PAULUS – l’arte concilia e sublima il cortocircuito tra Fede e Storia

Posta sempre in calce a ogni mio articolo la doverosa premessa che trovate QUI, sono onorato di poter deporre anche io un fiore ai piedi di quel monumento all’arte fumettistica italiana che è stato, e rimane, Gianni De Luca. Come ha correttamente scritto Tonio Troiani nell’articolo d’apertura al nostro omaggio collettivo:  “Sulla forza visionaria di De Luca…è stato detto in maniera unanime tutto quello che si poteva dire”.

Per questo, coerente con le dichiarate premesse, intendo rinunciare a qualsiasi disanima di tipo tecnico o storico (rimandandovi per questo alle pregevoli testimonianze fin qui  pubblicate), provando ad illuminare aspetti meno evidenti della grandezza del Nostro.

Nella vasta e multiforme produzione di De Luca, e nel non facile sorteggio d’un opera che fosse, fra le tante, peculiarmente significativa, ho scelto di affrontare “Paulus”, lo sforzo creativo, forse, riassuntivo della sua immensa carriera.

Pubblicato nel 1986 sulle pagine de “Il Giornalino”, su testi di Don Tommaso Mastrandrea, “Paulus” è uno straordinario tributo grafico alla figura dell’Apostolo di Tarso, che assurge (come già nella vulgata cattolica) a modello eterno e universale, non solo di santità, ma di ricerca della verità, di eroico coraggio e di sublime adesione all’ideale.

PAULUS predicazione

Molto bene.

Consentitemi (per onestà e per far risaltare ancor di più l’enorme talento di De Luca) di esprimermi brevemente a riguardo. Per una curiosa applicazione karmica del monito, non a caso, evangelico “nemo propheta in patria”, pur essendo cresciuto all’ombra della Basilica romana che reca il suo nome e custodisce le sue spoglie, per me Paolo di Tarso è un nemico della spiritualità.

A mio avviso, egli rappresenta il Grande Deformatore, colui che ha corrotto l’originale messaggio cristiano (condivisibile o meno che lo riteniate), imbastendo quella gigantesca sovrastruttura fondata sul senso di colpa e sulla scissione peccaminosa fra corpo e anima, che poi diverrà la cifra costitutiva della teologia e del catechismo della Chiesa Cattolica. Frattura che rappresenta il male radicale dell’Occidente. Lo ritengo il responsabile principale, assieme ad Agostino (sorta di sua reincarnazione e update) della corruzione della spiritualità in Occidente.

Paolo è l’uomo che con Freud ha realizzato il knock-out all’innocenza e alla spontaneità: egli ha posto le premesse della moderna nevrosi, frantumando l’unità psichica ed elevando questa condizione a dogma e paradigma di santità, pressando il tappo della repressione e della colpa sui naturali istinti sessuali, che il secondo ha fatto saltare dopo quasi duemila anni, provocandone l’indiscriminata esplosione.  Cosi siamo passati dalla follia dell’astinenza forzata alla confusione di una promiscuità indiscriminata, comunque infelice:  da un eccesso grottesco all’altro. La sua famosa sentenza (come Agostino e tutti i falsi guru era uno scrittore d’eccezione, capace di coniare slogan ipnotici): “noi vediamo come in uno specchio, per enigmi” sancisce la frattura dell’unità primordiale, consegnando la spiritualità cristiana a una tragica retroguardia rispetto alle vette luminose, ad esempio, dell’ Advaita Vedanta e del Taoismo, aggravando la separazione metafisica platonica del peso infame e fittizio della colpa e del culto del dolore.

