PYONGYANG di Guy Delisle

Nel marzo scorso, mentre i media seminavano il panico globale riportando le minacce nucleari di Kim Jong- Un,  col consueto tempismo (già sottolineato QUI) la Rizzoli Lizard continuava la pubblicazione dell’opera completa di Guy Delisle proprio con “Pyongyang”, opera ambientata nell’incubo dittatoriale nordocoreano . Il fumettista canadese da anni si è imposto come nome di punta del cosiddetto graphic journalism, grazie ad opere come Shenzhen,  appunto Pyongyang , Cronache Birmane e Cronache di Gerusalemme,  quest’ultimo premiato come Miglior Opera al Festival di Angoulême 2012.

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Come ha dichiarato lo stesso Delisle: ““Sono un narratore di racconti divertenti a cui capita di trovarsi in posti molto seri e mi tocca spiegare situazioni altrettanto serie.”  I suoi libri trovano infatti il loro difficile equilibrio, spesso raggiunto, esattamente grazie al dono di un umorismo spontaneo e liberatorio che consente di stemperare l’assurdità degli orrori raccontati  nella mitezza di una testimonianza  solidale,  ma non avvelenata da eccessivo coinvolgimento.

dittatore grandce

L’opera in questione ha ormai dieci anni  e prende spunto dal soggiorno di due mesi concesso dal regime nel 2001 all’autore per supervisionare la produzione di un cartone animato francese.

I suoi appunti di diario, riversati con grande accortezza  registica nel racconto a fumetti, costituiscono lo spunto per l’opera.  Delisle si libera dello scomodo privilegio di essere tra i pochi testimoni consapevoli autorizzati a visitare il parco dell’assurdo della più anacronistica delle dittature, donandoci il prezioso angolo acuto del suo sguardo ironico.

orwell

Notevole, nell’immediata pertinenza dell’associazione, l’idea di Delisle di portare con sé nel viaggio“1984” di George Orwell.  Spunto questo che ha ispirato anche un articolo di Roberto Saviano su “L’Espresso” (lo trovate QUI).  Non è qui la sede per discutere dell’autore della recensione (oggetto per chi scrive tanto di facili beatificazioni quanto di pretestuosissime critiche), ma è sicuramente un dato interessante che il libro in questione sia stato preso come esempio di denuncia civile da un autore divenutone sinonimo ormai a livello mondiale.

popolo

Emerge impressionante nel racconto la condizione del popolo, integralmente inghiottito dalla delirante finzione di regime, congelato in un eterno presente fittizio, al di fuori della storia, in condizioni di desolante indigenza. Davvero la storia della Corea del Nord, riscritta nel culto di un giovane ciccione pazzo, riecheggia le tombali ultime parole di Macbeth sull’intera vicenda umana: “una favola raccontata da un idiota”.

E, perdonate il vezzo postmoderno, risuonano perfette anche le parole che David Bowie fa dire al protagonista del brano “We are the Dead” (ispirato, come tutto il disco, “Diamond and Dogs” proprio al romanzo di Orwell):” Noi siamo creature che arrancano nell’oggi, imprigionate nella doppiezza del domani.” 

comparse

L’innegabile abilità narrativa dell’autore canadese si esalta nel comunicare l’alienazione assoluta, sospesa in un irreale straniamento al di là del tempo e dello spazio, che è l’inquietante tessuto del quotidiano nordcoreano. Come Garrincha con la sua leggendaria finta , l’autore ripete sempre lo stesso trucco, ma esso risulta comunque sempre efficace: la gestione dei tempi narrativi, tutta giocata tra improvvise dilatazioni e continui rallentamenti, vivacizzati all’improvviso dal contatto umano con le poche comparse della permanenza nel delirio. Ecco quindi l’improvviso scoppiettìo di battute, gag, risate, tormentoni…il tutto ciclicamente rifagocitato nel blob annichilente della vita di regime. Ogni divertissement è vano di fronte all’immensa membrana tritatutto della propaganda.

fiori

Un unico appunto da muovere al compassato controllo del racconto potrebbe essere mosso relativamente alla brusca interruzione del finale. Ma ripensandoci, l’assenza di climax narrativo rende in maniera convincente l’abolizione della libertà, non solo civile ma in primo luogo interiore.  Affermazione che assume senso potente  se si ricordano le parole di Chesterton sul rapporto tra libero arbitrio e senso del romanzesco (per il grande scrittore dono del Cristianesimo al mondo):  “il momento drammatico di un racconto è dato dal fatto che c’è un  forte elemento di volontà, di quel che la teologia chiama libero arbitrio… Il cristianesimo eccelle nel romanzo narrativo esattamente perché questo si basa sul libero arbitrio teologico”. Abolendo il libero arbitrio, il regime tronca la possibilità del romanzesco.

inchino

Dunque, Delisle per sfuggire al cappio della mera cronaca deprimente,  tira fuori dal cilindro il più semplice degli incantesimi, mostrandoci la magia dell’invenzione narrativa primordiale: la fantasia del bambino.

E’ quasi commovente che “l’avventura” si concluda con l’unica, innocua, puerile trasgressione consentita, l’aereoplanino gettato fuori dalla finestra, con cui l’autore simbolicamente cestina la monotona ripetitività del lavoro quotidiano e insieme rievoca il gesto inconscio del messaggio lanciato verso l’infinito.

Un messaggio in una bottiglia inesistente gettato in un oceano di silenzio imposto, quasi a ribadire la necessaria importanza, vitale, ontologica, della testimonianza, del valore di “Satyagraha” (per Gandhi, “la forza della Verità”, concetto fondativo della disobbedienza civile).

Ancora una volta, il senso del gioco, il desiderio di stupore, l’irriducibile potere dell’innocenza si manifestano come l’unica forma di resistenza, e possibile vittoria, nei confronti della brutalità opprimente di un orrido presente.

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