come spero succeda al lettore e inevitabilmente, è l’intreccio della trama a partorire il suo finale.

Senti ma come mai hai scelto di esplorare il campo dell’arte?

Beh, la teorizzazione, anzi predizione di Andy Warhol – che si è avverata – ci mette sotto gli occhi ogni giorno l’arte come prodotto, anzi oggi l’arte è forse più prodotto di tante altre cose, e come l’arte così il fumetto.
Io l’arte un pochino l’ho bazzicata…qui ho cercato di metterla in scena in tono sarcastico, giocando con archetipi, con i luoghi comuni. Ad esempio c’è l’artista che indossa insieme la spilletta con la svastica e quella con il simbolo della pace. La contraddizione profonda è che chi dovrebbe fare la cultura spesso non ha cultura. La cultura adesso è orizzontale, senza memoria: contemporanea fino all’idiozia con la paura di guardare indietro, perché chi lo fa è obsoleto. Invece, io credo, sapendo di dire una banalità, che l’arte se tale, non ha età, è eterna.

A proposito di cultura, quali sono le tue letture preferite? Da dove trai ispirazione per la tua scrittura?

Devo dire che leggo un po’ di tutto. Molti romanzi. Ad esempio sul mio comodino troveresti “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes, che per me è una lettura strepitosa e anche modernissima, oppure ultimamente sto leggendo molto Roberto Bolaño scrittore cileno, che mi piace moltissimo, dalla scrittura ricchissima. Quando ero giovane ho letto molto gli americani Hemingway, Miller…ora invece sto leggendo le poesie di Moravia. Non voglio fare l’intellettuale: per me è sempre stato così.
Quando avevo vent’anni e saltavo la scuola, mi ricordo che andavo sul lago di Garda, nell’ultima panchina sperduta in fondo e mi leggevo le poesie di Baudelaire, di Rimbaud. Questa cosa, ti confesso, che mi è servita moltissimo nel fare fumetti. Anche per la costruzione dei personaggi: ecco mettiti a leggere ‪Dostoevskij‬ e capisci tantissimo su come si deve costruire psicologicamente un personaggio, la profondità.

Però non scambiatemi per snob, la mia cultura è trasversale: comprende anche molto “mondo pop”, ho letto anche molto fumetto. Diciamo che adesso, alla mia età, i prodotti di massa mi dicono davvero poco, senza contare che sono sempre fatti peggio.

Se penso ad oggi forse le cose più interessanti le trovi nelle serie televisive, a livello di idee e di scrittura. Avendo dei tempi lunghi per raccontare riescono a costruire molto bene personaggi e intreccio, anche se spesso la ”longevità” diventa il limite, guarda Lost, un prodotto di genere indefinito, innovativo per i tempi, ma doveva finire alla prima serie, invece l’hanno costruito per accumulo, senza sapere dove andavano a finire… e non mi si faccia la “deificazione” degli sceneggiatori, si sono persi quasi subito e hanno finito pensando agli spettatori come a dei bambini dell’asilo.
Però confesso che non sono un grande amante della TV, per quelli della mia generazione la magia è nella pellicola…

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Ritorniamo all’audiovisivo dunque. Serie televisive, cinema…a questo proposito, secondo te quali cose nel fumetto riesci a fare e con questi altri linguaggi non potresti?

Molto banalmente, nel cinema riprendi quello che già esiste: la realtà. Magari filtrata da effetti speciali, ma le interazioni sono reali. Nel fumetto, invece, tu inventi quello che non esiste, crei una cosa che prima non c’era se non nella tua mente, è una cosa molto potente e, secondo me, non è ancora tanto capita.

Se dovessi riassumere i temi centrali del tuo lavoro, parlerei di una certa “visionarietà”, di una passione per il fantastico, che mi rispondi?

Come avrai capito, sono molto affascinato dal mondo “lynchano”, da spettatore mi piace molto questa cosa del surreale che entra nel reale, nella vita di ogni giorno. Come autore mi piace molto esplorare la dimensione del “visionario”. C’è un bel libro di David Lynch che si chiama “Nelle acque profonde” che parla di come la meditazione gli abbia cambiato profondamente il suo essere artista. Lui che era famoso per gli abissi oscuri da cui attingeva la sua poetica, attraverso la conoscenza del suo io profondo ha scoperto l’equilibrio e questo equilibrio, paradossalmente, gli ha permesso di esplorare ancora più profondamente il buio in fondo alla sua anima. L’essere “normale”, in pace con se stesso, gli ha permesso di non soggiogarsi alla propria morale, che , volenti o nolenti, ognuno di noi ha nel DNA educativo.
Se hai visto il suo ultimo film, “Inland Empire – L’impero della mente”, si capisce molto bene questa mancanza di “remore”: un opera apparentemente “solo stilistica”, secondo me molto personale e profonda. Molto affascinante, mi ha colpito.

Una curiosità: cosa ne pensi delle nuove tecnologie? Per quanto riguarda il digitale?

Il disegno digitale è una cosa che riesce ad affascinarmi a livello concettuale ma, anche se spesso per la colorazione uso photoshop, ho bisogno del supporto cartaceo e del gesto fisico, della lotta con la pressione, della grana del foglio da “incidere”. Probabilmente questa cosa fa parte del dato anagrafico. Quelli della mia generazione, cioè del ’71, hanno vissuto un mondo completamente diverso, un modo di vivere che non c’è più e io mi sento sempre di rincorrerla questa tecnologia, di essere sempre indietro, spesso non riesco a gestirla, troppi input mi distraggono .

E i socialnetwork li usi?

Ho iniziato a usare Facebook per una questione di coordinamento, di contatti di lavoro. Online c’è il mio progetto collettivo Fantakazzemberg che mi da davvero molta soddisfazione per la qualità degli autori, alcuni già affermati, altri no. Invito tutti a scoprirlo, c’è davvero molta roba seminale. Ho anche un blog.

Io l’indirizzo del blog di Marco, se volete commentare, ve lo lascio:

http://www.kazzemberg.com/

2 risposte a “Intervista a Marco Galli: Oceania Boulevard

  1. marco galli è uno dei miei preferiti e con oceania boulevard si è superato!!
    sceneggiatura magistrale e disegni stratosferici

  2. Pingback: L’illusion sans limite | A chacun sa lettre