Conversazione con Roberto La Forgia

di Andrea Queirolo 

Una chat con Roberto La Forgia incentrata sul suo nuovo libro Il Signore Dei Colori. Occhio agli spoiler!

AQ – Ho letto il tuo libro, mi è piaciuto molto.

RLF – Mi fa piacere.

AQ – Ho notato diverse influenze interessanti. C’è una bambina che mi ricorda la moglie di Andy Capp. Non so se c’entri qualcosa.

RLF – Chi? Lucrezia? In realtà pensavo a Lucy dei Peanuts mentre scrivevo i suoi dialoghi e la facevo muovere.

AQ – aaaah… si, certo!

RLF – Quella sicurezza di sé ottusa e completamente improvvisata mi ha sempre divertito. Sembra che voglia a tutti i costi apparire più grande di quello che è e questo è profondamente vero in molti bambini, soprattutto quando si scontrano.

AQ – Sai, è sempre dura parlare di qualcosa che non è tuo. Ci leggi delle cose che l’autore non pensava neanche. È un po’ un paradosso. Nei paesaggi di campagna mi hai ricordato gli sfondi di Krazy Kat.

RLF – ahahah… mi vien da ridere. Mi ha detto la stessa cosa Vincenzo Filosa. Credo di poter dire che Krazy Kat non sia proprio tra le mie grandi influenze. Però l’avete notato tutti e due. quindi adesso devo assolutamente riaprire Krazy Kat.

AQ – O quando disegni le persone di contorno con certe facce improbabili, mi è parso di vedere qualcosa di Munoz.

RLF – Sì, lui c’è sempre. Ma Il signore dei colori è tutto fuorché un libro munoziano. Hai proprio strizzato gli occhi per tirarmi fuori Munoz. Ma posso confermare. Tutte le volte che disegno una folla, penso a Munoz. È più forte di me. E se sapessi disegnare come lui metterei folle in tutte le vignette.

AQ – C’è qualcosa di autobiografico nella tua storia?

RLF – Certo, l’ambientazione e i due ragazzini più grandi.

AQ – Siete tu e tuo fratello?

RLF – No, siamo io e un mio amico di quel periodo o almeno siamo il punto di partenza da cui ho creato i personaggi di Luca e Gianni. Un po’ tutto nel libro guarda al contesto di questo paesino del sud a cavallo tra gli anni ottanta e novanta. Mentre nella figura del pedofilo ho fatto di tutto per ritrarre una psicologia il più possibile vicino alla mia.

AQ – In che senso? Spiegami meglio.

RLF – È stato difficile lavorare su questo personaggio, come puoi immaginare. La cosa più banale, su cui (confesso) inizialmente sono incappato, è quella di concentrarsi esclusivamente sulla sua libido e l’attrazione verso i bambini. Poi ti accorgi che è impossibile che un pedofilo sia soltanto un pedofilo. Sarebbe come dire che un etero attratto da persone della sua età è soltanto quello e nient’altro. Ho voluto fare un quadro più realistico della psicologia di questo personaggio così mi sono immedesimato in lui.

AQ – In effetti, mentre leggevo, mi è sembrato strano che il venditore di fumetti fosse un pedofilo. C’erano degli accenni ma non così diretti.

RLF – Non è stato facile provare a pensare come lui, immaginare la sua vita di tutti i giorni e soprattutto infilarsi nella sua libido. Gli ho dato un lavoro in qualche modo vicino al mio. Io faccio fumetti, lui li vende e li legge e ne è appassionato, in qualche modo come me. Questo è stato un piccolo escamotage per avere un primo appiglio su cui tenermi. Ma è stato solo un modo per cominciare a immedesimarmici. L’ho avvertita come una responsabilità.

AQ – È sicuramente uno dei punti forti del libro. Alla fine, il fatto che questo sia davvero un pedofilo è quasi un colpo di scena.

RLF – Esattamente come la viviamo nella realtà.

AQ – È come se avessi donato un’anima a un personaggio che non può averla.

RLF – E invece ce l’ha, per quanto possa sembrarci assurdo. I mostri non esistono. Inoltre la mostrificazione penso crei più problemi alle vittime che agli aggressori. Come fa un bambino a superare il suo trauma se gli diciamo che è stato aggredito da un mostro?

AQ – Mi ha incuriosito la scelta sul colore. Non credo di aver mai visto una bicromia con quell’arancione.

RLF – L’arancione l’ho calibrato tenendo conto che la storia si svolge sia alla luce del giorno che di notte. Volevo un colore che illuminasse le scene notturne. È la sensazione che ho quando ricordo le serate di quando ero bambino. Restavamo fuori fino a mezzanotte ma ci sentivamo sempre in qualche modo al sicuro, come se fosse tutto illuminato.

AQ – Le scene di violenza sono in bianco e nero e dopo tante pagine in arancio, la sua scomparsa colpisce.

