Storia di una Madre: la favola nera di AKAB

Sigilli è la collana con cui la Alessandro Berardinelli Editore ha esordito durante l’ultima edizione di Lucca Comics. L’intento guida è quello di presentare dei classici della letteratura illustratati, sfuggendo tanto alla riduzione fumettistica (ogni riferimento verbale è bandito), quanto all’abusatissima etichetta del romanzo grafico. Ciò che anima il progetto è la voglia di produrre un libro d’arte che sappia ricondurre il disegno alla sua natura primitiva.

Il giovane Alessandro Berardinelli, figlio d’arte e formatosi nella prestigiosa stamperia d’arte di famiglia, ha consegnato questo progetto a due distinte opere. Una classica, già più volte ridotta per il mercato fumettistico, e cioè Moby Dick di Hermann Melville, per opera di Alessandro Sanna, e una breve favola – meno conosciuta – di Hans Christian Andersen, Storia di una Madre.

Ci occuperemo di quest’ultimo lavoro a firma AKAB.

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Allora, partiamo da un dato: qualsiasi “traduzione” di un testo letterario in un altro medium di solito viene rubricato sotto la dicitura “riduzione”. Un romanzo, un racconto, una novella si riduce nel momento in cui viene condotto (costretto) sotto le leggi di un medium diverso da quello di partenza. Si parla in questo caso di “traduzione intersemiotica”, cioè un’interpretazione di segni verbali per mezzo di segni di sistemi non verbali (musica, pittura, fumetto, cinema etc etc) [1].

Ora, Umberto Eco nel suo Dire quasi la stessa cosa [2], cercava di dimostrare – in antitesi allo stesso Jakobson – che la traduzione è un’interpretazione, o meglio una sorta di negoziazione che produce un’opera diversa da quella di partenza, ma che ne conversa le intenzioni e le attitudini generali. Nelle traduzioni intra-semiotiche, cioè tra sistemi semiotici che rispondono alle stesse leggi, è implicita l’impossibilità di produrre un omologo del testo di partenza, quasi che tradurre fosse solo una traslazione. Purtroppo, o per fortuna nostra, le lingue hanno differenze abissali che non permettono traduzioni perfette.

Ma, lasciando perdere discussioni che non sono di nostra diretta competenza, il lavoro svolto da A K A B tenta l’impervia strada di tradurre l’opera di Andersen per sole immagini, accantonando tutto quello che potrebbe facilitare il compito: per cui 1) non c’è alcun elemento verbale, come già accennato in precedenza, e 2) persino il concetto di tavola decade. Persiste, l’utilizzo minimo del balloon. Per il resto, Storia di una Madre è un flusso consegnato all’aspra sequenzialità delle sue novanta pagine: tra l’altro, la definizione coniata da Will Eisner si adatta bene a descriverla. Se volessimo saltare a piè pari ogni riferimento al fumetto tout court, dovremmo risalire a Lynd Ward. L’incisore ha assunto un ruolo “mitico” nella storia del fumetto anche grazie al già citato Eisner che, nel tentativo di nobilitare il medium fumettistico, citava il lavoro di Ward come fonte di ispirazione principale per Contratto con Dio.

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Un’illustrazione da God’s Man di Lynd Ward

Ma, come esplicitato lucidamente da Spiegelman, l’arte di Ward non intrattiene alcun rapporto con il fumetto, poiché si radica in una tradizione totalmente indipendente: quella degli incisori e degli illustratori [3]. Infatti, la totale estraneità di Ward al linguaggio fumettistico si riflette in due peculiari aspetti: la totale impermeabilità al verbale – in ottemperanza alla pervasiva influenza del Lacoonte di Lessing [4] – e l’estraneità alla tavola come struttura di “trascinamento” dello sguardo. Lynd Ward invita il lettore a soffermarsi sul particolare, sulla singola illustrazione.

Spiegelman scrive al riguardo:

L’esecuzione di un’incisione sul legno deve insistere sulla solennità dell’immagine. Ogni linea è combattuta, pazientemente, a volte sanguinosamente. Rallenta lo spettatore. È necessario sapere che il lavoro è profondamente segnato dall’esigenza di conferire peso e profondità all’immagine. Due anni dopo aver incontrato Lynd Ward, quando incominciavo ad esplorare seriamente i limiti e le possibilità dei fumetti, disegnai una storia di quattro pagine sul suicidio di mia madre, Prisoner on the Hell Planet. Avevo ventiquattro anni (la stessa età di Ward quando disegnò God’s Man) e i graffiti che feci erano profondamente influenzati dalle stampe di Ward e dalle xilografie degli espressionisti tedeschi [5].

Nonostante l’imitazione dello stile di Ward, finalizzato a  rendere quanto più incisiva la nota biografica e patologica del racconto, Spiegelman è alquanto infedele, perché il tutto viene poi ridimensionato ad un formato che lascia decadere quella “gravitas” che rappresenta l’essenza stessa dell’illustrazione. Al contrario, Storia di una madre di AKA B sembra rispondere in pieno alle caratteristiche fondamentali dei racconti di Ward evidenziati da Spiegelman.