Non sono certo né il primo né l’unico a fare simili considerazioni. Basti pensare a Nietzsche che indica in lui, non nel Cristo, il fondatore, e falsificatore, del Cristianesimo storico che egli intendeva combattere, e che alla sua impostura, al suo “sguardo malvagio” sulle passioni umane attribuisce la responsabilità d’aver fatto diventare il Cristianesimo “la più grande sventura dell’umanità”.   E dopo di lui come non citare Gibran, che in una delle sue vette, “Gesù Figlio dell’Uomo”, cosi sintetizza poeticamente: “Gesù…ci insegnava a rompere le catene della schiavitù per liberarci dal nostro ieri. Ma Paolo sta forgiando catene per l’uomo di domani.”. Questa antitesi tra i deliri misogini e sessuofobi di Paolo e l’autentica dimensione spirituale è magnificamente espressa in QUESTA scena del capolavoro di Andrej Tarkovskij, “Andrej Rublëv”, sublime parabola autenticamente cristiana sulla vita del grandissimo pittore monaco russo, autore della celebre “Trinità”. Più in là, si mostrerà esplicitamente la reazione di Rublëv, una vera personalità spirituale, in quel momento in crisi, alle assurde proibizioni dogmatiche della “Lettera ai Corinzi” (http://it.gloria.tv/?media=217773 da 1.16 a 1.21.03)

TRINITA

Questa prolusione antipaolina non è un mero sfogo, ma credo sia funzionale a far risaltare la grandezza di De Luca. Con la stessa convinzione infatti affermo che, stante tutto ciò che ho dichiarato, “Paulus” è una lettura meravigliosa. Sì grande è la sapienza narrativa e la coerenza formale dell’opera da rendere il racconto delle gesta del supposto santo plausibile ed entusiamante anche per chi, come me, ha tutt’altra visione del personaggio.

Il magistero tecnico e registico di De Luca si dispiega sontuoso, smussando e redimendo le ingenuità agiografiche della sceneggiatura (che comunque, al netto delle visioni ideologiche, ha la sua intelligenza). L’accorgimento narrativo (non originale, ma di grandissimo impatto e pertinenza filosofica) è quello di raccontare nella cornice di un futuro distopico, dominato da un sistema disumano di terrore e schiavitù, la scoperta illuminante degli “Atti degli Apostoli”, e del loro messaggio rivoluzionario di liberazione spirituale. Per chi scrive, la dinamica narrativa nasce da un paradosso menzognero, fondato sulla fede nell’assurdo (Tertulliano docet). Paolo, che ai nostri occhi (confortati da evidenze filologiche) è stato il grande censore e manipolatore dei testi evangelici (un cut- up ben più riuscito, e ahimè di successo, degli esperimenti di Burroughs), appare qui proprio come l’oggetto di una censura millenaria. Un uomo libero infiammato dal vero,  e quindi rimosso dal Potere nella memoria collettiva. Troppo pericolosa la sua ardente testimonianza, troppo deflagrante la potenza simbolica della sua conversione. Un modello troppo luminoso per non essere cancellato dalla Storia, un esempio di libero pensiero da tacitare per sempre.

Un breve riassunto della trama: in un futuro lontano l’umanità è padrona della galassia, al vertice del cui Impero c’è una figura demoniaca, lo SATS (Supremo Autocrate Tempo Spazio). Paulus è lo storico di regime, fedelissimo alla legge autoritaria, responsabile dell’archivio universale di tutta la conoscenza umana. Nelle sue ricerche si accorge della rimozione di un documento particolare, una testimonianza video degli avvenimenti successivi alla Resurrezione del Cristo, dominata dalla figura di Saulo di Tarso (praticamente gli “Atti degli Apostoli”).

Animato da ricerca intellettuale, Paulus si troverà ad affrontare l’inflessibile autorità dello SATS, e le velenose cospirazioni del primo guerriero Mavors, invidioso della sua confidenza con l’Imperatore.  Ma il vero combattimento sarà ovviamente quello interiore, contro i condizionamenti della legge, per far emergere in sè lo spirito di coraggio e verità. Cuore della narrazione sono ovviamente le scene in cui Paulus studia, e ci mostra, le riproduzioni video della storia dell’Apostolo: la contemporaneità diventa cornice dell’Eterno.

In questo modo l’autore ha la possibilità di giocare, con piena maturità, la sua versatilità tecnica in una duplice e parallela esposizione grafica:  raccontando il “presente” fantascientifico con piena aderenza al genere (tecnica pennini a inchiostro),  esaltando per contrasto nei tratti pittorici la solennità della testimonianza evangelica (tecnica tempere e pennelli). Di più, con grande misura stilistica De Luca calibra i differenti linguaggi, evitando ogni stridore, al contrario orchestrandoli in un armonioso controcanto. Se da un lato attinge con sapiente discernimento all’immaginario pop (evidenti richiami a “Star Wars”, a “Superman”, con possibili suggestioni moebiusiane), dall’altro distilla con grazia la calligrafia delle rappresentazioni evangeliche, innervandola di un pathos che rifugge ogni banalizzazione da santino.

