LA PROPRIETÀ – Intervista a Rutu Modan

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Nel suo articolo su “Il Messaggero”  intitolato “Un mondo di carta” (lo trovate QUI), Giuseppe Montesano sostiene che “La proprietà” di Rutu Modan “potrebbe essere un romanzo di Isaac Bashevis Singer, ambientato in Polonia tra gli echi di una storia d’amore tenera e crudele e la persecuzione contro gli ebrei”. L’intuizione dello scrittore napoletano (autore, tra l’altro, di un notevole “romanzo critico” su Charles Baudelaire“Il ribelle in guanti rosa”) è molto interessante e merita di essere approfondita. Ad una prima lettura, tematiche ed atmosfere del libro possono senza dubbio evocare il grandioso precedente dell’autore de “La Famiglia Moskat”. Ma in realtà, dall’accostamento col grande maestro della letteratura yiddish, sono le differenze che emergono ad essere più rivelatrici della peculiare identità dell’opera grafica. Differenze, soprattutto, d’ispirazione e di rapporto con la tradizione, ineludibile nella sua sacra (oseremmo dire) ingombranza, della cultura ebraica.  Infatti, nei meravigliosi romanzi e racconti del Premio Nobel d’origine polacca, forte e radicato è il senso della custodia culturale degli antichi valori religiosi, sottoposti al vortice continuo del divenire storico.L’atteggiamento della Modan appare invece più distaccato e critico, pur moderato dalla leggerezza di un’ironia colta e laica, nei confronti dei tic e dei condizionamenti della propria educazione d’origine.

Non troverete ne “La proprietà” la dialettica spirituale tra “Ricerca e Perdizione” (dal titolo della straordinaria autobiografia) che anima le opere di Singer fino a raggiungere profondità dostoevskiane,  ma, seppur restituito in frequenze meno vertiginose, potrete comunque  incontrare l’irriducibile fascino della narrazione ebraica, perennemente contesa tra meraviglia e dolore, magicamente sospesa tra quotidiano e Assoluto.

Abbiamo avuto il piacere di incontrare l’autrice in occasione del “Festival della Letteratura e Cultura Ebraica”, tenutosi a Roma nel luglio scorso, durante il quale ha partecipato a un incontro molto interessante con Luca Raffaelli.

English: Rutu Modan, author of Exit Wounds, is...

Rutu Modan

Argomento della presentazione era appunto l’edizione italiana de “La proprietà”, pubblicato a giugno dalla Rizzoli Lizard.                      Ascoltiamo, dunque, le parole dell’autrice.

CZ Affrontiamo subito la domanda più prevedibile, che ti avranno posto molte volte. Osservando l’utilizzo della ligne claire è impossibile non pensare a Hergé.  È un riferimento consapevole nella tua opera?

RM È molto interessante questo aspetto. Si dice spesso che io sia influenzata dallo stile grafico di Hergé. In realtà, sono molto più influenzata dal suo modo di raccontare le storie, più che dalla linea chiara. Il mio sforzo è ripulire la storia da ornamenti inutili. In questo  Hergé è eccezionale, il lettore si perde letteralmente dentro le sue storie. Non escludo che l’intento di “ripulire” la storia inconsciamente mi porti a ripulire la linea. Spesso le graphic novel sono troppo dense, Hergé è capace di mantenere tutto molto chiaro, grazie a un grande senso del ritmo. Quindi potremmo dire che l’influenza di Hergé è conscia sulla storia e inconscia sul disegno.

CZ Passiamo ad una domanda più tecnica. Quali sono gli strumenti che utilizzi per disegnare?

RM Risposta molto semplice: la Wacom, disegno sul computer. Ma a riguardo vorrei chiarire un punto chiave: sì, disegno sul computer, ma disegno io. Se io esco e poi ritorno, il computer non ha disegnato nulla per me.

Non è questione di medium, ma di creatori.

CZ Ho trovato molto interessante l’utilizzo del colore nel libro. Ha una funzione narrativa molto significativa.

