Della critica fumettistica, un contributo alla conversazione

di Daniele Barbieri

Proseguiamo la nostra discussione sulla critica fumettistica (o del fumetto) con un intervento di Daniele Barbieri, che ringrazio per aver accettato di partecipare a questa importante conversazione.
-Andrea Queirolo 

Andrea Queirolo mi domanda di dire la mia sul suo sempre interessante blog a proposito della critica fumettistica, facendo seguito all’intervento di Marco Pellitteri pubblicato il 20 giugno. Posso partire proprio da lì, perché le cose che dice Marco mi sembrano degli imprescindibili punti di partenza, a parte alcune (del tutto marginali) questioni terminologiche: siamo già divisi sul genere grammaticale dell’espressione graphic novel (ma non sull’idea che sarebbe meglio sostituirla con il corrispondente italiano), e ora anche sull’espressione critica fumettistica, che, sensata o meno, è comunque il nome che ha questa roba di cui cerchiamo di parlare qui. Comunque sulle parole alla fine ci si intende, specie se poi, magari con parole diverse, esprimiamo opinioni molto simili.

Una differenza fondamentale però c’è, che non è di opinione, bensì – diciamo così – di vocazione. Nelle ultime righe del suo intervento, Pellitteri dice:

Il mio focus è quello di capire perché un dato fumetto piace o non piace, ha successo o meno, se funziona o no, cosa fanno le persone con quell’opera, qual è il ruolo del fumetto nel sistema delle arti e dei media ecc. Non mi interessa affatto scrivere sul perché quel fumetto piaccia o non piaccia a me (critica soggettiva) o perché dovrebbe piacere o non piacere al resto del mondo (valutazione giudicante presuntamente oggettiva, ma in realtà un’estensione della prima). Lo studio scientifico, insomma, ha una valenza descrittiva ed esplicativa, non prescrittiva.

Sono d’accordo sulle conclusioni, ma solo in parte sul modo in cui ci si arriva. E il disaccordo non si basa sull’idea che il procedimento qui proposto sia sbagliato; anzi lo trovo giustissimo, proficuo e assolutamente legittimo. Solo che non è il mio.

Anch’io cerco di capire perché un dato fumetto piace o non piace, ha successo o meno, se funziona o no, cosa fanno le persone con quell’opera, qual è il ruolo del fumetto nel sistema delle arti e dei media ecc. Ma il mio punto di partenza sono inevitabilmente le mie sensazioni, il mio vissuto di lettore nei suoi confronti. Ho scritto un lungo post su questo tema (Della lettura e della critica, http://guardareleggere.wordpress.com/2011/01/10/della-lettura-e-della-critica/) e non ho voglia di ripetere ora il percorso di quel ragionamento, quindi vi rimando direttamente al post. Il tema specifico lì è quello della poesia e non quello del fumetto, ma è davvero molto facile cambiare l’oggetto, e il discorso rimane esattamente il medesimo.

Il mio procedimento, qualunque sia il mio oggetto, parte sempre dalle sensazioni che il testo ha prodotto in me, buone o cattive che siano. A questo punto il lavoro da critico inizia con il cercare di capire il perché di queste sensazioni. Non è detto che io ci riesca subito: tra l’altro, è buffo che uno dei post che ha avuto più successo sul mio blog si basasse proprio sul fatto che un certo autore mi piaceva molto e non ero in grado al momento di capire perché (Di Manuele Fior che mi inquieta, http://guardareleggere.wordpress.com/2010/09/15/di-manuele-fior-che-mi-inquieta/), mentre un post successivo in cui mi sentivo finalmente in grado di spiegare qualche ragione del mio apprezzamento (Di Manuele Fior che mi inquieta, e perché, http://guardareleggere.wordpress.com/2011/02/07/di-manuele-fior-che-mi-inquieta-e-perche/) ha avuto molto meno lettori.

Potremmo magari prendere proprio questi due casi come esempio, l’uno, di una critica “prescrittiva” (ma è una parola molto forte; forse è sufficiente chiamarla, come spesso si fa, critica militante, quella che cerca di influire sulle opinioni e gli acquisti dei propri lettori parlando bene di un testo che apprezziamo), e l’altro di una critica “descrittiva ed esplicativa”. La prima non è sbagliata, a qualsiasi livello la si faccia, ma è solo un punto di partenza, un segnaposto d’occasione, un modo per richiamare l’attenzione dicendo: “ehi, qui c’è qualcosa che mi sembra interessante! Cosa ne dite?” La critica militante ci vuole, così come ci vogliono i consigli degli amici su cosa leggere, perché senza è molto più difficile orientarci. Ma non è che ci insegni davvero qualcosa sui testi, a fumetti come di qualsiasi tipo: è un segnale di direzione, affidabile quanto è affidabile chi lo produce.