PAULUS isaia

Noi assistiamo, accanto al bibliotecario e al suo Alter (la sua “intelligenza profonda”, diremmo emotiva,  sorta di versione “alta” di C1-P8), al miracolo della rivelazione, ne condividiamo la meraviglia interiore, il crescente stupore, il “timore e tremore” kierkegaardiano di fronte al progressivo disvelarsi del sacro. Viviamo in noi stessi le fasi della sua conversione, a sua volta ispirate, quasi ritmate, da quella dell’apostolo. In questo modo De Luca risolve genialmente il difficile intreccio di dover comunicare la compenetrazione temporale, nodo del cristianesimo, tra Eterno e Contingente. E lo fa con tale rigore da porre in ombra le esplicitazioni troppo didascaliche del testo (il parallelo tra Impero Romano e Impero Galattico  è sottolineato più volte, per non parlare dell’immedesimazione tra i due protagonisti dichiarata fin dal titolo).

Come scrive T.S.Eliot nei  Cori da “La Rocca” (forse la più alta riflessione poetica sul ruolo ideale della Chiesa) per i cristiani l’Incarnazione fu “…un momento nel tempo e del tempo,/ Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando, bisecando il mondo del tempo…/ Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c’è tempo, e quel momento di tempo diede il significato.” E se, come intuiva il grande Chesterton in “Ortodossia” (libro pericolosissimo, talmente bello che uno rischia di convertirsi al cattolicesimo!),  è il cristianesimo ad aver portato nella Storia il concetto di “sensazionale romanzo”  (il ritorno dantesco a Dio attraverso il Tempo), e  “l’avventura suprema è nascere” (dirà in “Eretici”), De Luca coglie questo aspetto cruciale e lo restituisce intatto e potenziato, rinnovando il mistero perennemente attuale dell’Incarnazione in un indeterminato futuro fantascientifico.

PAULUS futuro

L’espressione visuale delle dinamiche del tempo interiore (abisso della riflessione agostiniana, da De Luca già mirabilmente riuscita nell'”Amleto” come ben spiegato QUI e QUI) trova qui piena applicazione nella più alta delle sfide. Fare arte nella diffusione didascalica di un messaggio (più che mai di quello che è dominante da duemila anni!!) è cimento da geni.  De Luca qui dimostra d’esserlo  stato. Tale è il genio che il messaggio (consunto nelle sue millenarie ripetizioni scolastiche) ritrova tutta la sua potenza universale.

PAULUS CONVERSIONE

L’uomo, posseduto dal trionfo della propria razionalità,  scopre che il culmine del progresso tecnologico  coincide con la schiavitù globale, con la de-umanizzazione collettiva (riflessione che, fuori dalla visione cristiana, è drammaticamente condivisa da pensatori eretici, come  Pasolini, o accostabile ad eminenze di visioni contrapposte come Horkheimer/Adorno o Baudrillard). Come in Kubrick, al termine della folle ebbrezza, dantescamente diremmo del “folle volo”, della propria hybris (rappresentata dalla celebre sequenza psichedelica), l’uomo si ritrova inerme e solo di fronte all’Assoluto.  Ma al contrario del finale di “2001-Odissea nello Spazio” l’uomo non trova un monolite (significante assoluto del Mistero) di fronte a cui specchiare kafkianamente la propria impossibilità di conoscere il proprio senso e destino. In “Paulus” s’incontra una rivelazione, che parla, comunica, testimonia, coinvolge, arde e trasforma in una nuova rinascita.

PAULUS finale

Il finale, eroico e palingenetico, commuove e ispira,  nonostante la prevedibilità narrativa e la pesantezza opprimente dell’obbligo didascalico.