RM Sì, ad esempio per rappresentare i ricordi di una persona anziana, un passato vivido. I ricordi sono più luminosi della vita quotidiana, e quindi nel racconto quelle tavole sono più intensamente colorate rispetto a quelle del presente. In questo modo non ho bisogno di spiegare, semplicemente mostro.

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CZ È evidente nel libro il ruolo cruciale della tua famiglia come fonte di ispirazione.

RM Certo. Chiunque si ispira alla propria famiglia. La famiglia è il laboratorio più vicino, quindi è quello che puoi studiare meglio.

CZ Hai espresso in passato la tua stima per colleghi quali Joe Sacco e Marjane Satrapi, autori connotati da una forte ispirazione sociale e realistica.

Qual è secondo la peculiarità del medium fumetto nel rappresentare la realtà?

RM In primo luogo, consente un forte distacco, a differenza ad esempio della fotografia. Soprattutto nella rappresentazione della violenza, che risulterebbe altrimenti volgare o scioccante. Consente distacco, quindi conferisce oggettività al racconto. Ad esempio, ha consentito a Marjane Satrapi di rappresentare una scena di decapitazione, cosa che attraverso una narrazione di tipo fotografica sarebbe stata insostenibile.

CZ Ci sono altri autori a cui ti ispiri, che sono per te punti di riferimento in generale, anche al di là delle affinità stilistiche?

RM Certo. Ad esempio Daniel Clowes. Apprezzo il suo approccio nel descrivere la realtà quotidiana, il suo grande distacco. Oppure, Art Spiegelman. Quando lo lessi per la prima volta fu una rivelazione.  Non dico questo per il tema “simile” della Shoah, ma perché leggendolo pensai: “Wow, allora è possibile raccontare argomenti di questa profondità attraverso il fumetto”. E poi autori più “antichi”, come Winsor McCay.

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CZ C’è un risvolto sicuramente curioso nella lunga gestazione (quasi quattro anni) della tua opera, e cioè l’utilizzo di veri attori per “interpretare” la storia. Puoi illustrarci meglio la tua idea?

RM Sì, la cosa più difficile e importante è che i personaggi diventino indipendenti dalle persone reali che li hanno ispirati. Per la figura di Regina, ad esempio, mi sono ispirata ad entrambe le mie nonne. Ho quindi lavorato con attori in carne e ossa. Avevo lo storyboard pronto, ho stipendiato attori professionisti, ho fatto la regia frame by frame, fotografandoli mentre interpretavano le scene, Ho deciso di aggiungere ciò che poteva darmi un attore, la capacità di esprimere sentimenti attraverso il corpo. Ed è eccezionale assistere a come l’attore si trasformi nel personaggio. Io lo posso immaginare, l’attore si trasforma. Non solo, mi sono anche recata nei luoghi dove ho ambientato la storia, per raccogliere una documentazione fotografica. Il posto dove si svolge la storia è protagonista, un personaggio stesso del racconto. Il mio disegno è il compendio dei dettagli critici che emergono dalle foto.

I personaggi devono essere vivi.

modan_2_webCZ Domanda canonica: cosa nasce prima nel tuo processo creativo, la storia o i disegni?

RM Non sono processi distinti, storia e disegno. C’è stata innanzitutto una evoluzione nel mio modo di raccontare. Da giovane ero più estrema e grottesca, utilizzavo molto il registro della parodia. Con la maturazione ho imparato ad amare di più le persone. Ho smesso di deriderle, le comprendo di più. Ad esempio, ne “La proprietà”, il “cattivo” (figura ispirata a mio zio) è una figura inizialmente snervante, fastidiosa. Alla fine, però, scopriamo le motivazioni, giustificabili, del suo comportamento. Il grande sforzo creativo è nella pianificazione: cosa raccontare, come raccontarlo… una volta deciso, il disegnare è divertimento. È una forma di meditazione.

CZ È illuminante, questa definizione. Nello Yoga, lo stato di “Nirvichara Samadhi” viene descritto come “consapevolezza senza pensieri”. Nel senso che sei assorbito nel presente, ma la mente è senza pensieri.