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Due tavole tratte da Prisoner on the Hell: a case history di Spiegelman, apparso originariamente su Raw e poi incluso in Maus.

Anzi, pur non condividendo lo tecnica wardiana, le deformazioni espressionistiche e un senso architettonico restituiscono quel concetto di «gravitas » che possiamo ammirare nei lavori raccolti in Six Novels in Woodcuts. Tuttavia, sembra esserci qualcosa che ad AKAB sfugge. Mentre i racconti di Ward sono congegni perfetti e trasparenti, Storia di una Madre dimostra una certa resistenza.

Infatti, dopo averlo letto, la prima domanda che mi son fatto è stata: funziona il racconto di AKAB? Ed ho dovuto ammettere che non funziona completamente e in tutte le sue fasi. Se non si conosce il testo di Andersen parecchi passaggi restano criptici. Se la sequenza iniziale dove la piccola creatura viene rapita dalla morte è fruibile senza alcun riferimento al testo, le peripezie che la madre compie per trovarsi al cospetto della morte diventano sempre meno intellegibili. Comprendiamo le rinunce che la protagonista deve compiere per accedere allo step successivo e riconquistare la piccola vita che gli è stata sottratta, ma i particolari sfuggono, senza un riferimento al testo.

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Questa situazione diventa ancora più netta nella sequenza finale, dove la madre, dinanzi al dubbio sollevato dalla Morte ,decide di assecondare il destino, rinunciando alla sua creatura.

Molto probabilmente il problema è dovuto alla sua natura “seconda” e derivata, cioè al fatto di alludere ad un suo doppio originario, per l’appunto il testo. Mentre, i racconti di Ward funzionano in virtù della loro natura non-derivativa, il «racconto per immagini» di AKAB è deficitario da questo punto di vista, risultando nell’estremo tentativo di catturare la potenza dell’illustrazione, che in questo caso si dimostra insufficiente a esaudire il grado letterario del testo.

Nonostante questa mancanza strutturale, dovuta alla difficoltà insita nella traduzione intersemiotica che conduce alla perdita necessaria di alcuni elementi – dovuti anche e soprattutto alla dimensione interpretativa e quindi “tentativa” dell’operazione – Storia di una Madre sembra assecondare appieno l’idea secondo cui la traduzione creerebbe un oggetto “altro” rispetto al testo di partenza con caratteri peculiari ed unici.

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Infatti, il libro della ABE rappresenta e soddisfa un’intima esigenza dell’editore, cioè quello di voler creare un oggetto dallo schietto sapore artistico. Storia di una Madre è un libro notevole per solennità e grandezza, qualità di stampa e scelte di produzione. Non è superficiale la scelta di una carta che sapesse rendere il lavoro quasi parossistico di AKAB sulle texture, restituendo la forza della materia e del segno. La disperazione della protagonista allora diventa il centro nevralgico del lavoro, che sembra superare la piena intelligibilità della storia, a favore della tonalità emotiva che si riverbera e avvolge il lettore, lasciandolo solo dinanzi alle ultime parole con cui si chiude l’opera: «E LA MORTE SE NE ANDÒ COL BAMBINO IN QUEL PAESE SCONOSCIUTO ».  L’unico intervento verbale vergato con un gessetto su un nero così profondo da farti chiudere il libro con un sospiro.

* * *

Note

[1] Non è semplice orientarsi all’interno delle teorie della traduzione. La definizione che abbiamo scelto risale alla distinzione operata da Jakobson in Aspetti linguistici della traduzione.

[2] Eco, U., Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Bompiani, Milano 2003.

[3] Si veda l’articolo a firma di Spiegelman apparso su Paris Rewiev il 13 ottobre 2010, dal titolo The Woodcuts of Lynd Ward.

[4] Ibidem. Lo stesso Spiegelman spiega come l’ammonimento fondamentale di Lessing fosse quello di con confondere il dominio delle forme d’arte della scrittura, il cui regno è il tempo, e quello delle forme visuali – pittura e scultura – il cui regno, invece, è lo spazio.

[5] Ib.

4 risposte a “Storia di una Madre: la favola nera di AKAB

  1. Marco Pellitteri

    Mi è piaciuto molto, questo articolo. Rivedrei solo qualcosa a proposito delle definizioni di “riduzione” e di “traduzione intersemiotica”. La prima avviene quando, nel trasporre da una forma all’altra, si taglia il contenuto dell’opera originaria, facendo di quella derivativa una versione non integrale. La seconda non è solo nella direzione da opera scritta-alfabetica a opera grafica, cinematica ecc. ma può procedere anche in senso inverso, dato che esistono molte riscritture in forma di romanzo o di fumetto di opere native per esempio del cinema (dal vero o d’animazione).

  2. Grazie Marco, soprattutto per le precisazioni…

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