Ovviamente, ci siamo sorpresi a tifare per Mavors tutto il tempo. Lo snodo narrativo apre la possibilità di uno spin-off per per gnostici idealisti: “what if”  un giorno si perpetuasse l’intera conoscenza umana tranne l’inganno ideologico della deformazione paolina? Immaginate un’umanità senza senso di colpa, senza ossessioni sessuofobiche (e quindi senza nemmeno, per reazione elastica, la leggittimazione culturale della schiavitù dei sensi, mascherata da libertà), senza il cappio del dogma e i condizionamenti di una fede artefatta…sarebbe ben oltre le utopie cantate da Lennon…

In conclusione, non possiamo che essere fieri della grande opera di De Luca, un artista completo, multiforme, innovativo, aperto alla sperimentazione eppure in grado di creare indimenticabili icone per il pubblico generalista. Un fuoriclasse del tratto e un maestro della forma, che, per tecnica, cultura ed onestà merita di esser messo accanto, senza sfigurare, pur nelle evidenti diversità, a mostri sacri come Frank Miller e Moebius.

Più che mai queste qualità si fondono ed esaltano in “Paulus”, nel cui equilibrio formale  si assume e risolve il cortocircuito tra fede e storia, tra menzogna e verità, tra scepsi e credenza, nella proiezione ideale di una controversa figura storica. Ancora una volta, un’opera di alto valore che testimonia la peculiarità espressiva del fumetto come “arte invisibile”.

2 risposte a “PAULUS – l’arte concilia e sublima il cortocircuito tra Fede e Storia

  1. Io non sono d’accordo con la visione così negativa che hai tu di San Paolo, a me viene in mente la frase di Pasolini “San Paolo bolsevico” che ha mandato in frantumi la società romana, più che assumerla. Poi si sa lui era un farisei ed ha mantenuto per tutta la vita una mentalità farisaica, ma forse se guardiamo al fatto che a differenza di Gesù, lui e gli altri apostoli hanno dovuto organizzare una comunità diffusa in tutto il Mediterraneo e darle delle regole.
    Poi la spiritualità non è imperfetta solo in Occidente. Se pensiamo per esempio al Tibet lamaista, quello era un vero inferno terreno, dove con la mistica buddista si giustificava lo schiavismo, il feudalesimo, le mutilazioni, la pena di morte e chissà quante altre aberrazioni.

  2. Caro Paolo, i tuoi riferimenti sono corretti e pertinenti, ma per quello che mi riguarda confermano il mio punto di vista. Pasolini, una delle più grandi menti profetiche del Novecento, era un uomo stritolato dai sensi di colpa, che non aveva certo una visione equilibrata della sessualità. Non mi riferisco al suo essere omosessuale, ma alla tragica lacerazione masochistica con cui lo viveva, che lo portò prima a celebrarlo nella “Trilogia della Vita” come elemento di gioia popolare, per poi sprofondare nell’inferno sadiano di “Salò”, un volta riconosciuta l’ormai avvenuta mercificazione dei corpi e delle coscienze. Inoltre, per me essere bolscevichi significa aderire ad una chiesa, atea, ma uguale e contraria a quella cattolica, parimenti fondata sulla fede cieca e il terrore. La mentalità farisaica sa meglio di me che è stata quella combattuta da Gesù, il punto è che le regole della comunità non erano semplicemente quelle date da Gesù. Per non parlare della rimozione, prima meramente filologica e poi fisicamente violenta, della Gnosi. Credo che tu sappia, meglio di me, che per il catechismo della Chiesa Cattolica le parole di Paolo (come quelle dei Padri della Chiesa, la cosiddetta Tradizione) hanno lo stesso coefficiente di verità rivelata della parole di Gesù. Si tratta oggettivamente di una struttura ideologica costruita a posteriori, che ha posto dogmi e regole mai enunciate da Gesù (l’astinenza sessuale per preti e suore, anzi l’invenzione stessa di preti e suore, ad esempio). Sono perfettamente d’accordo sul Tibet lamaista, anche io considero quella forma di buddismo una deformazione analoga a quella accaduta nel cristianesimo storico. Infatti, mi sono riferito non a tradizioni religiose strutturate (anche l’induismo ha la vergogna delle caste), ma a visioni filosofiche. Personalmente, rispetto la fede e la devozione delle persone, non intendo offendere nessuno, ma se vogliamo parlare fuori dei dogmi, credo che alcune considerazioni possano essere accettabili anche da chi è cristiano senza paraocchi (ad esempio il citato Tarkovskij).
    Grazie comunque del tuo intervento.