RM Si, qualcosa del genere.

CZ Qual è il tuo rapporto con la spiritualità?

RM Non seguo nessuna religione ufficiale,  né alcun movimento. Ma per me la vita non si limita al materialismo. Anche se, ripeto, non vivo una religiosità ufficiale.

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CZ Questo ci conduce a parlare della scelta della copertina, in cui è rappresentato un momento di raccoglimento collettivo.

RM Sì, ho voluto che ci fosse quel momento in copertina. Quando arrivai in Polonia, chiesi cosa ci fosse da vedere, oltre i campi di concentramento, e tutti mi parlarono di questa grande commemorazione dei defunti. Io ho sempre amato i cimiteri. E ho amato questa festività polacca. Una preghiera collettiva notturna. Ho respirato davvero un’atmosfera spirituale. Già nella fase iniziale della stesura, avevo deciso che la scena culmine si sarebbe svolta durante quel momento, prima ancora di sapere cosa sarebbe accaduto. Nell’ebraismo c’è una cerimonia individuale, in cui ciascuno ricorda i propri morti, ma vedere quelle persone ricordare tutte insieme i defunti mi ha fatto vivere l’esperienza di un sentimento umano universale. Ciò va oltre il materialismo.

La scienza riduce tutto a una combinazione chimica.

CZ Spesso la mentalità scientista appare chiusa e compatta come un’altra chiesa, con i propri dogmi atei, contrapposta alle chiese ufficiali.

RM Gli scienziati perdono il punto. Forse l’approccio scientifico ha ragione, ma la nostra esperienza umana è differente. Mio padre era uno scienziato ma profondamente religioso, mentre mia madre era laica.  Sono, dunque, cresciuta con entrambe le impostazioni.

 CZ Nelle tue opere torna spesso, a metà tra un refrain e un mantra, il concetto: “past is past”. Qual è per te il valore della tradizione, e della memoria?

RM Quando un autore dice che “il passato è passato”, vuol dire che il passato è essenziale. Il punto è come utilizzare la memoria, le differenti conclusioni che possono essere tratte dalla riflessione sul passato. Ad esempio, ricordo da bambina dopo l’Olocausto, c’era chi diceva: “Ora dobbiamo fortificarci, così nessuno potrà farci del male di nuovo!”. Al contrario, i mistici insistevano nel dire che proprio noi che abbiamo sofferto dobbiamo fare in modo che a nessun altro accada più una simile sciagura.

CZ Qual è secondo il senso, l’ispirazione più profonda della tua produzione artistica?

RM Uno dei miei intenti è quello di rappresentare la tragicità e insieme la comicità della vita, che sono inestricabilmente mescolate. Per me il centro della vita è la relazione con gli altri. Il problema è che ci aspettiamo sempre che gli altri si comportino come noi, ma non è così, e ogni volta ci sorprendono.

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CZ Quindi, possiamo dire che lo scopo è una forma di testimonianza, nel senso più alto?

RM (dopo alcuni momenti di riflessione) … Credo che lo scopo della mia opera sia mettere in discussione, mostrare che non è solo bianco e nero. Ad esempio, ne “La proprietà” alla fine del racconto si svela un altro lato, imprevedibile, della vicenda. La vita non è riducibile alla contrapposizione che ad esempio c’è in politica, in cui la scelta degli schieramenti è bianco o nero, destra o sinistra…

CZ Un grande pensatore tedesco del secolo scorso, non a caso di origini ebraiche, Theodor W.Adorno,  riassunse in una celebre sentenza: “La libertà non sta nello scegliere tra bianco o nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta”.

RM Appunto, vorrei esprimere la complessità del reale, in tutte le sue sfumature, i suoi contrasti. La realtà non è semplificabile, per questo non voglio fare un discorso esplicitamente politico. È un bisogno interiore. Ognuno ha bisogno di esprimersi. L’arte è una forma di comunicazione.

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