L’altra critica, quella che nel secondo dei due post ha un (rapido e breve) abbozzo, per come la intendo io deve cercare di scavare nel substrato culturale del testo. Il metodo che seguo può apparire soggettivo, ma in realtà non lo è se sto attento a escludere dalla valutazione tutti quei motivi che sono davvero esclusivamente soggettivi: insomma, se mi rendo conto che un testo mi piace perché c’è un personaggio che mi ricorda mia nonna, be’, questo è certamente un dato soggettivo. Ma se un testo mi piace perché ci trovo una particolare e ben costruita corrispondenza con un racconto di Musil (non una citazione, solo un’analogia) allora qui posso contare sul fatto che questa corrispondenza può essere colta non solo da chiunque altro abbia letto Musil, ma anche – pur in misura minore – da tutti coloro che, non avendo letto Musil, sono però cresciuti in un contesto culturale in cui il modo di raccontare di Musil ha lasciato profonde tracce, e sentono perciò l’effetto delle tracce anche senza saper dire chi le ha lasciate. In altre parole, anche se il metodo si basa sulle mie sensazioni, la critica è critica solo se ne individua delle motivazioni che possono essere comuni, condivise da un sufficiente numero di lettori (tutti non sono mai). A questo scopo io coltivo costantemente un’attenzione critica in me, un riconoscere il fondo dei miei atteggiamenti.

Quando parliamo di arte sembra sempre che parliamo di qualcosa di alto, che esclude il popolare. Ci dimentichiamo che questa opposizione era sconosciuta prima del Rinascimento, e che anche dopo è stata molto più ideologica che effettiva. Arte è quindi una parola che io uso con moltissime pinzette, e che preferisco scomporre in particelle più elementari, dai nomi meno compromessi e pomposi. Preferisco dire un testo (una storia a fumetti) che mi colpisce, che lascia il segno – oppure, che mi lascia indifferente, che mi annoia. Tra Sclavi e Mattotti forse alla fine preferisco Mattotti, ma mi colpiscono molto anche certe storie di Sclavi.

La critica fumettistica dovrebbe lasciar perdere l’arte, e smettere di leggere “ogni testo come se fosse l’Iliade” (grazie Marco D). L’Iliade è un testo che mi colpisce molto, indubbiamente, e anche certe storie a fumetti lo fanno. I testi che non mi colpiscono sono purtroppo molti di più, dentro e fuori dal mondo del fumetto: in linea di massima li dovremmo dimenticare, escludere dall’universo del nostro discorso critico. Non lo possiamo fare se riteniamo eticamente necessario parlarne: per esempio, grandi aspettative su un testo che si rivela poi essere una ciofeca possono essere un buon motivo per cercare di spiegare perché è una ciofeca, ma anche perché c’erano grandi aspettative. Non lo possiamo fare se facciamo i sociologi (come Marco Pellitteri), o gli storici (come anch’io quando lo faccio), o quando guardiamo al fumetto come un fenomeno culturale nel suo complesso, ovvero se facciamo gli antropologi.

Secondo Pellitteri questa non si chiamerebbe più critica fumettistica in senso stretto. Forse ha ragione: in queste prospettive si studia il fumetto come un fenomeno tra gli altri. Ma i confini tra i diversi atteggiamenti sono poi così sfumati che sarebbe dura dire dove finisce la critica e inizia lo studio. Non sono contrario a un allargamento del concetto, purché poi, andando nello specifico, si possa capire di che cosa si sta in realtà parlando: se di critica militante, di critica (diciamo così) estetico-semiotica, di critica sociologia, storica, antropologica e così via…

Ah, dimenticavo. C’è poi naturalmente anche il giornalismo, ovvero il fornire notizie aggiornate sul mondo del fumetto. Una cosa utilissima, quando fatta bene, ma che non c’entra con la critica, se non come qualcosa che le può essere utile. Ovviamente, il giornalismo si può mescolare con la critica, specie militante, e possiamo avere articoli di carattere misto – il che rende anche questi confini sfumati. Ma non c’è critica in sé nel far sapere che, poniamo, la DC Comics sta per lanciare una rivoluzione delle sue testate, o che il tale autore ha litigato con la tale casa editrice.

5 risposte a “Della critica fumettistica, un contributo alla conversazione

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  2. prego: come al solito nanetto sulle spalle di Umberto da Baskerville.