RLF – Sì. Nella scena del pestaggio accade qualcosa che mi hanno fatto riflettere sull’uso del colore. I due bambini assistono a qualcosa che conoscono già e che praticano, la violenza. I ragazzini (non quelli di oggi) si menavano, si scontrano per definire una gerarchia nel loro gruppo. Ma in questa scena tra adulti assistono a qualcosa di nuovo o comunque non così frequente nelle loro vite: la violenza come punizione.

AQ – Infatti inizialmente i ragazzi sono attratti dalla scena ma ne escono emotivamente colpiti.

RLF – mentre invece non conoscono, anzi non concepiscono ancora, la violenza sessuale. Avvertono qualcosa di insolito negli atteggiamenti di Paolo ma la loro reazione è pressoché confusa e inconcludente.

AQ – È vero. Nel trio c’è un ragazzo più sveglio degli altri però.

RLF – Sì, Luca, il leader del trio è attratto da una ragazza della sua età. Ho voluto che il lettore assistesse parallelamente a una vicenda di innamoramento tra ragazzi, una storia tenera, curiosa e serena seppur con le sue naturali delusioni tutto sommato formative anche quelle. Un parallelo tra le due vicende che fa esaltare i punti e le sfumature in contrasto e altri in comune.

AQ – Il libro di scienze in realtà che giornale sarebbe? Voglio il titolo!

RLF – ahahah… che ne so… noi trovavamo pagine strappate disperse in un campo che funzionava come pista da moto cross (con le biciclette) e per qualcuno come pseudo discarica. Pensa un po’… non potevamo permetterci neanche un’autentica discarica.

AQ – Io ricordo Le Ore e che un mio compagno arrivava spesso in classe con Telesette, all’epoca il più gettonato, dove trovavi foto delle fighe della tv senza veli.

RLF – Ah, sì ce l’avevo anch’io un amico che lo prendeva. Di lui dicevamo “lui ce li ha tutti!”.

AQ – sì… Tutti! Si diceva proprio così.

RLF – una grande generazione, la nostra!

AQ – ahahaha… tornando alle cose serie. Quello che sentiamo dalla tv quando Paolino accudisce sua madre. Sentiamo tutto ma non vediamo mai l’immagine video. Cosa c’è dietro questa scelta?

RLF – Anche qui, un contrasto. Ho voluto far digrignare il silenzio tra madre e figlio con il blaterare della tv. L’immagine video è quella di Paolo e sua madre che non trovano punti d’incontro.

AQ – Ho notato diversi di lavoro. Hai toccato aspetti diversi della società: la diversità tra bambini e bambine, i loro giochi o fra bambini e anziani come nella scena in cui Paolo lancia i sassi alle anatre e viene subito rimbrottato da un vecchio.

RLF – Sono le piccole cose a rendere autentiche le cose più importanti. Ho evitato di portare il lettore su un unico binario (la pedofilia o l’abuso) sarebbe stato riduttivo, volgare. Personalmente – da lettore – l’avrei sentita come un’offesa alla mia intelligenza.

AQ – È vero, questi momenti rafforzano la trama rendendola più credibile. Come nella scena in cui i due ragazzi Luca e Jessica vivono la loro prima esperienza sessuale che hai scelto di rappresentare ma senza mostrare troppo. È incredibilmente vera nell’innocenza dei due ragazzi. Poi mi ha fatto sbellicare la storia che Luca s’inventa sull’organo variabile, quella dei tre ragazzini che fanno una confusione infinita sul numero di “buchi” che hanno le donne o ancora quella che se ti “ferisci per cinque volte sullo stesso punto, muori”. Sono momenti che donano credibilità a tutto.

RLF – Il dramma e la commedia. Questa natura è presente molto anche nel cinema italiano degli anni 60. Comencini e Germi in primis.

AQ – È proprio qui che volevo arrivare. Uno dei punti di forza del tuo libro sono queste accelerazioni e queste pause e i passaggi dall’ironico al drammatico. Ci vedo anche Risi.

RLF – Sì. Non penso si possa parlare d’influenza in senso lato, credo di aver maturato questo dualismo ironico-drammatico fin da piccolo ma certamente questo è uno degli aspetti che mi fa più amare questo cinema.

AQ – Infatti queste assonanze con il cinema italiano le ho trovate anche in Fior e Tota. Forse la nostra generazione ha assimilato questi film molto di più di chi li ha visti nelle sale, appena usciti.

RLF – Gassman spennacchiava sugli spalti nei panni di un ultrà idiota e leggeva Dante con un tono austero su sfondo nero. Le stesse performance sono eseguite con intensa profondità e precisione. Questa è un altro aspetto che ammiro molto negli attori di quella generazione. C’era una società da ritrarre e da sporcarsi le mani senza farsi troppi scrupoli. Lo vedo come un insegnamento.

6 risposte a “Conversazione con Roberto La Forgia

  1. bella intervista. leggera ma interessante in diversi passaggi. chissà, magari il fumetto di la forgia me lo prendo, prima o poi (tenendo conto che non compro fumetti da mesi!!!) 🙂
    g.

  2. La tricromìa scelta mi ricorda ” La Tremenda Lulù ” di Yves Saint-Laurent, fumetto pubblicato qualche anno fa in Italia.

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