  3. Ho letto con molto interesse tutti gli interventi sin ora pubblicati e mi sembra di cogliere in generale dei frammenti della storica contrapposizione tra critica militante e critica accademica, per quanto riguarda le produzioni letterarie.
    Personalmente non riesco a trovare tutta questa negatività di base nella critica valutativa, quando essa è coadiuvata da una seria esposizione e da un metodo coerente, pur quando si parte da un’analisi puramente soggettiva. Anzi, se mi pongo come lettore, posso dire d’essere spesso maggiormente coinvolto dall’intensità di un’esposizione “militante” su questo o quel prodotto, affrontata magari da una persona che conosco o che stimo.
    Ritengo quindi che, oltre alle metodologie di studio, sarebbe altrettanto importante stabilire le finalità della critica stessa e soprattutto il destinatario principe della stessa, nonché la consapevolezza e la padronanza del medium che si sta utilizzando: se cioè si stia affrontando un discorso prettamente accademico, o un’opera principalmente divulgativa, o ancora un post di un blog. Cambierà dunque di volta in volta la morfologia del linguaggio, così come la semantica dei termini; persino l’indice di leggibilità e la lunghezza del testo stesso, dato che un’esposizione online ha dei ritmi di lettura assai diversi da quelli di un saggio stampato [affinché la comunicazione al lettore sia ottimale, ovviamente].
    L’auspicio dovrebbe essere una delle conclusioni a cui giunge Barbieri, cioè che comunque si possa capire di che cosa si sta in realtà parlando. Seguendo questo ragionalmento, a mio parere ogni approccio sarebbe perfettamente legittimato, a patto d’esser chiaro nei suoi intenti.

  4. Marco Pellitteri

    AndreaP, se apprezzo molto il tuo interesse e le tue considerazioni, credo che ci possa essere qui un piccolo equivoco (mi riferisco a una possibile incomprensione parziale del contenuto dei miei due post sul tema, in questo blog). A mio avviso non dovrebbe esserci distinzione fra critica accademica e critica valutativa. La critica, anche se accademica, è sempre valutativa: per questo si chiama critica.
    In soldoni: da una parte c’è la critica e dall’altra c’è lo studio scientifico. Lo studio, in quanto tale, descrive, analizza e spiega, ma tendenzialmente non dà giudizi di valore: deve evitarlo il più possibile per scongiurare il pericolo della potenza dialettica di coloro che Max Weber chiamava, con sacrosanto disprezzo, “i profeti della cattedra”, la cui influenza nell’indicare il buono e il brutto poteva (può) inficiare la libertà e la teorica obiettività della scienza.
    La critica invece si inserisce in un sistema delle arti e delle professioni incluse in tale sistema e parte dal presupposto di dover valutare. Quindi si serve di determinati strumenti di analisi che molto spesso e per la maggior parte sono altri rispetto a quelli usati dallo studio in senso stretto.
    Ma ciò che ho sottolineato, personalmente, è che qualsiasi critica (da quella che vuole porsi in modo più moderato a quella che vuole essere militante, qualsiasi cosa voglia dire questa parola, che a mio avviso è estremamente ambigua oltre che brutta a livello etimologico) dovrebbe basarsi, per essere credibile e solida, su di un metodo rigoroso.
    Questo metodo non solo è sconosciuto dalla maggior parte dei cosiddetti critici del fumetto, ma è da molti anche snobbato a priori. Si tratta di un metodo di cui ho parlato nei miei interventi (sono solo il mio punto di vista, come tale soggetto a mille discussioni e obiezioni se non confutazioni).
    Marco

  5. in questi anni, a intervalli irregolari, riemerge il tema della critica fumettistica. Il livello e gli esiti di queste discussioni è alterno.
    ad un certo punto si è parlato di strumenti e cassetta degli attrezzi, per verificare se esistessero appunto degli strumenti per impostare dei metodi di ricerca e interpretazione.
    La rete però è anche e soprattutto partecipazione. Per cui ogni discussione in merito rischia di essere una fiammata, anche luminosa. Comincio ad essere un poco scettico su cosa lasciano, alla fine, le discussioni in rete. Incidono sicuramente, ma non so se riescono a far crescere.
    Certo, questo blog è un bel segnale. E’ un luogo di discussione, confronto e soprattutto approfondimento.
    Tra una discussione e l’altra, la cosa importante, è però che ci siano iniziative, strutture, banche dati, collezioni raggiungibili, documenti disponibili. Cioè i luoghi, le strutture, gli ambienti dove si possa fare ricerca, studiare, confrontare.
    Invece, in genere, ogni critico lavora sulla sua personale biblioteca, incrociata con il proprio bagaglio culturale ed esperenziale. Certo non è poco. Ma non fa sistema.